Lingue allo scoglio

Globalizzazione è anche capirsi: il plurilinguismo è a uno snodo, in Italia, in Europa e anche su Web.

La scorsa settimana il Ministro dell’Economia ha avuto l’opportunità di dire che la televisione pubblica dovrebbe riprendere in mano il pallino del gioco culturale italiano, come avvenne agli albori del fenomeno, quando insegnò l’italiano agli italiani.

Stavolta, dovrebbe farsi veicolo dell’apprendimento della seconda lingua, prendendo spunto da ciò che avviene nelle televisioni di altri paesi o su quelle satellitari a pagamento: il doppio audio per film, telefilm, documentari stranieri, con sottotitoli magari. Meglio tardi che mai.

Sicuramente in ritardo anche noi, lo dicemmo tre anni fa trovando nel digitale terrestre un veicolo tecnologico a portata di mano e di tutti.
Il fatto è che la lingua è uno scoglio vero. Lo dice anche l’Europa.

Un’indagine di Eurobarometro ha fotografato ciò che già si sapeva: gli europei non conoscono a sufficienza le lingue straniere. Lo ammettono raccontando come navigano su Internet e come compiono le proprie scelte di acquisto online. Dimostrando, anche, un tasso di anelasticità superiore a quello di popolazioni orientali o del Sud del mondo, che invece per necessità o virtù apprendono i nostri idiomi in tempi stretti.

Come ovviare al nostro problema? Esistono due modi. Diffondere la conoscenza delle lingue straniere o usare le traduzioni.
Arrivano segnali dall’Europa che dicono si stia puntando di più su questo secondo percorso, per esempio con richieste di traduzione e doppiaggio delle opere  o con il finanziamento di progetti di ricerca sui traduttori simultanei Web, che sappiamo tutti che livello di esilarante precisione maccheronica riescono talvolta a raggiungere.
Se anche l’Europa, che pure ha da tempo cavalcato l’onda dell’interscambio culturale (esempio, Erasmus) prende una via traversa all’apprendimento linguistico, la sua vecchia scienza rischia di diventare obsolescenza.

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