Nell’It non si fanno miracoli, ma solo programmazione

Dalla ricerca all’ibridazione dei sistemi, dalla formazione al cloud: con Paolo Degl’Innocenti, vice President Systems and Technology Group di Ibm, il punto sull’high tech aziendale oggi.

01Net – Ibm, Sam Palmisano in testa, sta riprendendo in mano il pallino della ricerca e sviluppo, comunicando la propria attitudine a fare R&D come presupposto base per la crescita. Perché adesso?

Degl’Innocenti – Oggettivamente è difficile fare It senza R&D. Chi punta solo sui volumi preferisce avere modelli di business a R&D moderata. Però Ibm fa valore. Il che significa creare soluzioni nuove. Lo puoi fare in due modi: con crescita endogena e acquisendo tecnologia. Sam Palmisano ha ribadito recentemente entrembe le cose: noi facciamo e compriamo. La strategia è chiara da un pezzo. Perché ne riparliamo ora? Noi a volte dimentichiamo di sottolineare i nostri valori, dandoli per scontati. Invece abbiamo il record dei brevetti, investiamo sistematicamente 6 miliardi di dollari all’anno in R&D. Solo nel 2010 abbiamo fatto tanti di quegli annunci tecnologici, dal P7 all’X5, dallo storage all’xEnterprise, da cambiare lo scenario It. Esempio: per portare il P7 sul mercato ci sono voluti 4 anni di elapsed time. Già adesso abbiamo sviluppato il P9 e il P8 è in fase di test.

Passiamo ai sistemi: il recente zEnterprise si erge a simbolo dell’ibridazione con cui si devono intendere i sistemi aziendali oggi. Cosa significa?

Se si fa la fotografia a un cliente, qualsiasi, si scopre che ha già in casa un sistema ibrido. Magari fa Oltp su mainframe, ha la business intelligence su Unix, le applicazioni Web su Intel. Il che non significa che i clienti siano pazzi, ma che sanno che per ogni tipo di lavoro si cerca il minor costo per transazione.

Il punto, allora è il workload. È chiaro a tutti o solo al Cio?

Deve essere chiaro alle persone It e anche ai manager di aziende di una certa dimensione. Alcuni vendor stanno puntando sul messaggio che c’è un blade per tutto, il classico one size fits all. Il lavoro nostro, invece, è corroborare gli slogan con studi applicativi che dimostrino che abbiamo capito il parco applicativo e il posizionamento dei workload. E per qualsiasi workload abbiamo la piattaforma.

Veniamo ai mercati: le ultime cifre di Assinform dicono che in Italia all’It manca un miliardo di euro. È finito nei meandri della crisi o c’è dell’altro?

Io ho una visione più alta della media per la seconda metà del 2010. Ora il mercato ha più opportunità, in tutte le fasce di utenza, Smb compresa, che è un termometro importante. Abbiamo sempre più clienti che ci chiedono interventi di ottimizzazione It.

La spirale del basso costo porta inevitabilmente a dare bassa qualità all’It. Il dramma è che ci si abitua.

La tendenza a comprare risparmiando c’è. Ma c’è anche un sistema d’offerta che lavora sullo sconto più alto. Non sono ottimista che il problema si risolva, ma vedo segnali di luce da parte dei grandi clienti che stanno mettendo in discussione il modello di fare It e sono pronti ad ammodernare il data center. A dimostrazione di un’apertura di pensiero più ampia. Mentre il Tco per alcuni anni fa era vaporware, ora Capex e Opex vengono trattati con attenzione. La qualità non passa mai di moda: il dimensionamento di un Erp non lo si fa con la logica dell’un tanto al chilo.

Utility, finance, Pa, sanità: interessano perché vi girano soldi. Non si rischia di trascurare il manufacturing?

Tranne che per pochi casi quello del manufacturing è un mondo di media utenza. Il punto sono i partner, con cui lo sforzo da fare è congiunto. Nella grande utenza l’ottimizzazione It c’è. La media non ci pensa ancora a fondo. Per noi il manufacturing è importante, ma decine di migliaia di clienti, quanti sono i nostri, non si affrontano da soli, servono partner qualificati.

Anni fa si parlava spesso di scarsità di competenze It, ora non lo si fa più. La formazione è un concetto antiquato?

Vero che non se ne parla più ma il problema esiste. E torniamo ai partner. Se uno non ha investito negli anni in competenze storage, per esempio, sul mercato non ci sta, almeno che non le compri. Lo skill upgrade da sistemista ad architect in sei mesi non esiste. E l’education a pioggia, che abbiamo fatto per dieci anni, oggi non serve più. Serve essere specializzati.

Al manager medio oggi interessa di più lo smartphone, il computer o il server?

Il primo, ma è normale, perché lo usa per accedere ai servizi.

Se dovesse spiegare il cloud in dieci parole a chi ne ha viste di ogni colore nell’It, come lo farebbe?

Se vogliamo mettere nel contesto del cloud computing i vecchi servizi, allora non c’è niente di nuovo. Ma se parliamo di cloud privato, allora bisogna efficientare l’infrastruttura e quindi ottimizzare. E questo discorso lo si può affrontare ex-novo.

Se lo dovesse spiegare in dieci parole a chi è convinto che l’It sia nata con l’iPad, come lo farebbe?

Dicendo che in ottica full cloud per abilitare 50 programmatori a lavorare ci vogliono 20 minuti, mentre in ottica tradizionale, giorni, se non settimane.
Il cloud non è un miracolo, ma è un fatto di infrastruttura.

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