Marketplace aziendali: una su quattro dirà si

Secondo Gartner entro quattro anni il 25 per cento delle imprese si doterà di un marketplace interno. Perché il Byoa è diverso da Byod e perché cambia l’idea di selezione e provisioning.

I marketplace aziendali?
Una realtà consolidate entro i prossimi quattro anni.

Ne è convinta Gartner, secondo la quale entro il 2017 un quarto delle aziende disporrà di un proprio marketplaceper gestire le applicazioni aziendali su pc e dispositivi mobile.
Una scelta quasi natural, nella visione della società di ricerca, poiché l’organizzazione di un marketplace nn solo garantisce un maggiore controllo sui softare installati sui dispositivi in uso ai dipendenti, ma consente anche un monitoraggio più preciso delle spese software, lasciando margini maggiori di contrattazione con gli sviluppatori e le software house.

Il tema centra non è esattamente una novità: Gartner sottolinea chiaramente come le Apps scaricate da marketplace pubblici costituiscano una concreta minaccia alla sicurezza aziendale, mettendo in discussione policy e strategie di procurement.
Bring your own Application (Byoa) e Bring your own device (Byod) sono due facce della stessa medaglia, ma vanno affrontati indipendentemente.
L’impatto del Byoa rischia di essere dirompente, per questo i marketplace aziendali possono rappresentare un approccio pragmatico al problema.
A una condizione però: la sua realizzazione deve avvenire di concerto tra i responsabili della sicurezza, i responsabili del software applicativo e quelli del procurement.
Solo un approccio concertato al marketplace può rendere l’iniziativa un valore aggiunto per il portafoglio software aziendale e un’opportunità per ridurre i rischi, i costi di licenza e quelli di amministrazione.

Tre sono in definitiva gli aspetti che Gartner tiene ad evidenziare.
Il crescente numero di dispositivi mobili aziendali e l’adozione di soluzioni di mobile device management all’interno delle organizzazioni porta con sé una crescita nella domanda di store per le app aziendali.
Oggi, secondo Gartner, le soluzioni che le aziende hanno già implementato per il deployment di applicazioni verso i clienti non supportano tablet o smartphone. Di conseguenza si rende necessario un approccio più formalizzato e strutturato per il provisioning e il supporto di applicazioni per il mondo mobile, a maggior ragione se si intende estendere ai dispositivi mobili anche soluzioni di terze parti, integrate con dati e applicazioni sviluppate in house.
Sarà uno sforzo non da poco, che potrebbe impegnare i prossimi 12-18 mesi.

Gli app store aziendali possono supportare processi automatizzati, riducendo il numero degli interventi di procurement normalmente necessari.
Nell’idea stessa di ap store è insito un concetto di automatizzazione che riguarda sia la gestione delle licenze sia la supervisione aziendale. Questo significa che se da un lato è possibile dare all’utente finale la possibilità di indicare le soluzioni o le applicazioni che meglio si adattano alle sue esigenze operative, dall’altro gli si dà anche la consapevolezza dei costi associati alle sue scelte e della necessità che ogni richiesta passi attraverso un processo di approvazione e autorizzazione centralizzato.

Il successo a lungo termine di un app store aziendale porta con sé un evidente aumento nelle soluzioni software disponibili.
Al momento sono poche le aziende che possono sostenere di controllare l’intera filiera mobile. È chiaro che siamo in una fase di transizione nella quale viene meno l’approccio tradizionale che vede le aziende scegliere in luogo degli utenti finali. In questo nuovo approccio diventa fondamentale stabilire policy trasparenti e molto accurate, non dissimili da quelle che già esistono negli store pubblici.
Si tratta in ogni caso di una sfida, perché mette in gioco la capacità dell’azienda di condividere, di riconoscere le applicazioni di valore, di gestire i feedback e far collaborare anche team diversi.

In questo scenario, dunque, secondo Gartner diventa importante assegnare lo sviluppo dell’App Store non all’ambito degli investimenti infrastrutturali, ma a quello delle strategie applicative.

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