Le difficoltà nel rapporto tra pubblico e privato

Le aziende dinamiche hanno bisogno di sapere su quali interlocutori possono contare per fare ricerca. La disponibilità dei fondi è un problema

Al di là del reperimento dei fondi per la ricerca, che pur rappresenta all’interno del fenomeno dei Distretti tecnologici una contingenza di notevole riguardo, quello che è emerso essere uno dei problemi fondamentali nell’aggregazione di tali entità è la gestione del rapporto tra università e impresa. Le università italiane, secondo Alfonso Fuggetta, amministratore delegato del Cefriel, non sempre si sono mosse con la dovuta flessibilità e apertura, per cercare di interagire con la mentalità i tempi e i vincoli ai quali le imprese sono assoggettate, e con i quali devono necessariamente fare i conti. «L’esperienza del Cefriel per certi versi è unica – ha detto Fuggetta – nel senso che alla fine, per poterci muovere con i tempi richiesti dall’impresa, ci siamo trovati a dover costituire un’impresa. Una realtà che pur avendo come mission il trasferimento tecnologico, per poter rispondere nel modo e nei tempi necessari a chi sta sul mercato, si è dovuta dotare della struttura e delle modalità di funzionamento di un’impresa».


Se da un lato però il Cefriel rappresenta un qualcosa di unico, dall’altro è opinione di Fuggetta che le università in generale debbano imparare a interagire e a colloquiare con le imprese, con lo stile e il linguaggio proprio di queste ultime, e soprattutto trattando le tematiche che rientrino nella loro sfera di interesse.


Ciò detto, però, vanno analizzate anche quelle che dovrebbero essere le responsabilità dell’industria, e che non sempre da essa vengono affrontate, una fra tutte quella di investire in ricerca.


Secondo Fuggetta da un lato a causa dello scoppio della bolla del .com, dall’altro della struttura dell’impresa italiana prevalentemente a carattere Pmi, o ancora perché non trovano l’interlocutore giusto, il fatto è che gli imprenditori italiani tendono a non investire in innovazione e sviluppo, o per lo meno lo fanno molto al di sotto della media europea.
A suo avviso è necessario che si abbandoni la convinzione profondamente errata che le università, in quanto enti pubblici debbano lavorare gratis. Sono necessari degli investimenti che devono nascere dalla volontà di innovare, e quindi anche di scommettere e rischiare su soluzioni innovative. Il terzo anello della catena, secondo l’amministratore delegato del Cefriel è rappresentato dal pubblico, il quale presenta diversi problemi sia su scala territoriale che nazionale.


Su scala territoriale la questione principale concerne la necessità di una maggiore armonia negli interventi degli attori locali, e quindi regione, provincia e comuni, che tenda a rendere appetibile l’insediamento di nuove aziende sul territorio, mettendo a disposizione fondi per le imprese, per la ricerca, e soprattutto facendo del vero e proprio marketing territoriale.


A livello nazionale, invece, il problema principale è quello inerente i finanziamenti pubblici, che nella maggior parte dei casi vengono erogati sotto forma di prestiti agevolati e non di finanziamenti veri e propri, che coprano almeno una parte significativa dei costi.


Inoltre Fuggetta ha sottolineato il problema dei tempi di erogazione, in quanto molto spesso per le imprese molto dinamiche il problema della rapidità nella disponibilità dei fondi, supera ampiamente quello dell’entità. Le soluzioni potrebbero essere diverse, e una di quelle citate da Fuggetta, riguarda i meccanismi automatici di sgravio fiscale sui quali anche Confindustria sta spingendo particolarmente. «Le imprese hanno bisogno di poter investire, e soprattutto di avere la certezza di quali siano le risorse a loro disposizione e dei tempi necessari per potervi accedere».


Della stessa opinione è anche Claudio Giuliano, direttore generale della Fondazione Torino Wireless, il quale si è detto convinto del fatto che il freno maggiore in questo senso non è rappresentato tanto dall’esiguità dei fondi che lo Stato mette a disposizione delle imprese, quanto invece dalla incoerenza degli interventi. «Spesso – ha affermato – le aziende più innovative che accedono ai venture capital, in un certo senso non hanno neanche il tempo di domandarsi se ci sia la possibilità o meno di accedere a fondi pubblici». Sono quindi, secondo Giuliano, le modalità di erogazione che vanno cambiate, sia abbreviandone i tempi di erogazione, sia orientando gli interventi più al miglioramento dei prodotti anziché dei processi, in quanto a suo avviso anche se questi ultimi sono certamente importanti, difficilmente garantiscono però dei salti quantici.


«Certamente tutti auspicheremmo che ci fossero due o tre volte i fondi oggi disponibili – ha detto il direttore di Torino Wireless – ma se ce ne fossero anche solo la metà, ma disponibili in tempi brevi, e soprattutto indirizzati in una direzione ben chiara e precisa, questo probabilmente darebbe all’impresa un aiuto molto più congruo e fattivo».


Secondo Fuggetta ci troviamo in un certo senso di fronte a una sorta di problema di maturazione complessiva dell’intero settore, in cui tutti gli attori sono coinvolti.


L’università deve aprirsi alle imprese, il pubblico deve adeguare la propria struttura e i propri tempi di intervento alle nuove necessità del fenomeno dell’innovazione, e l’industria deve comprendere che se realmente aspira a una ricerca di qualità, deve investire affinché gli atenei possano disporre delle risorse necessarie per operare al meglio. Fare innovazione costa, e ci devono essere delle controparti disposte a rischiare sia in termini di risorse che di impegno imprenditoriale. «Credo che per uscire da questa posizione sterile – ha concluso Fuggetta – sia necessario uno sforzo congiunto, in cui ciascuno degli attori svolga la propria parte, assumendosi la responsabilità di contribuire in maniera fattiva, e di cambiare, quanto e ove necessario, le rispettive posizioni, affinché questo processo di innovazione possa innescarsi».

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