Per avere un futuro l’informatico deve investire sulla formazione

Dai pareri raccolti presso operatori e utenti, emergono discordanti opinioni sulle potenzialità di crescita dei professionisti Ict. Certo è che, oggi, mancano figure specializzate nelle nuove tecnologie, mentre abbondano quelle a basso profilo It. La riqualificazione è vitale.

Da una parte la riflessione di Maurizio Cuzari di Sirmi, secondo il quale è anche la carenza di skill qualificati nell’innovazione a demotivare in Italia le aziende a investire nell’It. Dall’altra, l’avanzare di fenomeni come l’offshore fanno prevedere ad alcuni un progressivo sfoltimento di informatici nelle strutture Ict in Italia, a vantaggio di paesi come India e Cina, dove gli esperti in tecnologie innovative sono molto qualificati, ma a basso costo. Spontaneo viene, quindi, da chiedersi quale possa essere il futuro degli informatici, domanda, peraltro, che vogliamo anche rilanciare ai diretti interessati (visto che stiamo partendo con la nostra annuale inchiesta “Ict: professioni e carriere” si veda la pagina seguente), che per primi, tra l’altro, ci possono dire che aria tira nell’azienda in cui lavorano per quanto riguarda il loro ruolo.


A fine 2003 Gartner aveva annunciato, come vision globale, una riduzione di metà delle aziende di informatica entro i prossimi due anni, vuoi per dismissioni, vuoi per fusioni. Se per alcuni questa è una nota troppo allarmista, certo è che tra le figure It ci sono ruoli che progressivamente scompariranno, se non sapranno riqualificarsi, per lasciare il posto a figure preparate nelle nuove tecnologie nate con il Web. Rimane sempre attuale la scelta di seguire, in caso di licenziamento, la strada del consulente, pratica che negli Usa è molto diffusa e che si sta diffondendo anche qui da noi, o di creare una nuova società (sono state 3mila nel 2003, +3,9%). E visto che la situazione del mercato non è ancora in ripresa, in quanto alcuni analisti prevedono che anche il 2004 sarà un anno conservativo, è plausibile che le figure It vedano calare le richieste da parte delle aziende, soprattutto quelle propense a esternalizzare alcune funzioni It. Tra le figure che rischiano di più, vengono citate il programmatore, che senza una specifica componente tecnologica o un forte valore aggiunto, risulta essere obsoleta, e in generale le figure a basso profilo, le cui funzioni si tende a delocalizzare in paesi a basso costo.


Questa situazione, pur accelerata dall’attuale difficoltà del mercato, non è però una novità, in quanto per sua definizione il mondo dell’informatica è da oltre venticinque anni in continua trasformazione. In un contesto che oggi vede operare in molte società piattaforme eterogenee, ambienti legacy e open, l’informatico deve porsi come l’elemento risolutore, in grado di dare, con la sua professionalità, un ordine al caos ed essere di supporto al business. Gli specialisti di sistemi con competenze trasversali saranno tra i più ricercati, come pure gli specialisti legati alle infrastrutture Internet, in grado di garantire qualità del servizio e sicurezza. Ma serve anche chi, in una società di servizi, nell’ambito dei progetti, sa calarsi con competenza nelle difficoltà del cliente, per poi tradurre le sue esigenze in servizi da offrire. Alla resa dei conti, i settori emergenti sono legati alle tecnologie J2Ee, .Net, Eai, Web service, Xml e mobile, per cui il valore aggiunto che si attende dalle figure It è la capacità di migliorare la catena del valore in azienda, assicurare l’integrazione e l’interoperabilità tra le differenti piattaforme, appoggiandosi sull’infrastruttura Internet, in un’ottica di maggior supporto al business.


Come possono, dunque, gli informatici preservare il loro posto di lavoro? La formazione, sia fatta in modo autonomo dal dipendente che su iniziativa dell’azienda, è ormai vista come una condizione di sopravvivenza per l’informatico, che deve costantemente mettersi in discussione.


Ma le difficoltà per seguire questo percorso non sono poche, perché la formazione ancor oggi è vista dai più soprattutto come un costo, sia in termini di tempo, sottratto al lavoro quotidiano, sia in termini di budget, per cui ancora oggi non si avverte l’auspicata crescita di questo comparto, prevista qualche anno fa, tant’è che tra i primi tagli di spesa delle aziende troviamo proprio la formazione. Tra le preoccupazioni del management nel formare i dipendenti su tecnologie innovative pesa anche la reale preoccupazione di vedersi soffiare un esperto una volta formato, anche se alcune aziende oggi cercano di cautelarsi con specifici accordi in merito. Alla fine di tutte queste considerazioni, quindi, quella dell’informatico è ancora una professione da consigliare?


Resta, sicuramente, un lavoro con forti potenzialità, soprattutto per chi è portato per questa materia e non ambisce a fare carriera in azienda. Finita l’epoca folle della bolla di Internet, dove era il candidato che imponeva le condizioni dello stipendio all’azienda, si è tornati a dare il giusto valore ai diversi ruoli.


Tuttavia, c’è chi oggi ritiene di non dover più consigliare ai giovani di fare l’informatico, ma piuttosto di optare verso lauree che consentano di lavorare nella finanza o nel marketing.


Riteniamo, tuttavia, confortati anche dai risultati di un’indagine di Ibm (si veda box), che l’Ict offra ancora molto spazio, almeno per i prossimi venti anni, perché il ruolo dei sistemi informativi è fondamentale per il business dell’azienda e se c’è un po’ di disaffezione dei giovani verso questo settore è perché forse l’informatico non ha ancora il giusto riconoscimento per far carriera e poter concorrere a diventare un top manager.

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