L’industria cinematografica italiana è troppo frammentata

Nel nostro Paese esistono ben 509 case di produzione. Aumenta però la fruizione di film nazionali

Il cinema italiano è in crisi, nuovamente in crisi, ovvero conferma la crisi in essere da sempre. Si tratta di un’ndustria atipica, strutturalmente caratterizzata dall’assenza di un tessuto imprenditoriale simile a quello dei settori industriali tradizionali. Fatte salve alcune rarissime eccezioni, ci si trova di fronte a centinaia di micro-imprese, piuttosto che vere e proprie Pmi: secondo i dati del Ministero per i Beni e le Attività Culturali, le case di produzione in Italia sarebbero 509, di cui ben 351 (corrispondenti al 69% del totale nazionale) hanno sede nel Lazio (seguono Lombardia con 52, Campania ed Emilia-Romagna con 20, Puglia e Sicilia con 13). Esistono quindi in Italia tante società di produzione cinematografica quante emittenti televisive locali: entrambi i settori si caratterizzano per un’estrema frammentazione, ai limiti della polverizzazione, fino all’estremo di case di produzione microscopiche e Tv locali quartierili. Un tessuto di “micro-imprese cinematografiche che hanno spesso caratteristiche artigianali, se non familiari, e sono talvolta “one-man-company” intorno alle quali, di volta in volta (una volta l’anno, ma anche ogni due), viene costruito un progetto filmico che coinvolge decine e centinaia di professionisti e muove qualche milione di euro (ma anche poche centinaia di migliaia di euro, nei casi più poveri).

Le dimensioni di consumo
Proponiamo qualche numero: a fine ottobre 2009, la Società Italiana Autori Editori ha reso di pubblico dominio i dati più aggiornati, dai quali emerge che, nei primi sei mesi dell’anno, rispetto allo stesso periodo del 2008, è aumentata la spesa del pubblico (+ 2,4 %), che è stata di 354,4 milioni di euro, e la spesa al botteghino (+ 1,8 %), che ha superato i 324 milioni di euro. Nel primo semestre del 2009, i biglietti venduti sono stati 55,5 milioni, un livello sostanzialmente stabile rispetto al valore del 1° semestre dell’anno 2008. Se il secondo semestre dell’anno registrasse lo stesso andamento, il consuntivo 2009 registrerebbe 110 milioni di spettatori cinematografici e gli incassi del “box office” ammonterebbero a circa 650 milioni di euro. Si ricordi che gli incassi sono stati di 594 milioni di euro nel 2008 e di 617 milioni nel 2007.

Un consumo sostanzialmente stabile
Queste oscillazioni sono frutto di quell’andamento “stagionale”, che caratterizza il mercato del cinema, e variazioni del 5 per 100 in più o in meno non sono realmente significative. Il livello di consumo di cinema in sala, in Italia, appare, se osservato in una prospettiva di medio periodo (un decennio), sostanzialmente stabile. Una parte significativa del “box office” conquistato dai film italiani va attribuita ai cosiddetti “cinepanettoni”, film di cassetta che vengono fruiti da persone che vanno al cinema forse 1 volta all’anno. Basti ricordare i 5 maggiori incassi del cinema italiano nel 2008, per comprendere l’andamento: “Natale a Rio” 17,7 milioni di euro, “Grande, grosso… e Verdone” 12,9 milioni, “Scusa ma ti chiamo amore” 12,7 milioni, “Gomorra” 10,2 milioni, “Il cosmo sul comò” 9,8 milioni. I film italiani che hanno incassato oltre 1 milione di euro sono stati 28.

La quota del cinema italiano
Negli ultimi anni, senza dubbio, la quota di mercato del cinema made in Italy è cresciuta: 28% nel 2008, a fronte del 27% nel 2007 e del 21% nel 2006; nei tre anni precedenti, il livello era ben più basso (13% nel 2003, 14% nel 2004, 19% nel 2005), considerando i film italiani cosiddetti al 100 per 100, ovvero senza includere le coproduzioni. Considerando anche le coproduzioni nelle quali sono coinvolte imprese italiane, l’andamento è più lineare, ovvero la crescita è meno evidente: 29% nel 2008, a fronte del 32% del 2007 e del 25% nel 2006, ma già nel 2005 si era a quota 25% e nel 2003 a quota 22%. Al contempo, la quota di mercato del film made in Usa oscilla sempre intorno al 60%: nel 2008 è stata appunto del 60, a fronte del 55% dell’anno prima e del 65% del 2003.

La concentrazione nella distribuzione
Focalizzando l’attenzione sui dati del 2008, impressiona osservare come i primi 3 distributori arrivino a controllare quasi la metà del mercato (incassi): la Universal ha il 20%, Medusa il 17%, 01 Distribution l’11%. Segue la Warner con il 10%, la Filmauro con l’8, sostanzialmente lo stesso livello della Disney. La Fox è al 7%, la Sony al 5, la Eagle al 4%. Complessivamente, le prime 10 società di distribuzione assorbono il 91% del totale nazionale degli incassi. Nel 2008, solo un 11% del totale nazionale degli incassi è stato acquisito dalle cosiddette “monosale” (nel 2006, il dato era del 14%). Ben il 54% del “box office” nazionale è ormai assorbito da multisale con oltre 7 schermi (nel 2006, il dato era al 49%).

Una produzione poco assistita
Non esistono dati analitici accurati, eppure è evidente come le megasale tendano a penalizzare i film italiani e consentano politiche di offerta funzionali alla redditività dei distributori (e dei gestori dei multiplex), determinando una naturale concentrazione dei titoli offerti, politiche di programmazione intensive, che non vanno certo a beneficio dei film “minori”, dei produttori indipendenti, e nemmeno – sia consentito – a vantaggio dello spettatore, che potrebbe fruire di un menu più ampio. Per quanto riguarda specificamente la produzione, nel 2008 sono stati prodotti 123 film italiani, al 100% di capitale italiano, a fronte dei 90 titoli del 2007 e del 2006. Le coproduzioni sono state una trentina, livello standard dell’ultimo triennio. Secondo dati dell’associazione dei produttori, il totale degli investimenti, nel 2008, è stato di 330 milioni di euro, di cui solo 71 milioni di contributo statale. La “mano pubblica” nella produzione cinematografica contribuirebbe quindi solo per un 21%, e dunque le lamentazioni polemiche sarebbero in gran parte ingiustificate.


*Presidente di IsICult, Istituto italiano per l’Industria Culturale

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