Outsourcing, sinonimo di flessibilità

Gli It manager di Antolini e Master spiegano il loro approccio all’esternalizzazione dei sistemi, alternativa che una Pmi dovrebbe valutare per garantire il giusto apporto di innovazione

La valenza dell’outsourcing è ben rappresentata dall’esperienza di Antolini e Master, rispettivamente attive nel mercato della pietra naturale (circa 200 dipendenti) e della telefonia (poco meno di 150 persone). La prima ha deciso di affidare completamente all’esterno la gestione dell’It, la seconda conta su due risorse interne (oltre a un programmatore part time), ma fa largo uso dell’outsourcing «per garantire il giusto apporto di know how e maggior flessibilità di utilizzo», spiega Nicola Pantera, Edp manager di Master. E pare che sia proprio la flessibilità la chiave di volta che spinge all’outsourcing.


«Antolini è nostro cliente da oltre dieci anni – spega Marco Ferlini, nella doppia veste di amministratore delegato di una società di servizi e di responsabile It di Antolini -. Mi muovo proponendo gli acquisti al management, che poi decide, ma, fondamentalmente, una Pmi non può permettersi uno staff Edp particolarmente sviluppato, anche se lavora 365 giorni all’anno. È troppo oneroso avere sempre qualcuno disponibile e aggiornato. Un vantaggio dell’outsourcing è che paghi le risorse in base alla reale necessità».


Un aggiornamento costante


Ferlini potrebbe essere considerato in conflitto di interesse, ma, sicuramente, l’aggiornamento tecnologico, necessario per non far stagnare le soluzioni, rappresenta una necessità che si trasforma, inevitabilmente, in impegno e costi. In linea con questa interpretazione è anche Pantera, che dedica diverso del suo tempo al reperimento di informazioni: «Preferisco, però, partecipare a meeting con persone del mio stesso campo per scambiare pareri e confrontare esperienze. Dal lato fornitori, poi, visto che mantenersi al passo con le nuove tecnologie richiede un investimento economico, bisogna stare attenti a non essere usati come “cavie” o “banco scuola”». Un punto, però, differenzia l’approccio all’outsourcing di Ferlini e Pantera. Per quest’ultimo, infatti, «è indispensabile che la mente pensante sia interna all’azienda e collegata in modo indissolubile alla direzione. Però, è altrettanto giusto che a determinati compiti sia destinato personale con skill specifici, che sarebbero difficili e costosi da formare direttamente». Così, Master ha deciso di mantenere internamente solo l’help desk dedicato agli utenti. «Il problema che abbiamo dovuto affrontare in questo frangente – spiega Pantera – ha riguardato la scelta dei partner; i rapporti che si instaurano con un outsourcer sono molto stretti e spesso legati alla gestione di dati riservati, come il fatturato o l’e-mail. Molto importanti diventano, quindi, le garanzie offerte e la flessibilità, che è alla base di ogni legame. È inutile chiudersi in regole ferree quando poi si ha bisogno di un intervento il 24 dicembre. Spesso è meglio un rapporto aperto, capace di accettare le urgenze di entrambe le parti». Anche per Ferlini, la duttilità dei fornitori è un punto determinante: «Nell’approvvigionamento, le regole sono elastiche. In generale, se una struttura è ben progettata, e non si è andati troppo al risparmio, non ci sono grossi contatti con il fornitore. A meno che si blocchi il sistema». Su tutto, comunque, continua a contare il rapporto personale, la fiducia che, per ora, nessuno dei due manager ha nei confronti dell’opensource a livello desktop. «Il software libero è adatto per applicativi di servizio ma non è ancora abbastanza maturo per lavorare dal lato office – prosegue il Ferlini -. Gli utenti non sono abituati. Abbiamo fatto alcune prove e, sicuramente, porta risparmi in termini di licenze ma costi aggiuntivi di gestione. Va, invece, benissimo dal lato server e in strutture molto dedicate». Anche Master ha affrontato l’argomento, «ma senza molto successo – precisa Pantera -. Gli utenti si sono trovati in difficoltà con le varie compatibilità e abbiamo preferito congelare, momentaneamente, il tutto. Un ambiente open è, comunque, necessario per contrastare l’attuale egemonia di mercato, ma è presto per l’inserimento in realtà come la nostra».

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