Nuovi modelli di scelta per il sourcing dell’Ict

Attivo dal 2005, l’Osservatorio Ict Strategic Sourcing della School of Management del Politecnico di Milano, per il quarto anno, nella seconda metà del 2009 ha tracciato una fotografia degli orientamenti delle aziende italiane rispetto all’outsourcing. …

Attivo dal 2005, l’Osservatorio Ict Strategic Sourcing della School of Management del Politecnico di Milano, per il quarto anno, nella seconda metà del 2009 ha tracciato una fotografia degli orientamenti delle aziende italiane rispetto all’outsourcing. «Nell’ultima edizione – ha detto Alessandra Luksch, ricercatrice degli Osservatori Ict & Mangement – ci siamo focalizzati sugli impatti che il contesto economico degli ultimi mesi ha generato sui comportamenti della direzione Ict e in particolare sulle scelte di sourcing. In secondo luogo abbiamo voluto capire come, in questo contesto, i nuovi modelli di offerta, quelli che vanno sotto il cappello generico di pay per use, as a service, cloud computing, hanno in qualche modo trovato una loro via per inserirsi tra le alternative per i Cio». La ricerca ha approfondito oltre 80 casi tra imprese e Pubbliche amministrazioni e realizzato una survey su 179 Cio e anche su 30 dei principali player del mercato.


Come ha osservato Luksch, sono stati identificati dei modelli di direzione Ict in base a due asset principali: da un lato il ruolo riconosciuto alla direzione Ict per il business dell’azienda, che può andare da un supporto prettamente operativo, quindi di automazione dei processi correnti, fino a un supporto più di natura strategica, diventando parte del modello di business. Il secondo asse, invece, è l’orientamento all’esternalizzazione, chiamato profilo di sourcing, cioè quanto l’azienda è propensa a esternalizzare o meno le proprie attività. E questo, diviso in quattro configurazioni, può andare da un “profilo completamente integrato”, in base al quale una società tende a svolgere tutte le attività della propria catena del valore Ict all’interno, fino a un estremo di “profilo d’acquisto”, cioè di una direzione Ict che tende ad acquistare la maggior parte delle proprie attività all’esterno, gestendole attraverso le terze parti. In mezzo ci sono due configurazioni intermedie: “profilo di gestione”, tipico di quelle direzioni Ict che mantengono all’interno le attività di gestione corrente e delegano invece al fornitore lo sviluppo di nuovi progetti e “profilo di sviluppo” adottato da quelle direzioni che preferiscono mantenere all’interno la gestione dell’innovazione e delegano all’esterno invece le operation correnti.


Cinque modelli di direzioni Ict


Per cui in base a queste specifiche, le aziende sono state classificate in cinque modelli. Uno è l’Ict Buyer, cioè l’azienda che acquista prevalentemente all’esterno e mantiene all’interno solo parte della governance: in questo caso i ruoli principali della direzione saranno i gestori dei fornitori. Un secondo profilo è l’Ict Focused Factory, dove la direzione Ict ha come alter ego organizzativo la fabbrica, con tutte le gerarchie e i livelli operativi: qui tutte le attività sono svolte all’interno.


Nell’Ict Core, il ruolo dell’Ict è strategico per l’azienda: la tendenza è quella di mantenere tutto all’interno, e la direzione Ict è vista come una linea di business, con un vertice che ha voce in capitolo.


Nell’Ict Open Lab, quarto modello, l’Ict lavora in una logica di laboratorio aperto, esternalizza molto ma sceglie in una logica di best of breed, disposta anche a cambiare da un anno all’altro, in una logica di forte integrazione, in quanto comunque all’interno vengono mantenute le competenze chiave anche di tipo tecnologico per poter lavorare in modo integrato con i fornitori e presidiare la genesi dell’innovazione. Infine, quinto modello, l’Ict Change Agent, è il caso tipico in cui l’azienda sta attraversando una fase di trasformazione, semplice come l’implementazione di un Erp o più complessa come una merger/acquisition. In questo caso, alla direzione Ict viene spesso chiesto di svolgere il ruolo di agente del cambiamento, anche in termini di change management, per cui si trasforma in una società di consulenza interna.


«Abbiamo però notato che queste configurazioni non sono stabili – ha proseguito la ricercatrice – ma hanno una forte dinamicità nel tempo, per cui molte aziende su spinte esogene, come la variazione delle tecnologie, le merger/acquisition, le compliance, hanno cambiato le proprie configurazioni di sourcing. Dall’altro lato ci sono motivazioni di tipo endogeno, legate alla relazione tra cliente e fornitore che nel tempo si modifica, perché si riesce a lavorare in modo diverso». In particolare, l’indagine ha identificato quattro percorsi che possono stigmatizzare i diversi movimenti. Insourcing, cioè la reinternalizzazione di alcune attività Ict, dove la criticità maggiore è il recupero delle competenze dismesse; Outsourcing, dove la criticità è la gestione delle risorse umane; Strategicità (sviluppo strategico) e in questo caso la criticità è la velocità, in quanto il business dà tempi stringenti e l’Ict rischia di diventare un collo di bottiglia; Commoditizzazione, che si verifica quando le tecnologie che hanno fatto la fortuna di alcune aziende diventano invece un asset comune all’interno delle aziende del settore. E come esempio Luksch cita il call center, che per una realtà come Vodafone è stato la chiave di volta qualche anno fa, mentre ora è diventato una commodity tra gli operatori del settore. Ci sono, dunque delle tecnologie e degli aspetti del business che non fanno più la differenza. Anche l’Internet banking ormai non è più un differenziale competitivo, in quanto tutte le banche devono averlo. In questo caso la criticità è non accorgersi di tutto questo.


Il rapporto con i partner tecnologici


Oggi, quindi, il tema è come assortire un portafoglio di sourcing, in quanto non c’è un modello unico, ma esistono almeno i cinque modelli prima citati per realizzare un proprio portafoglio di sourcing, per rispondere alle esigenze del business. L’idea non è più una esternalizzazione, ma un co-governo con il partner tecnologico, non più solo esternalizzazione di attività di commodity ma anche attività core, gestione di un portafoglio eterogeneo di fornitori e di attività in outsourcing, relazioni dinamiche e tra loro interdipendenti.


«La domanda che ci siamo fatti nell’ultima indagine – ha sottolineato Luksch – è se con l’avvento della crisi tutto questo sia ancora vero. In realtà in questi ultimi 18 mesi due sono stati i driver che hanno pesato sulle decisioni dei Cio: la crisi finanziaria e nuovi modelli di offerta come il cloud computing. La crisi finanziaria ha portato difficoltà di accesso al credito e quindi di investimenti e magari necessità di smobilitare alcuni asset per liberare capitali, con una forte enfasi sui risultati a breve e soprattutto misurabili trimestralmente. Oltre a questo, si sono innestate necessità di spingere su globalizzazione, semplificazione, standardizzazione e razionalizzazione delle risorse, per evitare gli sprechi. In questo contesto, ci chiediamo quindi se sono state messe in discussione le scelte di sourcing, i rapporti con i fornitori e se l’enfasi sul costo ha eliminato ogni tentativo di basare la relazione su altri elementi, come la partnership, l’innovazione, lo sviluppo delle competenze. Dalla nostra survey, per i settori finance, utility e Tlc non sembra essere emerso un particolare restringimento dei budget che invece si è verificato nell’industria».


Maggiore apertura a esternalizzare


In base alle domande fatte al ruolo che la direzione Ict ha in azienda, là dove è vista come leva strategica si evidenzia un significativo aumento dei budget (per il 42% del campione) che chiaramente non si verifica in realtà dove è vista come un ruolo operativo (solo un 15% di aumento), per cui «come trend in atto si osserva che chi spendeva continua a spendere, chi risparmiava sull’Ict lo farà ancor di più in futuro, per cui la differenza sarà ancora più netta. Riguardo al budget dedicato ai servizi in outsourcing, i comportamenti sono diversi e si è evidenziato che i trend di spesa sono generalmente in crescita per oltre il 30%, con prevalenza di progetti di supporto ai processi, mentre l’area infrastrutturale appare più stabile».


«Abbiamo chiesto a 179 Cio e 30 vendor quali appaiono i principali effetti della congiuntura economica – ha commentato Luksch -. Mentre i vendor hanno indicato che le aziende sono più propense all’esternalizzazione dell’attività Ict, per i Cio questo non è risultato vero in quanto hanno messo questa tendenza al quarto posto, per cui ci siamo chiesti il perché di queste opinioni così diverse, procedendo con 80 interviste dirette per avere una chiave più qualitativa di questi risultati. È tuttavia emerso che effettivamente da parte dei settori più resistenti all’outsourcing in questo periodo c’è una forte apertura a considerare l’esternalizzazione di alcune attività come una possibile leva. Nello specifico sono Pa, finance e alcune grandi utility italiane, assimilabili un po’ alla Pa, che hanno sempre gestito l’outsourcing come un tabù. Invece in questi ultimi mesi ascoltano di più i fornitori e valutano le loro proposte e questa è la chiave di lettura del perché i vendor vivono questa sensazione di maggior esternalizzazione. Per contro, la direzione Ict valuta sì le proposte, ma poi si trova a dover fare i conti con la necessità di saturare le capacità interne, per cui viene usata la tattica di rinunciare a qualche consulente, per mantenere le capacità interne, sotto la spinta di dover portare dei risultati e ridurre i costi».


I temi risultati importanti per i Cio nel 2009, sono stati la riduzione del numero dei fornitori e la rinegoziazione dei contratti in un’ottica di risparmio. Entrando nel merito di qual è, nella relazione di outsourcing, l’approccio prevalente alla luce della congiuntura economica, nello specifico lo stile di relazione prevalente per i vendor è stato negoziale, ma gli sforzi di questi ultimi a intervenire sui prezzi per non perdere i clienti sono stati invece interpretati dai Cio come convergenza di obiettivi e collaborativi.


Conclusione


Traendo le somme di quanto emerso dall’indagine dell’Osservartorio, secondo Luksch, là dove l’azienda crede nell’Ict non ha tagliato i budget per il 2010, magari ha cambiato le priorità e ha chiesto di realizzare prima gli obiettivi. Se invece non ci crede, ha lasciato solo il minimo indispensabile per la gestione corrente. Per un Cio innovativo, l’outsourcing rimane un’importante leva nelle sue mani e non deve viverla come una perdita di ruolo. Anzi, attraverso l’outsourcing e delle buone scelte di sourcing può rispondere meglio al suo business, e quindi essere un valido Cio.


Per quanto riguarda i nuovi modelli di offerta, ci sono molte applicazioni concrete, però se da un lato le tecnologie esistono, pochi sono i modelli di business effettivamente pay per use, in quanto i Cio lamentano che poi alla fine i contratti devono essere almeno di un anno, devono fare consumi almeno di un certo tipo, per cui bisogna ancora uscire dalla logica dei vecchi contratti prima di poter parlare di reale pay per use. Inoltre, pur vivendo nel mondo di Internet, il fatto di avere i dati su un cloud è ancora molto diverso rispetto ad averli su un server in casa, pur collegato alla Rete, perché la sicurezza dei dati è un problema molto sentito da tutte le aziende.

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