Outsourcing sì, outsourcing no: cinque Cio a confronto

Che si scelga l’uno o l’altro, il modello condiziona il ruolo del responsabile dei sistemi informativi in azienda. Pubblica o privata che sia.

Si sa: una cosa è avere un’It strutturato internamente e totalmente organizzato per rispondere alle esigenze dell’azienda attraverso risorse interne.

Un’altra è scegliere un modello organizzativo che prevede l’adozione di outsourcing totali, parziali o accessi a linee di servizi acquisite, di volta in volta, in base alle singole necessità.

Richiamata, a Gubbio, da Mario Pagani, Ict area tecnico-operativa, Gruppo A2A, in occasione della tavola rotonda organizzata da Richmond Italia, è questa la riflessione attorno alla quale si sono raccolti i pareri dei Cio intervenuti a discutere in merito all’evoluzione della propria figura all’interno delle aziende.

Dove è il percepito quel che conta davvero
Coinvolto negli aspetti operativi della realtà nata nel 2008 dalla fusione della Aem di Milano e della Asm di Brescia, per Pagani «è il modello It che prevede l’outsourcing come risorsa su cui far leva ad avere una forte connotazione strategica all’interno dell’organizzazione».
Per converso, però: «Nel modello che prevede l’internazionalizzazione dell’It vi è un rapporto con i colleghi delle altre linee di business sensibilmente più agevolato».

Ne sa qualcosa Donato Saccone che, in qualità di responsabile Ict in Marepronto, pur parlando di una realtà di oltre 200 persone, negli anni si è trovato a gestire da solo l’Information e communication technology demandando in outsourcing, per necessità, una serie di funzionalità e servizi «anche perché nelle zone limitrofe del Molise non è facile trovare aziende in grado di supportare l’It di cui necessitano realtà come la nostra».

Ancora una volta, «ciò che non è tangibile non è quantificabile», e «si interviene solo quando si presenta il problema agendo, spesso, quando è troppo tardi».

A lui è rivolto il consiglio di Alessandro Musumeci di «lavorare giorno dopo giorno per dimostrare l’effettivo valore di quello che si fa» lasciando da parte la complessità tecnica «che, chi è al di fuori, difficilmente può comprendere».
Da tre anni Cio di Gruppo Ferrovie dello Stato Italiane dopo una serie di altre esperienze, anche come direttore dei sistemi It presso il ministero dell’Istruzione, dell’università e della ricerca, oltre che nel comune di Milano, per Musumeci la vera sfida del Cio oggi «è rendere sostenibile l’innovazione facendola comprendere sia ai vertici in azienda, sia presso gli utenti finali, ormai allineati dal crescente fenomeno della consumerizzazione».

Cio attenti organizzatori
La pianificazione strategica è, dunque, anche quella di saper seguire l’utente passo, passo in una visione operativa che si confà a Pietro Berrettoni, manager Ict, global demand manager, Gruppo Angelini. Dopo trent’anni spesi in realtà di medio-piccole dimensioni, prima di approdare in Gruppo Della Valle come primo It manager di Tod’s, «la parola chiave è organizzazione».

Anche «per convincere l’amministratore delegato a investire di più perché l’azienda sia sempre competitiva».

Peccato, torna a ribadire Pagani, «che il livello di servizio erogato da un It interno, rispetto a quello fornito pur con livelli di servizio elevatissimi da un ousourcer non ha lo stesso peso nella percezione degli utenti». Tanto che, per sopperire a questa percezione di minor servizio, «il Cio deve relazionarsi costantemente con gli utenti in azienda, che non devono percepirsi come un ostacolo».

Questione di empatia
Va da sé, allora, che l’It manager deve entrare in empatia con colleghi, superiori e collaboratori, fungendo anche da interfaccia umana con l’eventuale outsourcer e gli utenti in azienda. «Ma se mentalmente, chi fa il nostro mestiere è avvezzo a guardare al lungo periodo, gli utilizzatori finali della tecnologia in azienda cercano il beneficio già a breve distanza» è il commento di Saccone.
Tanto che la volontà espressa dal responsabile Ict in Marepronto è «espanderci, anche grazie al nuovo stabilimento aperto in Turchia e riportare al nostro interno le risorse che abbiamo esternalizzato  facendo crescere le figure professionali che già si hanno in casa».

Total pro outsourcing
Per Claudio Tancini, It operation manager in Gruppo Zurich Italy e outsourcer “by definition”, «non è il modello outsourcing o insourcing a fare la differenza ma come lo si implementa all’interno dell’azienda. Certo – è l’ulteriore commento -, quasi mai la fase iniziale dell’esternalizzazione è positiva», ma è sulla qualità dei supplier che ha puntato il Gruppo assicurativo che, in outsourcing, ha demandato sia il proprio desktop management che la gestione di tutta la rete, fino all’esternalizzazione dello sviluppo applicativo.

I flop non mancano
Di tutt’altra esperienza positiva può, invece, parlare Ferrovie dello Stato Italiane che, dopo decenni trascorsi con un It interno di oltre un migliaio di persone, negli anni ’90 ha gestito l’evoluzione del mercato creando, nel 1996, una società mista, di circa 600 persone, chiamate a guidare e a gestire tutti gli sviluppi It da commercializzare anche sul resto del mercato europeo.

Peccato che, in dieci anni, la società di cui accenna Musumeci «si sia trasformata in un costo che, non solo non ha favorito l’innovazione, ma ha ulteriormente gravato sul deficit di Ferrovie dello Stato che, oggi, è tornata ad affidare a un gruppo interno di circa 300 persone la gestione della propria It assegnando all’esterno una serie di servizi realizzati in base a Sla concordati e buoni livelli di governance».

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