Namaste

Nel fiume di Rip e formule di circostanza sulla scomparsa di Steve Jobs spicca quella, autentica, di Bill Gates.

Accade che per ricordare un uomo fra i più geniali e innovativi di sempre ci si immerga nel mare del luogo comune.
Il contrario di quello che crediamo fosse intenzione di Steve Jobs insegnare.

Su quanto fosse alta la nostra considerazione per Jobs ne abbiamo scritto la settimana scorsa e non certo con l’intenzione di anticipare gli eventi.
Il fatto ci solleva dal partecipare all’accorata che sta percorrendo il Web e i media in una non richiesta maratona collettiva.

I social network sono pieni di “come faremo adesso”, “ci mancherai”, e di un effluvio di “stay hungry, stay foolish”, che per quante volte è ripetuto rischia di svuotarsi di significato.

La frenesia del Rip (rest in peace) e di formule di circostanza coinvolge anche personalità istituzionali e aziendali, politici e colleghi, gente di cultura e di spettacolo.

Curiosamente alcune che potrebbero apparire ipocrite non lo sono.

Come quella, pur elementare, di Bill Gates: “è stato un onore enorme poter lavorare con lui. L’impatto delle sue idee lo sentiremo ancora per molti anni”.

Ritenuto dai più un nemico di Jobs, alla radice non lo è stato.

In alcuni momenti i due hanno recitato una parte e le battute che Jobs indirizzava a Redmond erano un misto di verità e concessioni allo spettacolo che in America ci si aspetta.
Ma c’era rispetto. Reciproco e non gratuito.

Ricordiamo come verso la fine degli anni 90 Apple sopravvisse grazie anche a un intervento finanziario di Microsoft: 150 milioni di dollari (una cifra per il periodo) con cessione di quasi il 10% di azioni senza voto (restituite anni dopo) e, fra le altre cose, la pianificazione di un programma quinquennale di sviluppo di applicazioni office compatibili.

All’epoca l’operazione serviva più a un’Apple alla corda che a una Microsoft in costante ascesa, rappresentando i computer con la Mela uno scarso 4% del mercato.
E sanò vari contenziosi legali che stavano asfissiando i rapporti fra le due aziende.

Conta, quindi, che ci fu un reciproco incontro fra chi capì che il genio dell’uno poteva sintonizzarsi con quello dell’altro. Jobs usò quei soldi per ricostruire l’Apple che conosciamo oggi.

Il loro, quindi, fu un dialogo fra persone (e aziende) intelligenti e pragmatiche, con una visione di lungo periodo, non assogettate al killer istinct e non dedite esclusivamente a far cassa subito.
Un’attitudine che ci manca adesso.

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