Quando il Cio fa acquisti

Tre casi di It spending: Antonio Bartucci di Lu-ve Contardo, Claudio Lucantoni di Fiorucci e Renato Giovannini di Elica.

Le attività correlate agli acquisti di soluzioni It sono tra i compiti “core” dei responsabili dei sistemi informativi. È anche (o soprattutto) dal buon esito di un acquisto che dipende la risoluzione di un problema di business. Abbiamo cercato di capire quali sono le dinamiche che attualmente muovono le Pmi italiane chiedendolo a tre manager che si occupano in prima persona di questo tema. E abbiamo capito che, diversamente da quanto spesso viene detto, quando si parla di Piccola e media impresa non si può generalizzare, dato che in questo macro-contenitore teorico vi sono realtà di dimensioni assai diverse e che operano nei più svariati settori. Sembrano soprattutto le caratteristiche dimensionali a indirizzare in modo diverso le scelte.


La prima prova del diverso orientamento emerge da una questione preliminare: la natura degli attuali investimenti It. Antonio Bartucci, responsabilie Ict di Lu-ve Contardo (produttore di sistemi di condizionamento industriale del varesino, con un fatturato di gruppo di 110 milioni di euro e 250 persone che lavorano nella sede principale), dice: «I nostri investimenti sono orientati al mantenimento dell’esistente, sia per quanto riguarda le applicazioni che l’infrastruttura. Abbiamo fatto un ingente investimento un paio di anni fa, sostituendo calcolatore e gestionale con una soluzione a noleggio. Ora lo stiamo facendo fruttare». Nella scelta di un fornitore, Bartucci si dichiara fedele al fornitore unico, per il privilegio accordato alle soluzioni “chiavi in mano”.


In Fiorucci, invece, la strategia di acquisto attuale è mista. Claudio Lucantoni, responsabile Ict del gruppo produttore di salumi e di altre specialità alimentari (350 milioni di euro di fatturato, circa 1.000 dipendenti e uno staff Ict di 18 persone) spiega che «gli investimenti per il varo di nuovi progetti riguardano prevalentemente le tecnologie di trasmissione tra le varie sedi e il wireless, via cellulare, mentre per tutto il resto si opta per il mantenimento dell’esistente, anche a livello applicativo». Lucantoni, a differenza di Bartucci, privilegia nella scelta del fornitore l’ottica del “best of breed”, perché per lui conta di più poter disporre, idealmente, della migliore soluzione sul mercato.


Una testimonianza di forte impegno (anche economico) per l’innovazione, invece, la fornisce Renato Giovannini, It director di Elica, realtà manifatturiera nota soprattutto per la produzione di cappe da cucina, con 2.300 dipendenti (17 persone nello staff It) e 420 milioni di euro di fatturato. «In gran parte, le nostre spese sono orientate al varo di nuovi progetti, un po’ su tutti i fronti. Attualmente, stiamo lavorando soprattutto nell’ambito della supply chain, con un’iniziativa di advanced planning and scheduling già in produzione e con un’altra nell’area del demand planning e forecasting. Altre attività sono in corso in area Business intelligence, Corporate performance management, risorse umane e Plm, per lo svilupo di nuovi prodotti, mentre a breve abbiamo intenzione di lavorare sulla tecnologia di portale per l’integrazione con fornitori e clienti».


Un vero turbine di nuove iniziative, dunque, che ci dice che le aziende italiane sanno anche investire. Ma bisogna osservare che Elica, nel tessuto produttivo italiano, è considerabile a pieno titolo una media realtà.


Sul fatto che sia migliore il criterio monovendor o best of breed, Giovannini non si sbilancia: «L’approccio integrato può dare vantaggi, anche se rischia di essere monolitico. È, quindi, da usare con buon senso». Secondo il manager, ciò che conta di più è la consapevolezza: «Dal punto di vista della tecnologia, il mercato ha selezionato molto e sono disponibili in media buone soluzioni. Nella fase di software selection noi cerchiamo di tarare meglio le nostre esigenze, dato che magari quello che si può fare è superiore a quello che crediamo ci serva. Chiediamo a un fornitore di mostrarci le referenze: chi ha usato il prodotto, cosa ne è stato fatto, che risultati si sono ottenuti. Noi, poi, provvediamo a contattarle direttamente: per la supply chain abbiamo interpellato 20 utenti». Giovannini, per rimarcare cosa ritiene importante, ha un suo slogan da riferire anche ai fornitori: qualità, tempi e costi, in quest’ordine di priorità. E, sostiene il manager, se si procede per bene alla definizione dei cosiddetti requirement, si evitano anche brutte sorprese: «Se si prende una cantonata, almeno si ha la coscienza a posto. Ma, se si sono fatte le cose per bene, è difficile sbagliare».


A proposito di ciò che un acquirente si auspica quando contatta un fornitore e, anche, di cosa preferirebbe fare a meno, emerge un quadro più omogeneo. Che non sempre è positivo.


Ciò che si delinea, dalle tre testimonianze, è una carenza di fondo legata alle competenze sul campo di chi propone un investimento, o, quantomeno, alla volontà di metterle a disposizione. Bartucci confessa che il suo team, in alcun casi, si è dovuto “arrangiare”, anche se fortunatamente le competenze interne erano tali da riuscire nell’impresa. «Ma non è una situazione che ritengo corretta – puntualizza il manager – soprattutto se c’è in gioco un investimento di 2 o 300.000 euro. Dopo aver scelto una soluzione tecnologicamente avanzata, abbiamo trovato un produttore non altrettanto preparato. O, meglio, molto ferrato sulla maggior parte delle funzioni offerte ma magari non su quel 10% che per noi era fondamentale». Sottolineando come, in funzione del tipo di progetto, siano necessari sia la formazione presso l’utente (se la gestione del prodotto verrà fatta internamente), sia la consulenza per i progetti chiavi in mano, Lucantoni mette in guardia dal prezzo come potenziale specchietto per le allodole: «Spesso il costo condiziona la scelta di un fornitore, che poi non si dimostra in grado di portare avanti un progetto, magari proprio per aver praticato un prezzo troppo basso o perché il livello del personale coinvolto non è adeguato».


Giovannini rimarca una carenza generale a livello consulenziale. «Molti fornitori sono orientati a quella applicativa, che significa, in parole povere, “dimmi ciò che vuoi e io lo faccio”. Invece, sono importanti anche gli aspetti strategici, per definire ciò che serve. È necessario che il fornitore conosca il settore di attività del cliente, per fornire spunti utili a costruire una soluzione. Ambito, questo, dove spesso si riscontrano lacune». Nonostante la paventata specializzazione per mercati verticali, soprattutto in area gestionale, la maggior parte dei vendor o system integrator si rivela un puro implementatore, mentre le competenze “strategiche” sono appannaggio delle società che lo fanno di mestiere. «Questo approccio – chiude Giovannini – può funzionare con processi semplici e dove il rinnovamento non è fondamentale, ma non nel caso di un’azienda come la nostra, in un contesto di business “stressato” e dove si cerca di essere innovativi».

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