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Microsoft Azure e le PMI: un viaggio verso il cloud

Cloud sì, ma perché e come? Sono queste le domande di partenza d’un progetto corretto per passare da Ict on-premise, ovvero in casa, alle soluzioni disponibili su Azure. All’argomento è stata dedicata una videolezione di circa un’ora, con Fabio Santini, Developer Experience and Evangelism Lead di Microsoft.
La lezione, prima di una breve serie, è disponibile in streaming su Channel 9, la web-tv di Microsoft.

Si parte con un po’ di storia.

Prima nelle imprese si utilizzava un server per ogni workload, finché non ci si è resi conto che i server fisici venivano usati al 10% delle loro capacità. È qui che si sono sviluppati il concetto e la pratica della virtualizzazione: il server fisico eseguiva più servizi diversi ma del tutto isolati.
Lo sgabuzzino con i server è diventato Ced, poi server farm.
Ed è qui che si comincia a parlare di cloud, un elaboratore di straordinaria potenza, memoria e banda passante, distribuito nel mondo, che può essere attivato e disattivato a piacere. È anche fruito a consumo, quindi ai benefici sopra citati si aggiunge anche quello dell’economicità.
Tutto positivo, dunque?
In realtà qualche problematicità potrebbe insorgere, soprattutto quando si analizzano gli aspetti legati alla sicurezza. I server di una Pmi, tenuti al sicuro “in casa”, non rischiano attacchi fisici, mentre quando si portano al di fuori del perimetro aziendale, affidandoli a uno specialista che gestisce molte Pmi, il rischio inevitabilmente cresce. E quindi è necessario che in parallelo cresca anche la sicurezza implementata dal fornitore.

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I colori di Azure

Ma vediamo il sistema di elaborazione globale proposto da Microsoft. “Noi abbiamo oltre 100 data center simili in tutto il mondo, ciascuno grande 6 campi da calcio e articolato su container”, dice Santini; i container sono simili a quelli delle navi, ma ovviamente meglio attrezzati e mantenuti. E a proposito di manutenzione, “per noi riparare il singolo server è antieconomico e certo non usiamo i tecnici per sostituire dischi! Vediamo il degrado progressivo a livello di container: quando funziona solo metà dei server, sostituiamo l’intero container”.
Inoltre, a questo livello le sicurezze logiche e fisiche sono altissime rispetto a quella di qualsiasi data center aziendale.

Ma scendiamo un po’ più nel concreto.

Da dove comincia una Pmi?

Ovviamente bisogna vedere la situazione caso per caso: cosa si possiede, quali servizi si siano già acquisiti, quali servano. Il problema più sentito è la perdita di controllo presunta. Se la dirigenza della Pmi non comprende i valori che si acquisiscono con il cloud, è estremamente probabile che anche avvicinandosi al nuovo approccio, poi si torni indietro a una soluzione on premise.

Solo quando si siano compresi i valori del cloud sarà opportuno andare avanti.  Il passo successivo è l’assessment, la verifica di quali siano gli utenti di ciascuno dei servizi aziendali, sia interni sia esterni. Sono interni fatturazione, posta elettronica, collaborazione, gestionale e l’eventuale catena di produzione; sono invece esterni, tra gli altri, sito web ed e-commerce.
Questi servizi, per gran parte se non tutti, già sul sistema informativo aziendale girano su macchine virtuali.
Per ciascun servizio si valuta la convenienza a portarlo sul cloud, facendo quindi una lista dal più conveniente al meno conveniente. Si identificano tre gruppi di servizi: adatti al cloud, da valutare, inadatti al cloud.
A quel punto si prende quello sulla carta più conveniente e si sposta sul cloud la macchina virtuale relativa.

Quando è meglio restare in locale

Non tutto, però, va forzatamente spostato sul cloud. Un esempio tipico è il software di produzione: è difficile spostarlo sul cloud, perché la variabile connettività ha una sua importanza. La banda in uscita è un parametro importante per il cloud: il gestionale ne richiederà di più rispetto all’e-commerce.

Quali competenze servono in azienda?

Le competenze interne di virtualizzazione o consulenza esterna sono essenziali. Se l’azienda ha un esperto di virtualizzazione, il passaggio ad Azure non creerà problemi. Resta determinante, come già visto sopra, la comprensione del cambiamento, ovviamente nelle stanze di chi in azienda decide davvero.

Consulenza d’innovazione

La dirigenza vede il Cio o responsabile Ict che dir si voglia a svolgere compiti sull’infrastruttura interna: onerosi, ma poco innovativi per il business. Ecco perché spesso finisce per rivolgersi a servizi esterni che potrebbero innovare il business ma potrebbero rivelarsi difficili da integrare. Ed ecco perché il nuovo flusso richiede necessariamente anche il coinvolgimento della dirigenza.
Il primo calcolo da fare è relativo all’aumento di efficienza, che è sempre sostanzioso. A quel punto, risultati alla mano, si riesce a coinvolgere l’interlocutore di business.
È questo”, conclude Santini, “il vero passaggio che dimostra la stoffa del consulente d’innovazione”.

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