Nei videogame la fantasia deve tornare al potere

Sembra paradossale ma il mondo dei videogiochi pecca di innovazione. Non certo per l’hardware, ma per le trame dei giochi, spesso, sempre le stesse

L’antipasto di trailer offerto durante la presentazione di Xbox 360 non ha
regalato significative novità. In discussione non ci sono certo la grafica e le
potenzialità della nuova console di Microsoft, quanto i videogame che
arriveranno sul mercato nei prossimi mesi. A parte le tonnellate di violenza, i
temi che ricorrono sono sempre gli stessi. Il combattimento contro i
mostri
, l’ennesima versione di Fifa, i marines che combattono in uno
scenario che ricorda quello di Bagdad, due tizie che si menano a più non
posso
e l’immancabile corsa delle auto in città riprodotte sempre
meglio e con dettagli impressionanti.



Nulla di nuovo sotto il sole. E non da
oggi
. E il problema non riguarda certo solo i giochi per la nuova
console di Bill Gates. Colpa dei costi di sviluppo sempre più alti di un settore
al momento incapace di rischiare e un po’ ripiegato su se stesso. Rispetto ai
primi videogiochi, infatti, i costi di sviluppo sono esplosi. Marko Hein,
responsabile dell’european developer business di Nintendo, in un’intervista a
gamesindustry.biz racconta come budget e tempi di sviluppo abbiano
raggiunto ormai dimensioni preoccupanti

.“Sviluppare per Super Nintendo costava dai 10 ai 15 mila euro, per passare a un milione di euro per Gamecube e oltre 20 milioni, ma più probabilmente 25 per la prossima Ps3”.



E questo nonostante il
prezzo finale

dei videogiochi non sia aumentato in proporzione. Anche perché si chiede Hein “quale consumatore sarebbe disposto a pagare cento euro per un videogioco?”. Visto che il prezzo non può
aumentare allora bisogna sfornare prodotti sicuri, a prova di flop. Per questo è
ormai consolidato il meccanismo che vede nascere un videogioco
dal film, il prossimo King Kong di Ubi Soft per esempio, oppure ci si rifugia
nei sequel, l’edizione migliorata di un gioco già presente da anni come Lara
Croft, Final Fantasy, Fifa, Nba Live e altri titoli. Per assurdo un’industria
giovane come quella dei videogiochi ha al momento poco da dire per quanto
riguarda l’innovazione intendendo con questo la realizzazione di nuove
storie

. A differenza di quanto succede nel cinema, dove
ci sono i film dai budget stratosferici e le storie fatte con investimenti
limitati, ma non per questo non di successo, il gigantismo domina il settore che
dalla old economy del cinema ma anche della musica avrebbe molto da imparare.


Secondo Hein, infatti,  con questa situazione (alti costi di sviluppo, prezzi
finali immutati) l’unica strada percorribile è di fare crescere il
mercato

che in Giappone è
stagnante e mostra invece buoni segnali in Europa. Ma non è un problema di
aree geografiche, quanto di target. E qui l’uomo di Nintendo ripropone l’annoso problema del
target femminile, che praticamente gioca solo a The Sims, ma che rimane
ancora escluso dalla massa dei titoli in circolazione (anche se i dati Nielsen
relativi all’Italia dicono soprendentemente il contrario). Sarà anche perché la gran parte degli
sviluppatori è maschio, ma mancano titoli per l’universo femminile. Hein vede il
mondo degli sviluppatori come un mondo autoreferenziale che costruisce
giochi che piacciono a loro o per gente simile a loro
. Le grandi case discografiche cercano di individuare un target e
che tipo di musica vuole quel gruppo sociale. Una situazione che si trova molto
raramente nel mondo dei videogiochi che Hein definisce “developer
driver”
e non “marketing
driver”
.
Capire il mercato è l’invocazione del manager del colosso
giapponese stufo di veder presentare progetti basati più sui personaggi che sul
gioco. “What’s the game?” è la prima domanda che pone
a chi gli presenta un nuovo perosnaggio. Ma la risposta
invariabilmente è “Questo lo vedremo dopo”. Approccio sbagliato, è la sentenza. Nei videogame la fantasia deve
andare al potere.

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