Penelope Google

Il modello fai e disfa è sostenibile?

Google riorganizza. Rifocalizza. Dismette. Quest’anno ha deciso a varie riprese, l’ultima l’altroieri, di chiudere alcuni progetti ritenendoli non più affini al proprio business, presente e futuro.
Saranno chiusi, con tempistiche differenti, il fronte energie rinnovabili, Bookmarks, Friend Connect, Search Timeline, Wave, Knol (la Wikipedia con gli occhialini). Si aggiungeranno a Buzz nel mausoleo dei progetti che furono.

Ovviamente ne partiranno altri, e se dovessimo puntare una pizza con gli amici la metteremmo su quelli più versati al video.
Al netto di tutto c’è un doppio commento da fare, lato business e lato utente.
Qualcuno ha già cominciato a caldeggiare a Google una maggiore razionalizzazione nel creare nuovi servizi.

La logica del buttare la palla nel mezzo per vedere l’effetto che fa è più un vestito da startup, che chi ambisce a essere (di fatto lo è già) un colosso planetario dovrebbe smettere.

Chi si erge a modello deve trasmettere un senso profondo di continuità. Gli piaccia o no, deve essere il meno volatile possibile.
Di mezzo ci sono gli utenti (noi). Altro caso di attualità: chiedere a quelli di Splinder che cosa comporti non avere garanzie di continuità nel servizio e cosa significhi ricostruirsi una reputazione in logica Adsense.

Più in generale: nel sistema Internet praticare il modello della gratuità non mette al riparo da rivendicazioni degli utenti. Non si parla ovviamente di class action, ma di quel comune sentire che genera fiducia, se non speranze.
Non è un discorso retorico, ma è la base dell’economia: anche l’inflazione vive di attese.

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