Rendere la Bi pervasiva l’impegno di Iconsulting

Dopo quattro anni di esperienza nell’ambito del data warehouse e della Business intelligence all’interno di un competence center di un Consorzio bolognese (cui facevano capo 14 università), un terzetto di ricercatori ha deciso di uscire per avviare un’ …

Dopo quattro anni di esperienza nell’ambito del data warehouse e della Business intelligence all’interno di un competence center di un Consorzio bolognese (cui facevano capo 14 università), un terzetto di ricercatori ha deciso di uscire per avviare un’attività in proprio, che ha portato alla costituzione, nel 2001, di Iconsulting. «Un primo fatto positivo di questa nuova avventura è che siamo riusciti a mantenere le relazioni con le università con cui lavoravamo – ci spiega Simone Fiocchi, presidente e uno dei tre soci fondatori della società -. Inoltre, abbiamo mantenuto l’indipendenza rispetto alle piattaforme tecnologiche, per cui ci poniamo sul mercato come esperti di metodologie di sviluppo di sistemi di data warehouse e Business intelligence, e lavoriamo trasversalmente con le piattaforme dei maggiori vendor presenti sul mercato, che sono tutti nostri partner e con i quali peraltro svolgiamo attività progettuali congiunte».

All’interno di un progetto, quindi, da che cosa dipende la scelta per l’una o per l’altra tecnologia di Bi? «Dipende dalla fase in cui troviamo il cliente – risponde Fiocchi -. A volte è già dotato di una piattaforma, per cui normalmente si sviluppa su questa, salvo il caso che si dimostri inadeguata per determinate tematiche, problema, però, che si poneva più una volta. Invece quando incontriamo un cliente che è all’inizio del percorso di Bi, allora spesso lo assistiamo in una fase preparatoria anche con un supporto di software selection».

Come tipologia di utenza, Iconsulting si sta spostando su complessità sempre maggiori, tipiche delle grandi realtà strutturate, in quanto ha un know how molto specialistico, il cui obiettivo è quello di creare delle eccellenze nell’ambito delle tematiche di competenza. «Tra i nostri clienti, tuttavia, – prosegue il presidente – ci sono delle piccole realtà che hanno una visione strategica dell’It e investono a volte più di grandi aziende, perché percepiscono il ritorno economico che la soluzione di Bi può portare. Un esempio che posso citare è Albini&Fontanot, azienda riminese che produce scale, uno dei nostri primi clienti, che, grazie anche a un supporto tecnologico avanzato, in pochi anni ha più che triplicato la sua attività». La consapevolezza dell’importanza della Bi, come osserva il manager, sta crescendo soprattutto presso quelle imprese che hanno già vissuto la prima ondata di Bi, a suo tempo approcciata per i diversi dipartimenti, e quindi per singolo datamart, contribuendo a creare i famosi silos caratterizzati da scarsa comunicazione reciproca. Per cui, vedendo i benefici ottenuti nelle singole aree, il top management si è convinto a continuare a investire, cercando però di estendere i benefici all’interno dell’intera azienda. «Questa situazione – spiega Fiocchi – la troviamo spesso ed è nata perché molte volte le soluzioni di Bi non sono state espressamente scelte, ma sono arrivate preconfezionate all’interno di sistemi gestionali, o di Crm, per cui si sono creati dei silos anche con tre diversi sistemi di reporting e di Bi. Un altro motivo è dovuto al fatto che spesso in azienda l’It si trova a dover prendere delle decisioni tattiche, per risolvere un problema in modo veloce. La difficoltà arriva in seguito, quando bisogna mettere in relazione questi sistemi e dare una visione ad alto livello. Per cui tra i clienti con un grado di maturità elevato che hanno internamente diverse applicazioni di Bi, anche con diverse tecnologie, adesso il problema da affrontare è rappresentato da interventi che noi chiamiamo di Enteprise data warehousing, il che significa prendere e smontare la logica per silos informativo e realizzare il data warehouse esteso a tutta l’organizzazione e soprattutto attivare un percorso di razionalizzazione e scelta dei vari strumenti, che sono all’interno dell’azienda, battezzando un’unica piattaforma come repository dei dati e un’unica tecnologia per l’accesso alle informazioni. Così facendo, si eliminano tutte le transizioni che ci sono fra le diverse funzioni aziendali quando devono comunicare tra loro, con un notevole risparmio di tempo e di attività a scarso valore aggiunto. E, infatti, quando interveniamo in un progetto di data warehousing, partiamo sempre con un lavoro di Enterprise assessment, supportato da nostre metodologie, nel quale coinvolgiamo tutti i direttori delle singole aree, con l’obiettivo di valutare le attuali esigenze informative, quanto tempo viene speso, e da chi, per la produzione del reporting, e con quale tempestività. Infatti, molto spesso per calcolare il tempo si parla non di ore uomo ma di giornate».

Poi ci sono aziende, in genere di medio-piccole dimensioni, che in Italia approcciano per la prima volta la Bi, per cui in effetti beneficiano di tutta l’esperienza fatta in questi anni dal mercato. In questo caso, spesso, lo sforzo maggiore è quello di vincere la resistenza delle persone che accedono per la prima volta a questi strumenti, in quanto non sono più appannaggio del top management, ma hanno un utilizzo sempre più esteso, anche perché i software vendor cercano di renderli sempre più facili da usare. «Questo però dipende anche dalla capacità di una realtà come la nostra – conclude il manager – di saper codificare all’interno dell’azienda un modello di business che sia effettivamente semplice, intuitivo per l’utente finale e che il know how sia diffuso».

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