L’economia del futuro parla il linguaggio dei byte

Il profilo “paperless” dell’azienda è ottimale per il contenimento dei costi e l’aumento della produttività. Dall’intervento semplificatore del legislatore la svolta per la diffusione di massa delle tecnologie di digitalizzazione della gestione documentale

L’Ict è una scelta obbligata per le imprese di domani. È questa l’indicazione emersa durante un recente convegno che Assintel ha organizzato intorno alle riflessioni, da parte delle società attive nel mercato informatico, sullo stato dell’arte del “paperless”, ovvero, la gestione digitale dei documenti aziendali.

Rispetto a tale metamorfosi, contraddistinta dalla graduale migrazione dei processi produttivi dal supporto cartaceo al bit, il sistema Italia ha una posizione ambivalente: troppo poco evoluto per dirsi competitivo, ma sufficientemente implementato per racchiudere buone potenzialità, per cui il contesto delle imprese nazionali presenta margini di sviluppo significativi.

«L’Italia – spiega Antonio Romano, general manager Italy & Iberia region di Idc -, ha un buon tasso di informatizzazione generale. Tuttavia, se si pensa ai benefici che il business delle aziende può trarre dall’informatica, il discrimine non sta tanto nella disponibilità delle infrastrutture, quanto negli usi che se ne fanno, dunque, nella capacità o meno di utilizzare queste ultime per automatizzare i processi produttivi. Quindi, eccezion fatta per i casi virtuosi di Lombardia, Piemonte, Emilia Romagna, Friuli Venezia Giulia e Lazio, che esibiscono buone performance riguardo al valore aggiunto ricavabile dai sistemi informativi, si deve dire che soffriamo ancora di digital divide, sebbene questo interessi più i contenuti che non la forma».

Dopodiché, «con un’offerta che nel complesso è concentrata sulle grandi organizzazioni, mentre è poco ricettiva nei confronti delle esigenze provenienti dai target dei liberi professionisti e delle Smb», il Document & Content management rischia di rimanere privo di un importante bacino d’utenza. Eppure, sembra proprio che siano queste due fasce di clientela a costituire il principale vettore per diffondere il “paperless” nel mondo dell’impresa.

«Con un’economia in recessione – sottolinea Romano -, l’imperativo è ottimizzare le risorse. Chi, se non le Pmi e i liberi professionisti, alle prese con budget limitati e sempre attenti alla gestione oculata dei costi, sono i soggetti più adatti a guidare l’implementazione di una tecnologia che promette di ridurre gli sprechi e aumentare la reddittività?».

Dai dati raccolti a proposito da Idc, infatti, risulta che riduzione dei costi ed efficienza dei processi di business impattano rispettivamente per il 52,3% e il 22,5% sulle priorità dei Ceo per i prossimi mesi.

Se queste sono le prerogative del momento, termini come “conservazione sostitutiva”, “fatturazione elettronica” o “firma digitale” diventeranno presto usuali nel lessico di molte aziende.

«Il trasferimento dei processi produttivi dalla carta al Web, comporterà un inevitabile cambio di procedure, standard e abitudini nell’organizzazione del lavoro – osserva infatti il general manager di Idc -. Per ridurre al minimo le linee di discontinuità tra i due modelli, però, il passaggio dovrà essere il più fluido possibile: l’obiettivo finale è quello di fare degli strumenti del Dcm un surrogato della mente umana, ovvero delle architetture in grado di estrarre conoscenza complessa da dati non strutturati».

Del resto, sul fronte della domanda, a suscitare qualche perplessità non è tanto la qualità delle proposte tecnologiche, quanto le difficoltà conseguenti alla necessaria applicazione del diritto a un nuovo settore, completamente digitalizzato.

«In Italia – conferma Patrizio Menchetti, avvocato in Milano e Bruxelles dello studio legale Lega Colucci e Associati -, la normativa in materia è abbastanza complicata. Se, da una parte, il legislatore ha la tendenza a mutuare regole già esistenti, adattandole da altri settori, dall’altra esiste anche la propensione a un eccesso di disciplina, stabilendo norme che in altri paesi non hanno corso. Ciò provoca un problema di compatibilità con le altre legislazioni nazionali, che viene superato solo nell’alveo della Ce».

In quest’ottica il Codice dell’amministrazione digitale, nel tentativo di una rapida legittimazione giuridica del Web, attribuisce perciò alle “riproduzioni informatiche” la stessa validità delle forme tradizionali di conservazione analogica, conferendo, infine, alla firma, che tanto preoccupa chi è indeciso se abbandonare l’inchiostro per sottoscrivere i contratti sulla Rete, la nuova veste elettronica della “firma elettronica semplice”, della “firma elettronica qualificata” e della “firma digitale”.

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