L’eGovernment funziona se collaborativo

In generale le iniziative condotte in collaborazione tra più soggetti risultano più qualificanti, efficaci e meglio centrati sugli obiettivi da raggiungere, anche se devono scontare un inevitabile allungamento dei tempi.

Entusiasmo, capacità progettuali e volontà di operare con logiche di sistema non mancano agli enti locali italiani che in questi anni si sono incamminati sulla strada dell’eGovernment.
Semmai il punto critico è la capacità di governance e di mantenimento in vita dei progetti stessi una volta che questi sono avviati. E’ quanto emerso alla recente presentazione dell’Osservatorio eGovernment della School of Management del Politecnico di Milano in relazione ai dati emersi da una ricerca condotta proprio sul tema dei percorsi di gestione dell’innovazione.

I fattori sicuramente molto positivi sono la grande attenzione che riveste il tema eGovernment nei nostri enti locali.
Nell’anno appena concluso quasi il 75% di questi registrava un progetto attivo, oltre il 50% più di due e il 25% tre o più. Ma a questo si contrappone un aspetto negativo di non poco conto: quasi il 50% dei progetti gestiti da singole province e il 63% di quelli attivi nei singoli comuni fallisce. Tale rapporto si inverte però quando si tratta di progetti gestiti insieme ad altri enti. In generale le iniziative condotte in collaborazione tra più soggetti risultano più qualificanti, efficaci e meglio centrati sugli obiettivi da raggiungere, anche se devono scontare un inevitabile allungamento dei tempi.

Sta di fatto che l’indice di vulnerabilità delle iniziative di eGovernment risulta comunque elevato e produce una sensazione negativa, non fosse altro per l’idea di spreco che ne emerge. Le ragioni sono molteplici, ma fondamentalmente la principale risulta essere la mancanza di fondi, che in questi anni si è fatta particolarmente sentire nelle pubbliche amministrazioni locali. I risultati dell’indagine, effettuata su 130 realtà tra comuni, province e regioni, dimostrano infatti come vi sia la certezza che una soluzione di eGovernment realizzata tramite un’iniziativa di innovazione avviata da un ente locale ha la probabilità di rimanere in vita dopo solo uno o due anni nel 60% dei casi. Nel restante 40% vi è la possibilità che muoia per mancanza di fondi, fallimento che diventa quasi una certezza nel 22% dei progetti multi ente e nel 12% di quelli realizzati singolarmente.
Un risultato inevitabile se si pensa che una volta avviato un progetto di questo tipo, meno del 60% degli enti si preoccupa di definire quali siano i costi per la manutenzione ordinaria dello stesso, e meno del 50% per quella evolutiva.

Questi risultati hanno un riscontro logico sul fatto che la decisione di avviare o meno un’iniziativa di eGovernment dipende da un obbligo normativo, e quindi viene mantenuta attiva per continuare a risponderne, e dalla possibilità di disporre di co-finanziamenti esterni, che una volta esauriti rischiano di pregiudicare il buon esito dell’attività in corso. “Bisogna uscire dalla logica della lista della spesa e dare delle priorità sulle cose che bisogna realmente fare per rispondere con efficacia alla richiesta dei cittadini”, afferma Giuliano Noci, responsabile scientifico dell’Osservatorio eGovernment.

“E’ sicuramente un problema anche di risorse, ma è anche un problema di cultura”, spiega Vittorio Severi, direttore generale del comune di Cesena, commentando i dati della ricerca che spiegano quanto dal punto di vista delle competenze nel nostro Paese convivano situazioni molto diverse: ci sono comuni capoluogo che nella loro struttura It hanno anche più di 20 persone dedicate alle iniziative di eGovernment, mentre altri comuni anche di pari dimensioni risultano avere solo due addetti per seguire tutta la dotazione informatica dell’ente.
“Possiamo anche avere 20 persone interne dedicate, ma le innovazioni difficilmente passano se non costruiamo un rapporto e non coinvolgiamo persone chiave in tutti i settori e i servizi dei nostri enti locali”, afferma Severi.
Insomma anche la PA deve accrescere la sua consapevolezza sul ruolo dell’It in generale, e su quello dell’eGovernment in particolare, e in questo obiettivo i responsabili informatici degli enti non sembrano dover giocare un ruolo molto diverso da quello dei Cio delle aziende private.

Rimane comunque il fatto che come afferma Severi e confermano i dati della ricerca: “Gli strumenti online messi a disposizione registrano uno scarsissimo utilizzo non solo dai singoli cittadini, ma anche dalle imprese e dalle associazioni di imprese. Non c’è quindi solo un problema di facilità di accesso e di disponibilità di strumenti semplici da utilizzare. Anche qui si riscontra la necessità di un salto culturale che convinca imprese e privati a percorrere le nuove strade digitali piuttosto che continuare con le vecchie procedure”.

La mancanza di cultura digitale nel Paese e nella vita quotidiana di persone e aziende è un tema già sentito in molti altri ambiti dell’It ed è spesso un punto su cui il dibattito si incarta. Per questo motivo, nell’ambito pubblico, rischia di diventare un alibi per giustificare i numeri negativi appena visti.
Ma la PA, anche quella locale ha un’arma in più di cui forse oggi non ha piena consapevolezza: la possibilità di rendere obbligatorie per via digitale l’espletamento di alcune procedure.
Dopo tutto se in Italia la firma digitale si è diffusa quando è stato reso obbligatorio il deposito del bilancio alle camere di commercio esclusivamente per via telematica, perché un comune non può chiedere ai suoi cittadini di svolgere alcune procedure molto semplici solo attraverso delle applicazioni online?
Il tema però non è stato trattato dall’Osservatorio.

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