Per aspera ad Acta

Perché l’accordo anticontraffazione passerà, ma anche perché l’attuale dibattito non dovrà non essere vano ma produrre un seguito.

Al Parlamento europeo sono arrivate, nelle mani della Commissione Petizioni, gli oltre 2,4 milioni di firme raccolte contro l’accordo anticontraffazione sottoscritto dall’Unione europea a Tokio il mese scorso con Usa, Australia, Canada, Messico, Marocco, Nuova Zelanda, Singapore, Corea del Sud e Svizzera.

Un accordo che nei principi era stato abbondantemente studiato, discusso e condiviso dalle parti ma che, avvicinandosi al momento topico dell’entrata in vigore, scoperchia tutte quelle esitazioni o fraintendimenti che lo hanno accompagnato.

Siamo di fronte a un caso di incontro-scontro fra regolatori e cittadini, che parte dal basso, dalla pancia.
Il contrapporsi degli interessi parte, di fatto, da Internet, e lì finisce, perché è quello il terreno del contendere.
E d’attorno si costruiscono una serie di interpretazioni che viaggiano fra il buonsenso e la provocazione, di cui in questo momento sono pieni i social network.

Attualmente il dibattito e la responsabilità è nelle mani dei parlamentari europei, che con un gesto di grande, appunto, provocazione, potrebbero, al momento del voto definitivo, cancellare l’accordo. Così, ci sentiamo di ipotizzare non sarà: Acta alla fine passerà, anche perché non riguarda solo il Web.
Ma non sotto silenzio.
Tutto quanto sta agitando la comunità e le sensibilità politiche dovrà essere tenuto in considerazione per creare il seguito all’applicazione: non si può pensare di regolare un mondo digitale solamente in parte, e se si è fermamente convinti che Acta serve, allora ci si deve dirigere a estenderne la portata su tutto il contesto di riferimento.
Ossia, va trovato il modo per farvi aderire altre economie.
E dalle idee che si stanno diffondendo pensiamo possa emergere questa virtuosa tendenza.

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