Non temete il cloud, fa innovare

I professionisti It devono guardare alla nuvola come a un’opportunità, parola del Chief marketing officer di Emc, Jeremy Burton.

Si percepisce che c’è un aspetto del cloud che non convince a fondo i lavoratori It, che spesso lo vedono come un “lato oscuro della forza“, qualcosa capace di distrarre professionalità dal loro compito senza in cambio restituire nuove opportunità.
Ce lo conferma Jeremy Burton, Executive vice president e Chief marketing officer di Emc (manager di esperienza, con un passato in Serena Software, Symantec, Veritas, Oracle): «gli It professional temono il cloud. Lo vedono come un’esternalizzazione e tendono a combatterlo. Ma è sbagliato vedere il fenomeno tutto bianco o tutto nero».

Cosa qualifica positivamente, allora, il cloud, al cospetto di chi nell’It ci lavora da vent’anni? «Il fatto che consente di eliminare proprio quelle inefficienze che si sono accumulate nei decenni – dice Burton -. Il cloud è per il business e se l’It lavora per il business allora può utilizzarlo per fare quell’innovazione che oggi gli viene chiesta». Stiamo parlando di applicazioni, metodi, processi, modalità operative che «tendano a ridurre le complessità».

Nel senso delineato da Burton il cloud, allora, restituirebbe all’It il primato dell’innovazione, con nuovi schemi e altre disposizioni sul campo.

Un cloud che entra in azienda se non proprio dal basso, da un livello intermedio, per poi arrivare sui tavoli dei Cxo, allettati anche dalla vulgata e dai fenomeni eclatanti patentemente visibili dei cloud pubblici, forieri di facili risparmi.

Sì, il cloud che entra per far risparmiare, magari scelto da un Vp di un datacenter, riesce a catturare subito l’attenzione del Cio. Ci mette «tre, massimo sei mesi» secondo Burton, e così ben avviato arriva anche a un tavolo più in alto e comunque laddove c’è sensibilità per la tematica costo.

Anche se il cloud non è solo materia di costo. Lo è, spiega Burton, nei casi in cui si tratta di ottimizzare applicazioni di livello medio-basso (tier 1 e 2), da campo.
Per quelle più critiche (tier 3 e oltre) le analisi di adozione devono contemplare il tema della sicurezza e dei dati critici.
Il che non implica che il cloud non sia adeguato o, peggio, insicuro. Piuttosto che, privato o pubblico che sia (meglio: un mix delle due modalità, per Burton) va confrontato con le policy aziendali e con le istanze di chi ha la responsabilità di gestione dei dati sensibili (e qui entrano in gioco le normative).

Siamo di fronte a un fenomeno paradigmatico, quindi, che ha quasi saputo cancellare dalla lavagna delle cose da fare il green It, sublimandolo, per Burton. Il tema non è dimenticato, ma trasformato: «Prima abbiamo virtualizzato i server, adesso abbiamo bisogno di tanto storage per sostenere le infrastrutture virtuali. Ma ora c’è la deduplicazione», che suona un po’ come la fase green dello storage. E anche i dischi allo stato solido (Ssd), ai quali Burton ascrive la capacità taumaturgica di cambiare i datacenter “nel giro di cinque anni“.

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