Le difficoltà di diffondere cultura Ict nel Sud dell’Italia

Sergio Venturino, che ha creato Know K., società di consulenza e formazione nell’It, ci spiega i problemi che incontra ogni giorno nella sua attività, dovendosi scontrare con luoghi comuni e resistenze socioculturali, sia in ambito privato che pubblico.

Le problematiche legate alla formazione e la diffocoltà di divulgare cultura It in una provincia del Sud, come Foggia, sono il tema che abbiamo cercato di sondare con Know K. Nata nel 1995 nella città pugliese, la società offre servizi di consulenza strategica e operativa, finalizzati al miglioramento dei processi di gestione aziendale, alla formazione e all’addestramento del personale, rivolgendosi ad aziende pubbliche e private, enti e istituti scolastici. L’approccio didattico prevede un’analisi dei bisogni che, tenendo conto delle specifiche realtà lavorative, sviluppa percorsi formativi standard o personalizzati. Nel 2003 Know K. ha erogato 20mila ore di formazione, per un totale di 2.500 corsisti, di cui un centinaio in modalità Fad, sincrona e asincrona.


25 collaboratori tra docenti e ricercatori, alternano l’attività di formazione a quella di analisi e di studio per la realizzazione di programmi e soluzioni applicative dedicate sia al mondo dei servizi che a quello dell’education computer based. Know K., infatti, ha un proprio centro di R&D che, come laboratorio delle idee, rappresenta la proposta più concreta per creare nuova cultura e valore aggiunto in una zona economicamente piuttosto depressa. Un progetto portato avanti da Sergio Venturino, foggiano, dottore in informatica che, ha fatto la sua carriera in General System e Olivetti, con il quale analizziamo la difficoltà di un’azienda che ogni giorno si confronta con luoghi comuni e resistenze socioculturali.

Come mai ha deciso di tornare, ci permetta l’ironia, al “paesello”?


“Avevo imparato molto dalla mia esperienza professionale come progettista, sistemista e analista per la casa di Ivrea e avevo capito che una delle chiavi dello sviluppo stava proprio nella formazione Ict. Sono tornato a Foggia con l’obiettivo di fondare una società che fosse in grado di offrire training a 360°, promuovendo l’alfabetizzazione informatica nel Meridione. Di fatto questa è una realtà del Sud ancora economicamente poco sviluppata rispetto ad altre città, come Bari o Benevento, e non potevamo settorizzare il mercato. Siamo partiti con corsi base e più evoluti come Visual Basic e O/O e nel ’96 abbiamo cominciato a offrire corsi chiavi in mano di networking. La strategia vincente è stata subito quella di intraprendere la strada delle certificazioni: per esempio, siamo uno dei primi Test Center Aica in Italia per il patentino europeo e in breve tempo ci siamo alleati con le major del settore, come Cisco, Microsoft, Macromedia e Ic3, in modo da specializzare i nostri docenti e poter offrire programmi prefettamente allineati con i trend del mercato. Ancora oggi la nostra filosofia è quella di procedere attraverso una strategia di partnership per coinvolgere le associazioni di categoria, come Confindustria e Confcommercio, su alcuni progetti di formazione. Attualmente stiamo promuovendo la nascita, in collaborazione con l’Associazione Industriali di Capitanata e successivamente con Sincert, della certificazione sui software gestionali”.

Il vostro fiore all’occhiello rispetto all’attività di sviluppo è Training Manager, una piattaforma applicativa che offre tutti gli strumenti di gestione utili a una società di formazione e che offrite come prodotto o come servizio in modalità outsourcing. In pratica, avete capitalizzato la vostra esperienza interna?


“In un certo senso sì ma non del tutto, perché si tratta di una suite di software che è il risultato di una grossa attività di analisi. Per esempio, Training Manager è nato già in un’ottica multifiliale, permettendo la condivisione delle risorse tra varie sedi, mentre Know K. ha un’unica sede: se avessimo ragionato solo sulle nostre esigenze non saremmo stati in grado di proporre una soluzione gestionale a tutto tondo. Training Manager è multipiattaforma, può essere utilizzato in ambiente Unix o Windows, su Web o in rete locale, e può essere fruito da una qualsiasi postazione senza bisogno di alcuna installazione lato client. Attraverso diversi tool di sviluppo la suite gestisce corsi, esami, certificazioni, docenti, aule, classi, curriculum, percorsi formativi, iscrizioni online, materiale didattico. Inoltre, sono compresi moduli che consentono pubblicazioni automatiche sul sito aziendale dei dati desiderati, attività di reporting o statistiche. Tutte le funzioni di inserimento, consultazione, aggiornamento, stampe e via dicendo possono essere effettuate tramite un normale browser. A parte, è possibile acquistare Training Path Server (Tps), un servizio fruibile via Internet che gestisce i percorsi formativi disciplinari e individuali. Tps è un modulo che definisce i percorsi formativi al cui interno le attività possono essere disposte in modo sequenziale o parallelo: è possibile visualizzare il diagramma d’insieme dell’iter formativo, inserire e/o modificare le attività previste in esso, definire il tipo di attività, il metodo didattico utilizzato, le risorse necessarie, i documenti associativi e la durata di ore prevista per ogni attività”.

A calendario avete una quarantina di corsi, da quelli di informatica di base a quelli più evoluti di analisi e progettazione. Qual è il vostro target di riferimento?


“Ad oggi il nostro più grosso referente rimane l’ente pubblico: siamo stati scelti da Talento per l’erogazione dei corsi per il Ministero degli Interni e del Lavoro sia in Puglia che in Molise. Abbiamo organizzato l’attività di training scegliendo come sedi alcuni hotel nelle varie province e abbiamo formato centinaia di dipendenti. Qui il settore industriale non riesce a decollare. Non esiste ancora una mentalità flessibile e aperta all’innovazione. Lavoriamo molto con il privato e l’ente pubblico ma, per esempio, manca all’interno di quest’ultimo la figura del consulente informatico e questa la dice lunga sullo stato delle cose. Non basta nominare un ingegnere generico o addirittura un “esperto” per auto-definizione come specialista Ict: servono risorse e competenze capaci di interpretare le esigenze per organizzare delle risposte. Invece gli enti locali vengono aiutati da finanziamenti a pioggia che non sono vincolati a programmi specifici. Qui i corsi che vanno per la maggiore sono ancora quelli per l’uso della videoscrittura o quelli per la creazione di un sito. Word, Excell, Access… si tratta di una formazione sorpassata, che non è in grado di creare una professionalità informatica competitiva. Basta dare un’occhiata al ventaglio dei corsi che si fanno in Lombardia per capire la differenza. All’interno della nostra Pa e nel settore aziendale privato manca l’interesse per il training specializzato: non è strano che non ci sia una sola richiesta per un corso di data management? Peraltro, è difficile immaginare un privato, magari disoccupato, che decide di autofinanziarsi un programma di formazione in questo senso”.

Manca, quindi, una mentalità manageriale che sappia investire in conoscenza? Forse è anche una questione di budget.


“Quello che manca sono delle vision mature: non è soltanto per motivi economici che qui al Sud ci siamo persi la prima era dell’informatizzazione quanto, piuttosto, per un certo campanilismo che non ha avuto la lungimiranza di investire nei cervelli. Insomma: chi ha in mano le leve del comando dovrebbe pensare a investire nella formazione di personale It dedicato invece che utilizzare i fondi della Ue per le certificazioni Ecdl. Il paradosso è che spesso i finanziamenti vengono utilizzati per progetti la cui realizzazione obbliga a chiamare in causa società del Nord Italia, più competenti e specializzate; così i soldi invece che creare valore aggiunto, tornano al Nord”.

Eppure le indagini di mercato descrivono le nuove leve come molto attente all’evoluzione Ict…


“Mi dispiace fare la parte del fustigatore ma, purtroppo, la maggior parte dei nostri giovani qui è attratta dal fashion dell’Ict non dalla sostanza. Pensano più al telefonino che a diventare programmatori di servizi per le telecomunicazioni, più a masterizzare che a imparare lavori per diventare programmatore o sistemista e, magari, pensare di dar vita a una software house, insomma a creare un’impresa produttiva e non solo commerciale. Lo zoccolo duro è proprio in una certa mentalità che è difficile da superare. Questo è uno dei motivi per cui cerchiamo di muoverci cercando di coinvolgere le associazioni di categoria che in questo momento sono le sole capaci di promuovere campagne di sensibilizzazione a favore di un nuovo sviluppo”.

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