Microsoft, spazi aperti sotto il cloud

Azure è oggi interoperabile con dati, applicazioni e molti ambienti di sviluppo per aziende e pubbliche amministrazioni. I vantaggi ci sono e il viaggio è appena cominciato.

Per il lancio del suo cloud Microsoft si sta impegnando in una comunicazione piuttosto seria su tutti i fronti. Il messaggio che si legge nelle documentazioni e presentazioni tecniche è che usare Azure non vuol dire sposare tutta la strategia software dell’azienda, ma semplicemente avere a disposizione una piattaforma in più per l’esecuzione delle proprie applicazioni.
Tra le iniziative c’è stata la presenza a Roma degli individui che stanno gestendo l’intero percorso di Microsoft verso l’interoperabilità, ovvero i general manager Craig Shank (Interoperability) e Jean Paoli (Interoperability Strategy); assente giustificato Bob Muglia, Presidente Server and Tools Business.
Interoperabilità può voler dire molte cose. Il fulcro del discorso è Azure, la cloud di Microsoft, nominata nel corso della chiacchierata con grandi utenti pubblici e privati. L’altro verso non è in senso orizzontale, ovvero su altre cloud, bensì in verticale, con applicazioni, sistemi operativi, ambienti di sviluppo.

Il cloud è un’alternativa
L’approccio è pragmatico, il primo credo è la portabilità dei dati, il secondo è l’eseguibilità (e modificabilità) dell’applicazione sia sull’Ict già disponibile, sia nel cloud; una possibilità importante è la coesistenza dell’applicazione sia sull’hardware dell’azienda per il day by day, sia nel cloud per necessità particolari. “Durante la domenica del Superbowl, il principale evento sportivo statunitense, Domino’s Pizza riceve il 50% in più di ordini”, sorride Jean, “troppi per gestirli con i soliti server, ma la loro applicazione, scritta in Java/Apache/Tomcat ha funzionato su Azure senza nessun problema”.
“Ovunque ci sono ambienti misti che richiedono interoperabilità”, ha detto Shank, “e noi sappiamo che che fa bene al business dei nostri clienti e, vi stupirà, fa bene anche anche al nostro business”.
Innanzitutto c’è flessibilità nello sviluppo, essendo possibile usare, oltre a .Net, un’enorme gamma di soluzioni: Java, Eclipse, Php, Ruby ed altre soluzioni open source.
Non si arriva a questo livello di versatilità senza un grande e lungo lavoro. In effetti Microsoft è da svariati anni che la mamma di Windows non propone più la sua offerta in maniera integralista e monolitica, ma s’è aperta ad un mondo multipiattaforma, anche se non sempre l’ha comunicato al pubblico. Ne è prova piuttosto particolare, non citata nella presentazione romana, la partecipazione di Microsoft ad un progetto per accedere in Php ad archivi Sql, una cosa che pochi anni fa sembrava fantascienza eppure oggi è realtà.
E’ il PHP to Sql Crud, dove l’ultima sigla sta per “create, read, update and delete”: tutto il software relativo, completo di wizard, è disponibile su Codeplex e ovviamente funziona su Azure. Microsoft è sponsor del progetto, realizzato da Accenture ed Avanade.

Standard per il futuro
Oggi queste sembrano le principali richieste del mercato, ma nel tempo si scopriranno tanti altri modi di risparmiare tempo e denaro, aumentando la flessibilità senza doversi preoccupare dell’età del software esistente o della metodologia di sviluppo di quello nuovo.

Passando per l’indipendenza dal sistema operativo in senso stretto si arriva alla partecipazione a molti standard, non solo formalmente bensì attivamente, contribuendo prima alla loro definizione sulla carta, dopo alla loro implementazione.
“Rispetto alle aspettative del mercato”, spesso confluenti in iniziative come l’Open Cloud Manifesto, “le troviamo interessanti”, ha risposto Paoli ad una domanda di Roberto Galoppini, Open Source Strategist ed organizzatore dell’incontro; “ne dovrebbe essere riprova la nostra partecipazione al Simple Cloud di Zend, al quale ha aderito anche Ibm”.
Appena sfiorata la privacy, riassunta per problemi di tempo la compatibilità con l’architettura orientata ai servizi, Soa o Web Services che siano, dove ci sono collaborazioni fisse con Oasis ma anche con il Wso2 per lo Stonehenge project.
In prospettiva si inizia a parlare anche di una sorta d’interoperabilità tra cloud, come mostra L’Open Cloud Standards Incubator coordinato in seno al DMTF e al momento rivolto agli strumenti di gestione.
Ma ci vuol tempo: “prima le applicazioni e poi via via gli altri layer fino ad arrivare al cloud to cloud”, ha concluso Paoli, “ma nei prossimi 3-4 anni succederanno cose interessanti”.

LASCIA UN COMMENTO

Inserisci il tuo commento
Inserisci il tuo nome