L’evoluzione dell’Erp verso il mondo esterno

L’apertura a fornitori e clienti è identificata dalle sigle Scm e Crm. Alla base di queste definizioni l’humus di tecnologia abilitante mista a strategie socio-economiche. La fenomenologia dei distretti industriali, referenti primari dei nuovi gestionali, ne è una testimonianza

All’inizio degli anni 80, l’organizzazione dei
processi aziendali interni costituiva l’obiettivo principale per mantenere
la competitività sul mercato. Questo tipo di orientamento ha trovato
sostegno nei pacchetti Erp. A partire dalla metà degli anni 90, la
supply chain è stata automatizzata e si è cercato di concentrarsi sulla
creazione e sulla fornitura di sistemi di planning per poter gestire al
meglio l’interrelazione e la comunicazione tra i processi aziendali.
Nell’ultimo triennio è cambiato, poi, il modello di impresa e ci si è
orientati di più verso il cliente. Di conseguenza, protagonista di un
mutamento è stata anche la domain chain, ossia la logica di produzione e
vendita che viene guidata dalle esigenze dell’utente. Si è, quindi,
sviluppato il concetto di Crm, e in particolare, quello di e-Crm correlato
alle tecnologie Internet, che migliora, accelerandolo, il rapporto che si
viene a instaurare tra cliente e fornitore, tenendo conto delle
complicazioni di gestione che si possono presentare in tempo
reale.

La domain chain
«La
tecnologia Web si inserisce in vari punti della domain chain
– ha
precisato Giorgio Berini, associate consultant di Idc Italia -. Si
configura come B2C nei riguardi del cliente e come B2B per quanto
attiene le interrelazioni all’interno dell’impresa. L’utilizzo di questo
tipo di architettura permette di risparmiare sui costi di comunicazione, di
rendere più dinamica la supply chain, automatizzando, a costi minori, la
catena di fornitura. A questo punto è possibile creare delle value chain a
rappresentanza delle nuove opportunità di business
».
L’azienda che
si presenta sul mercato e si va a collocare a un certo punto di una
determinata catena di fornitura lineare va a costituire un collegamento
complesso tra tutti i fornitori, i partner e i clienti. L’impresa si estende
e tende a comprendere tutte queste figure in un unico grande anello di
comunicazione. «In tal senso – ha detto Berini -, la supply
chain tradizionale, che prevedeva sistemi di pianificazione sviluppati da
società di nicchia o sistemi di integrazione delle relazioni esistenti tra
aziende, non corrisponde più alle esigenze moderne, in quanto non permette
di reagire rapidamente ai mutamenti dell’economia
». Diventa allora
importante l’integrazione di una serie di funzioni. «Per chi si affaccia
oggi al nuovo mercato
– ha precisato l’interlocutore – è
obbligatorio sincronizzare le supply chain dei vari partner come se questi
costituissero un’unica impresa virtuale. La nuova struttura, integrata e
sincronizzata, è data dall’interrelazione complessa tra i canali e viene
guidata dai processi di business e dalla tecnologia del Web
». In
quest’ottica, assume assoluta importanza la logistica che unisce funzioni di
front end a quelle di back end e di delivery effettivo di quanto promesso al
cliente.
Tutti i componenti della catena devono poter avere l’esatta
visibilità dei dati di produzione per ottenere la sincronizzazione delle
operazioni. A tal fine è necessario coordinare il flusso fisico dei prodotti
con quello informatvo. In questo modo la supply chain non viene
semplicemente automatizzata dai nuovi strumenti, bensì integrata nei
processi interaziendali e modificata nella propria esecuzione lineare per
diventare collaborativa (nei confronti dei partner). Ciò consente di
ottenere una coordinazione dei sistemi informativi nonché una drastica
riduzione dei tempi di risposta complessivi alle sollecitazioni del
cliente.
«L’ostacolo – ha sottolineato Berini – può essere
visto nel fatto che le aziende che corrispondono alla value chain spesso non
hanno né obiettivi né una value proposition comuni. Tantomeno sono
disponibili a scambiarsi i dati. I sistemi informativi che ciascun elemento
della supply chain gestisce sono diversi e differenti sono anche i criteri
di sicurezza e i formati dei dati
».

Dove si collocano le
Pmi
All’interno di questo contesto, la piccola e media impresa può
essere inserita all’interno di un distretto industriale oppure in qualità di
sub fornitore di una catena più importante. «Spesso accade – ha
sottolineato Antonio Romano, vice presidente regional research Idc
Southern Europe – che le Pmi abbiano problemi, anche gravi, in ambito
gestionale e nel contempo poche risorse da investire. Inoltre, le
soluzioni di Erp e di Supply chain management sono, solitamente,
proposte da fornitori che non dispongono di una strategia specifica per
questa dimensione d’azienda ma che hanno riversato sulle realtà di più
piccole dimensioni prodotti pensati per la grande impresa.
D’altra parte, il
98,5% del mercato di sbocco dei prodotti di Scm ed Erp è costituito da medie
e grandi imprese, per intenderci quelle con oltre 100 dipendenti
».
All’interno di tale settore operano con successo anche aziende che svolgono
attività di integrazione di sistemi, veicolando un’offerta efficiente non
solo in termini di applicazioni ma anche di delivery e di attività di
implementazione.
Secondo dati forniti dall’Università di Padova, i distretti
industriali più importanti, che sono principalmente concentrati nel Nord
Italia e nel Centro-Nord, rientrano sotto tre grandi macro-categorie:
casa-arredo, meccanica-impiantistica e sistema moda.
«Questi
distretti
– ha proseguito Romano – hanno un forte radicamento sul
territorio, non solo dal punto di vista della presenza fisica ma anche a
livello di sistema di relazioni. Un aspetto, questo, che assume particolare
importanza per le aziende dell’Information technology che vogliono andare a
posizionarsi nel distretto
».
Infatti, la gran parte di queste imprese
ha la propria rete di fornitori e subfornitori all’interno del medesimo
distretto industriale o, comunque, nella regione di riferimento. Secondo
Romano, «i distretti industriali, dove l’outsourcing delle attività
produttive caratterizza circa l’82% delle aziende, costituiranno il
polmone dell’It nel prossimo quinquennio. Comprenderanno un universo di
imprese tra le 35mila e le 40mila unità, delle quali circa 1.500
saranno
definibili come realtà di medie dimensioni
».
I modelli di ingresso
tradizionalmente seguiti dagli operatori It sono sostanzialmente due: le
aziende capofila e le associazioni di categoria (o altre entità
aggregative). In termini di business, in entrambi i casi, le esperienze
vissute riportano che il Roi non si posiziona su livelli ottimali. Migliori
risultati possono essere raggiunti dai top player che presidiano l’azienda
capofila. Le linee guida strategiche per il medio periodo suggeriscono di
non considerare i distretti industriali come un monoblocco ma come un
mercato dove esiste un alto livello di replicabilità del modello di
vendita nonché un’elevata concentrazione geografica. È opinione di Idc
che nel corso del 2002 il modello Asp si avvierà al definitivo
decollo.
In questa chiave, i distretti industriali forniranno un
contributo importante. Al di là di ogni plausibile dubbio, rappresenteranno
uno punto di ingresso verso il mercato delle Pmi, permettendo, tra
l’altro, lo sviluppo di modelli di offerta, di vendita e best practice
applicabili trasversalmente al mercato. Il biennio prossimo porterà a un Roi
misurabile da parte di quei vendor It che saranno stati in grado di
perseguire le strategie migliori.

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