Qualità e It Il valore aggiunto che ottimizza i processi

Per rendere più efficace l’azienda, bisogna riportare la qualità in primo piano. Parola di chi di questo principio ha fatto la propria missione, col supporto della tecnologia

Qualità questa sconosciuta. O quasi. Perlomeno dal punto di vista dell’adozione degli strumenti It a supporto. Una tendenza che, dopo la spinta degli anni scorsi, proveniente dall’adeguamento normativo, ora vive solo grazie al dinamismo di aziende particolarmente attive e sensibili alla tematica.


I tempi, infatti, sono cambiati. Anche se la qualità rimane. Solo che, da circa un quinquennio, non è più al centro degli investimenti delle aziende italiane. Le esigenze che esistevano fino ad alcuni anni fa, quando le applicazioni software per la gestione integrata della qualità seguivano il vento caldo della certificazione, hanno lasciato il posto a quelle attuali, strettamente collegate a una situazione economica che porta le imprese a non scommettere su un’area che non determina direttamente valore aggiunto. Un assunto che trova conferma nelle parole di Raffaele Piccioni, responsabile qualità di Gruppo Cms, società modenese che opera nel settore delle costruzioni meccaniche (circa 180 dipendenti e un fatturato che supera i 30 milioni di euro).


«Nel 1994 abbiamo ottenuto la certificazione Iso 9002 e nel 2002 siamo passati alla Vision 2000, rivedendo anche il sistema gestionale e l’insieme dei processi – illustra Piccioni -. L’entrata in vigore di nuove norme costituisce, sicuramente, un impulso all’adozione di strumenti informatici a supporto della qualità che, nel caso nostro, è coinciso con la volontà di soddisfare maggiormente i clienti su alcuni aspetti».

Motivi di disaffezione


I motivi che hanno fatto scemare l’interesse verso le certificazioni vanno addebitati al fatto di non aver insistito adeguatamente su alcuni concetti, principalmente sulla possibilità di rendere più efficace ed efficiente l’organizzazione per processi. «Si è preferito puntare sulla burocratizzazione», spiega amareggiato Paolo Ferrarini, responsabile rete indiretta della reggiana Blulink, che realizza soluzioni It per la qualità. Tra gli strumenti a supporto della qualità, invece, l’informatica dovrebbe ricoprire un ruolo importante, visto che permette di soddisfare i requisiti e i prerequisiti delle norme, alla stessa stregua dei consulenti e degli enti di certificazione.


D’accordo, in linea di principio, con un approccio tecnologico, continua a essere Piccioni che, però, ribadisce come per la sua società, la norma abbia rappresentato il pretesto per intraprendere un cammino di cambiamento già deciso. Per attuare quanto era stato mappato e reingegnerizzare tutti i processi, non solo quelli legati alla qualità in senso stretto, Cms ha puntato sull’It al fine di supportare i dipendenti che dovevano occuparsi dell’operatività, rispettando le regole che il sistema di gestione impone e legate al manuale di qualità. «L’adozione del software risale al 2003, dopo un anno circa dal passaggio alla Vision 2000 – prosegue Piccioni -. La ricerca è partita dall’analisi delle reali necessità interne; solo dopo abbiamo iniziato la valutazione dei fornitori sul mercato e dell’adeguatezza dei sistemi proposti alle nostre esigenze».


Un approccio che non privilegia l’iter documentale, bensì punta sull’It per modellare i processi e ricavarne informazioni. Uno dei principi cardine della Vision 2000 è, infatti, quello di stabilire che ogni processo deve essere documentato attraverso degli indicatori di performance, «che permettono di prendere decisioni misurate – interviene Ferrarini – soprattutto in un periodo in cui lo scenario muta di mese in mese e le mosse strategiche avvengono a cicli ridotti rispetto al passato».


Negli ultimi due anni, però, il livello delle certificazioni ha avuto un crollo. «Se un tempo la certificazione era richiesta da clienti o fornitori o serviva a uso marketing, adesso queste condizioni sono decadute – constata Ferrarini -. Nella scelta di un prodotto, le imprese venditrici non vengono scartate dalla rosa dei competitor se non certificate né, tantomeno, i clienti sono disposti a pagare di più se la merce è certificata».


Il mercato dei software per la qualità trova, quindi, ancora sostenitori solo in quelle aziende che, indipendentemente dal riconoscimento ufficiale credono nella qualità come valore aggiunto.


«Ormai, chi fa qualità – indica Ferrarini – si muove solo perché crede nell’ottimizzazione dei processi, nel loro snellimento, nella riduzione dei costi e nell’investimento orientato all’acquisizione di maggiore competitività e lo fa sempre meno per ottenere il classico "bollino blu", il certificato. La qualità dovrebbe essere vista nell’ottica di un miglioramento continuo dei processi e non come qualcosa di alieno e diverso rispetto ai processi classici. E, soprattutto, permea l’intera azienda: produzione, vendite, relazione con i clienti. Gli strumenti It devono consentire un reale snellimento dei processi creando la base per poterli migliorare».


«L’impulso proviene da chi o cosa garantisce il business – gli fa eco Piccioni -, che nel nostro caso è il cliente. Se quest’ultimo è distratto o più attento al risparmio, l’azienda produttrice si disinteressa della qualità, che invece è indice di risparmio e ottimizzazione. Solo le imprese mature e con un management sensibile e lungimirante riescono a capire l’importanza di monitorare le proprie performance».


La maggior parte delle società è, al contrario, ancora convinta che l’investimento in qualità sia fine a se stesso e non produca un ritorno sull’investimento sufficiente. Piccioni, invece, si sente di consigliarlo. "Lavorare in qualità significa operare in maniera strutturata. La maggior parte delle imprese, invece, crede che questo implichi uno sforzo eccessivo e non abbia un corrispettivo in termini economici».


Qualità, quindi, come approccio metodologico. «Non è lo strumento softwareche fa la qualità, ma aiuta a ottenerla, e la sua assenza rappresenta un elemento frenante – conclude Piccioni -. Traduce in pratica dei bisogni. Per noi l’investimento in It ha rappresentato un elemento positivo. Ciò che conta è che la direzione avalli costantemente il principio, contribuisca a creare cultura e che le persone si impegnino a portare avanti certi criteri».

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