L’It italiana può evitare di pensare in grande?

Il caso di Finmatica, ma anche quelli diversi di Opengate e Olivetti, suggeriscono di far leva sulla tecnologia e non sulla finanza per trovare solidità

22 gennaio 2004 L’onda lunga dei bilanci truccati pare aver raggiunto anche il mondo
dell’informatica.
Il caso di Finmatica presenta dimensioni ben
diverse da quello di Parmalat e questa non è la sede per esprimere
giudizi di merito sull’operato di Pierluigi Crudele o di altri
manager della società.
Ci limitiamo a notare come questo episodio,
sommato a quello della chiusura recente di Opengate e al più diluito
sfaldamento di Olivetti, getti un’ombra piuttosto pesante
sull’informatica made in Italy, almeno su quella ad alto livello, con
ambizioni internazionali o numeri di valore assoluto.
Sembra proprio
che in questo settore, con qualche sporadica eccezione, non sia
possibile costruire una crescita credibile senza far ricorso alla
finanza, con operazioni talvolta spericolate.
Certo, la febbre
borsistica dei tardi anni Novanta, costruita sulle fragili basi della
new economy, ha spinto verso scelte spesso poco oculate, ma è anche
vero che chi ha lavorato sulla tecnologia vera, sulle competenze e su
un dimensionamento realistico oggi distribuisce ancora utili e non
bond gonfiati d’aria.

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