Perché i progetti software in Cina funzionano

Lo afferma AssoLaw che spiega anche gli spazi di manovra su cui si può lavorare anche in ambito Pubblica amministrazione Sempre tenendo conto che…

Gennaio 2006, In Cina AssoLaw è attiva dal 1995 con una società di diritto
cinese che si occupa di supportare l’internazionalizzazione delle
imprese occidentali in Asia dall’industria ai servizi.
Nell’ambito dell’Ict sta lavorando sulle opportunità di joint venture
ad alto potenziale operanti nello sviluppo di software ad hoc, nonché
sulla componentistica elettronica. E a quanto pare le opportunità
in ambito software sono numerose e allettanti: secondo quanto riferisce
Ermanno Delia, board di AssoLaw, «negli ultimi
cinque anni la produzione cinese di soft-ware è cresciuta a un
tasso del 40 per cento all’anno, generando un fatturato che nel 2004 ha
raggiunto gli 8 miliardi di dollari: includendo anche le attività
di system integration il mercato del software cinese varrebbe 28 miliardi
di dollari»
. Per saperne di più abbiamo aperto i microfoni
ad AssoLaw, anche per capire le opportunità che l’Italia ha avuto
e ha in Cina.

A che punto sono gli italiani in Cina?
Negli anni 90 l’Italia non ha saputo cogliere gli inviti che la Cina inoltrava
al nostro Paese in settori chiave dell’industria (Energia e Chimica) e
dei servizi (Telecomunicazioni). L’Italia sarebbe leader in Cina in quei
settori se i Governi dell’epoca avessero colto quelle opportunità.
Gli italiani erano apprezzati per la loro cultura e storia: i cinesi ricordano
con piacere Marco Polo che per primo presentò l’Europa ai loro
avi. Fermo restando la memoria storica dei cinesi, direi che da Marco
Polo a oggi non è stato fatto molto a livello istituzionale per
colonizzare la Cina.
Una nota positiva proviene dalla recente operazione sull’e-government
del ministro Lucio Stanca in Cina: il Ministero ha saputo concretizzare
l’opportunità presente in Cina sull’e-government, anche
se non deve essere trascurato l’effetto del successo in Cina di
alcune imprese italiane sul "brand Italia": la tecnologia
della Ferrari e di altre società italiane affermate in Cina ha
contribuito a elevare l’immagine del Paese, come detentore di "competenze
tecnologiche".

Va osservato che i cinesi sono propensi alla filosofia
del co-branding tra "Sistemi Paese", perseguendo joint venture
circostanziati tra Paese e Paese, in quei settori in cui lo Stato in questione
può rivendicare una leadership internazionale. A livello di politica
worldwide la Cina è molto attenta alle opportunità internazionali
che vengono a concretizzarsi in virtù della cooperazione con alcuni
Paesi che contano a livello internazionale. faccio riferimento a Onu,
Wto, Banca Mondiale, Nato e così via.

Le istituzioni internazionali in cui siede il nostro Paese, la capacità
di influenzare le scelte di politica economica worldwide, l’autorevolezza
in politica estera sono tutti fattori che determinano il valore del "brand
Italia" in Cina e la scelta di estendere il sodalizio con il nostro
Paese nel futuro (e in altri settori).

Vuole dire che l’Italia esporta il proprio modello di Pa in Cina?
Sul fronte del protocollo ratificato dal ministro Stanca saranno oggetto
di supporto le soluzioni sulla firma elettronica, la gestione automatizzata
dei flussi documentali, la catalogazione della documentazione, ovvero,
tutti quegli strumenti volti a incrementare l’efficienza dell’apparato
amministrativo centrale e locale, in grado di assicurare trasparenza nei
confronti di cittadini e imprese.

Funzionerà?
Ciò che non si riesce a ottenere in Patria, ovvero, l’effettiva
riorganizzazione delle procedure e dei processi sarà preteso dal
Governo cinese: nessun impiegato cinese della Pa centrale o locale obietterà
sulle nuove scelte o sarà riluttante ad adeguarsi celermente alle
nuove procedure: la contestazione non è (ancora) parte della sfera
delle reazioni degli impiegati cinesi. Opereranno, quindi, tutti diligentemente
osservando la guida centrale, consentendo al Governo cinese di ottenere
benefici che probabilmente noi in Patria non riusciremo mai a raggiungere.

Qual è il ritorno per il sistema economico italiano?
Il prestigio dell’accordo ha già un ritorno così elevato
che la scelta di supportare i cinesi sull’e-government è
di per sé sufficiente per considerare vincente l’essere stati
eletti advisor nei confronti del Governo cinese su questo tema. Al fine
di capitalizzare il successo ottenuto dal Governo in termini di visibilità
sul tema dell’e-government, è importante che ora segua preponderante
l’iniziativa delle imprese private italiana attive nel settore Ict.
Auspico schiere di società italiane dell’Ict in fila per
partecipare all’assegnazione delle commesse per la realizzazione
dei progetti cinesi che renderanno operativo l’e-government.

Immaginerei un momento di attività frenetica di merger & acquisition
sul mercato cinese che vedesse la nascita di joint venture tra società
italiane e cinesi nel settore dell’Ict. Se questo non si realizzerà,
la domanda sul trade off dell’operazione e-government è più
che legittima.
Il Governo su questo fronte ha fatto la sua parte. Ora tocca agli imprenditori
agire celermente.

Quali opportunità ci sono per le società Ict italiane
in Cina?

In Cina vi sono cinque regioni autonome, quattro municipalità e
22 province con elevato livello di autonomia. I sindaci cinesi, personalità
con grado di autonomia pari a un governatore americano, gareggiano nelle
iniziative di ammodernamento delle proprie amministrazioni e territorio
all’insegna dell’Hi-tech. In un recente meeting a Pechino
sui fondi speciali per lo sviluppo dell’Hi-tech rivolti alle metropoli,
i rappresentanti delle imprese locali e delle amministrazioni comunali
hanno discusso sull’efficacia dei fondi riservati all’Hi-tech
che hanno superato nel 2004 i 25 milioni di dollari americani. Pechino
ha costituito un centro servizi per la trasformazione dei risultati di
ricerca in applicazioni fruibili da imprese, amministrazioni e cittadini.
Negli ultimi due anni sono stati promossi e finanziati 525 progetti di
"trasformazione", nei settori dell’informatica, della
bioingegneria, dei nuovi materiali, della tutela ambientale.

Di questi
progetti 32 erano relativi alla costituzione di incubatori per imprese.

Le opportunità di joint venture con tali società cinesi
sono estremamente allettanti.
Al momento sarebbero disponibili per le imprese italiane del settore del
software molteplici opportunità che vanno dallo sviluppo di soluzioni
per la gestione della sicurezza in porti e aeroporti, al software per
le Telecomunicazioni, alle applicazioni per l’home banking e i cellulari.
Nell’ambito delle trattative con il partner cinese, è fondamentale
manifestare un approccio serio e affidabile: l’impresa italiana
deve prendere coscienza del fatto che sempre più sono i partner
cinesi a scegliere il Partner straniero.

Sono molte le aziende straniere
(americane, tedesche, francesi, giapponesi) che si presentano ai gruppi
cinesi cercando di conquistare una quota del più grande mercato
domestico del mondo: sono dunque i partner cinesi che devono essere convinti
della bontà dell’impresa italiana. È bene tenere presente
che le imprese straniere sono scelte per "l’unicità
delle competenze": è importante essere trasparenti e concreti,
ricordando che i cinesi di oggi sono dei businessman e non hanno tempo
da perdere.

Su quali progetti vi state impegnando sul fronte tecnologico?
E poi, in ambito software, che cosa prevedete che possa accadere a breve?

Un elemento ulteriore di accelerazione del mercato cinese del software
è legato al concretarsi in questo periodo di uno dei più
grandi processi di privatizzazione della storia del capitalismo. La Cina
ha aperto alla partecipazione straniera i gioielli di Stato sinora protetti
come simbolo dell’economia socialista: capitali stranieri per circa
190 miliardi di dollari parteciperanno al più grande collocamento
in Borsa dell’industria statale cinese: Acciaio, Chimica, Energia
sono i settori interessati al momento, per poi passare ai servizi.

Va da sé quanto questo processo peserà sulla domanda di
soluzioni software che supportino la produzione, la gestione dei processi
aziendali e il decision making. Sono da prendere alla lettera le parole
del vice ministro per l’informatizzazione Chen Dawei che, all’atto della
ratifica dell’accordo sull’e-government con Stanca, ha osservato: «C’è
bisogno di imprese che realizzino ottimi prodotti tecnologici anche per
sostenere l’e-government»
.
Esiste, quindi, lo spazio di mercato per un posizionamento elevato di
nuove imprese, che vada a essere omologato con i brand maggiormente prestigiosi
del software a livello globale.

LASCIA UN COMMENTO

Inserisci il tuo commento
Inserisci il tuo nome