Le competenze emigrano? Organizziamo la resistenza

L’Italia non attrae investimenti stranieri. Per ora l’outsourcing R&S italiano non Ict, che vale 3 miliardi, resta quasi tutto in casa. Farà la fine di quello Ict?

Il 3 novembre l’Airi ha presentato la sua ricerca sull’outsourcing nella Ricerca & Sviluppo, che è l’unico osservatorio italiano esistente nel settore. Airi rappresenta 110 istituti che assommano oltre il 50% della ricerca italiana ed è quindi più che credibile. Purtroppo i dati più aggiornati dettagliano il 2007, il che ne limita l’utilità. Gli andamenti generali, però, sembrano validi e quindi possiamo considerarli.
La spesa in outsourcing in ricerca e sviluppo delle aziende italiane ha seguito un andamento altalenante ma tendenzialmente crescente, con forti aumenti in particolare nel 2004 e nel 2007. Nel 2007 la ricerca extra-muros ha avuto una crescita dell’83% rispetto all’anno precedente, raggiungendo il valore di 2,9 miliardi di euro di cui l’80% svolta sul territorio nazionale (per 2,4 miliardi di euro).
La ricerca e sviluppo in outsourcing è stata in via prioritaria affidata ad altre imprese italiane (39%), ad imprese dello stesso gruppo (21,1%) e a centri di ricerca privati (10,8%). I centri pubblici e le università hanno rappresentato, rispettivamente, solo il 2,4% e 7,2% del totale.
Quindi l’outsourcing cresce a balzelloni, resta in Italia e non coinvolge né il settore pubblico né l’università. Il parallelo con l’outsourcing informatico è lampante. Se poi aggiungiamo che i laboratori italiani non acquisiscono commesse straniere, l’identità aumenta.
Infatti sono ancora poche le imprese italiane -in genere grandi gruppi multinazionali- a creare Centri o laboratori di ricerca all’estero. Parallelamente l’Italia continua a non attrarre investimenti esteri.
Gli Stati Uniti, ad esempio, acquistano ricerca in prevalenza dal Regno Unito (2.616 milioni di dollari), dalla Germania (973 milioni di dollari) e dall’Olanda (981 milioni di dollari), mentre dall’Italia importano R&S solo per 149 milioni di dollari, ossia il 2% della ricerca acquisita in Europa.

Il 2.0 è fuori dall’Ict
Riprendendo il materiale Airi, troviamo che i settori che ricorrono maggiormente alla ricerca in outsourcing in Italia sono le aziende attive nella produzione di metalli e leghe, la meccanica, l’industria chimica e infine i produttori di energia elettrica.
Anche queste righe devono stimolare un minimo di riflessione, o almeno in me hanno richiamato un parallelo. Negli ultimi tre anni, guardacaso proprio dal 2007, l’Italia sta cercando di imparare a finanziare l’innovazione partendo da business angels, venture capitalist locali ed eventualmente contatti con realtà straniere.
Per tre anni i nascenti operatori italiani hanno lavorato sull’emergente mondo del 2.0, con fortune alterne (diciamo pure sfavorevoli). Oggi, se andate a vedere gli investimenti di iniziative complessivamente intorno ai 50-100 milioni di euro, trovate per lo più innovazione in processi meccanici e chimici, e ben poche tracce del 2.0 all’amatriciana.
In sintesi: l’Italia non ha contribuito al rinnovamento globale del processo Ict e quindi acquista capacità in outsourcing senza finanziare un proprio futuro.

Identità di programma
Il percorso comune prosegue anche nella fase propositiva, che in sintesi si articola su cinque punti:
• aumentare l’uso da parte delle Pmi di strumenti sottoutilizzati a partire dalla L. 592/2000 (art. 14, comma 1) e di agevolazioni e incentivi (D.L. 296/99);
• procedere ad un assessment sull’impatto delle lauree scientifiche nelle carriere R&S, rivedendo corsi, contenuti e meccanismi di accesso agli stage;
• far collaborare ricerca pubblica ed imprese, anche sviluppando un hub certificato e multilingue delle competenze di R&S;
• migliorare la gestione della proprietà intellettuale;
• garantire la continuità degli incentivi fiscali e in particolare il credito d’imposta.

L’analogia tra outsourcing Ict e outsourcing R&S mi sembra piuttosto forte. Saranno questi punti ad essere molto simili? Tempo che la visione prospettica sia un’altra: l’Italia non attrae capitali (umani o finanziari) e anzi manda fuori i suoi. Ma non è una novità.

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