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Come Netflix mette a profitto i suoi big data

Succede che una sera Netflix pubblichi un tweet dove in maniera un po’ sfacciata dice che sta tracciando gli utenti che guardano un certo film.

La cosa ha provocato molte discussioni, perché in sostanza Netflix ha ammesso che stava analizzando i metadati dei telespettatori allo stesso modo in cui i notiziari e i siti web editoriali guardano le pagine viste al fine di determinare il tipo di articoli raccolgono maggiori visite.

I big data sono fondamentali anche per Netflix

Non bisogna essere sorpresi. L’analisi sofisticata e i grandi strumenti di decisione dei dati guideranno le reti in modo da indirizzare la pubblicità verso chi sta visualizzando quel contenuto in streaming.

Per gli inserzionisti, questo è uno degli strumenti migliori dei quali dispongono. Oggi, tutto ciò che hanno è tempo, slot, valutazioni e popolarità del pubblico basato su Nielsen, così come demografia locale.

Tutto questo è tecnologia legacy e roba da vecchia scuola di business. A seconda dello spettatore, che sarà profilato in base alla propria impronta di social network e ai dati storici di visualizzazione forniti da tutti i loro fornitori di contenuti (presumibilmente attraverso partnership commerciali), riceveranno annunci televisivi personalizzati inseriti dinamicamente nei loro stream.

E sarà loro detto quali altri programmi guardare. Netflix in realtà non ha utilizzato questo tipo di informazioni per indirizzare la pubblicità, ma sta sicuramente usando questi dati per determinare il futuro della sua programmazione.

L’azienda sta solo ammettendo di fare cose che anche i suoi colleghi del settore sono impegnati a fare ma non ammettono apertamente: la monetizzazione dei dati dei clienti.

Tutti gli altri big player del mondo dei media sono impegnati in questa pratica. Ciascuna di queste aziende utilizza i propri dati di visualizzazione per decidere quali programmi produrre o concedere in licenza.

E i loro inserzionisti vogliono che questi dati focalizzino i loro sforzi nell’inserimento di prodotti sui loro migliori target demografici.

La profondità con cui stanno analizzando i propri dati è sconosciuta. Netflix ha ammesso di esaminare le opinioni aggregate di un numero totale di telespettatori ripetuti per un certo periodo di tempo, il che, francamente, è abbastanza innocuo.

Permette loro di evidenziare specifici tipi di contenuti in base alle varie tendenze.

Analisi più complesse che individuano l’identità di utenti specifici e si rivolgono specificamente a quegli utenti con contenuti e pubblicità promossi, al di fuori del target demografico generico, non è ancora qualcosa che l’azienda ha ammesso.

Secondo alcuni però il problema non è tanto l’uso interno dei dati ciò che le aziende decidono di fare tra loro, ma in particolare la correlazione dei dati tra i servizi.

Per esempio a Facebook probabilmente piacerebbe sapere quali programmi televisivi si guardano su Hulu o Netflix. Oppure che Netflix o Hulu vorrebbero sapere cosa cliccate e i like su Facebook o Twitter

Il modo in cui queste aziende decidono di condividere informazioni tra loro o ciò che sono in grado di ricavare dal comportamento dell’utente è il vero problema. In più aggiungiamo il fatto che questi servizi hanno sempre maggiore importanza nel nonstro consumo dei contenuti e che si va verso un’integrazione dei servizi con la possibilità per più attori di raccogliere i dati.

Il problema è che queste società possono prendere decisioni di programmazione e, come Facebook mostra solo alcuni contenuti, mostrarci solo ciò che loro decidono vada bene per il nostro target socio-demografico. In pratica un algoritmo deciderà i nostri consumi culturali. Forse per un Paese e una democrazia non la ricetta migliore.

 

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