L’e-business in bilico tra innovazione e attesa

Secondo un’analisi di NetConsulting, sono ancora in fase sperimentale le applicazioni di commercio elettronico realizzate in Italia. La cautela finora adottata, soprattutto dalle Pmi, è dovuta al fatto che un’efficace approccio al Web richiede una trasformazione radicale.

<P></P>È un dato di fatto: le imprese italiane, terminata la fase di rinnovamento e di riorganizzazione dei sistemi informativi, stanno concentrandosi sulla valutazione di soluzioni Internet based. E lo stanno facendo sia attraverso la ricerca di un’integrazione tra front office e back office, sia mostrando una sempre maggiore propensione a ragionare in un’ottica di eXtended supply chain.


Questo è quanto emerge dall’indagine "Riorganizzazione aziendale e nuove tecnologie nelle aziende italiane" condotta da NetConsulting per realtà come Microsoft, Compaq e Assinform. Nel 2000 l’Italia è stato il Paese che è cresciuto di più sia in termini di investimenti effettuati in macchinari e apparecchiature sia in termini di spesa in It. "Questo dato – ha detto Giancarlo Capitani, amministratore delegato di NetConsulting – può essere spiegato dal fatto che il nostro Paese si trova ancora in una posizione arretrata in termini di penetrazioni di nuove tecnologie. Crediamo, tuttavia, che la combinazione di tali fattori sia la testimonianza di un forte dinamismo innovativo da parte delle imprese, che per la prima volta non appaiono solo sotto il profilo tradizionale di chi investe esclusivamente in macchinari ma anche sotto quello più innovativo di chi è supportato dall’uso delle nuove tecnologie.


Per la prima volta la quota di investimenti It su quella dei macchinari e attrezzature ha superato nel 2000 la quota del 20%. "Siamo ancora lontani dal 55% degli Stati Uniti – ha precisato Capitani – ma ci stiamo progressivamente avvicinando ai valori dei grandi paesi europei.


Gli investimenti delle aziende italiane nel 2000 sono cresciuti del 12,6% per l’It e del 13,4% quelli per le Tlc: da 13 anni a questa parte è la prima volta che la spesa It italiana cresce più di quella media europea e, soprattutto, di alcuni paesi leader quali Germania e Francia. "Il mercato italiano sta profondamente cambiando – ha affermato Capitani – e sta diventando di massa. Ce lo dice il valore assoluto: si tratta di 36mila e settecento miliardi di lire che, se associati al giro d’affari delle telecomunicazioni, arriviamo a 108mila miliardi, ossia quasi il 6% del Pil. La domanda è vivace sia sul lato software e servizi che sul fronte hardware e c’è una forte richiesta di progetti supportati dall’uso di nuove tecnologie. Se si guarda la propensione ad adottare soluzioni di e-business da parte delle aziende italiane vediamo che il 36% delle società è conservatore; innovative sono, invece, quelle realtà che stanno investendo più delle altre, avendo un grado di penetrazione maggiore delle altre. L’8% è costituito da aziende emulatrici, ovvero che hanno adottato soluzioni di e-business ma che, sostanzialmente, non ci credono; il 20% è costituito da aziende che hanno una propensione all’introduzione del business on line, ma che ancora non l’hanno fatto. Solo alcune grandi imprese hanno effettivamente sviluppato progetti strategici di e-business, in particolare di e-procurement e di Crm, mentre la maggior parte delle realt&agrave, soprattutto quelle piccole e medie, utilizza Internet ancora solo come sito vetrina.

Scelte caute dalle Pmi


Nelle Pmi prevale un approccio tradizionale alla tecnologia (vista ancora come costo e non come investimento a supporto del business). Su un universo di 3 milioni e 800mila aziende in Italia, solo il 3% ha investito nel B2C e il 10% nel B2B. Per quanto riguarda le principali soluzioni di e-business implementate dalle aziende, siti e portali incidono per il 54,4%, il Crm per il 38,9% (ma nel 2001 dovrebbe salire al 44,1%) mentre l’Scm ha coinvolto solo un 4,4%, anche se nell’immediato dovrebbe salire all’8,8%.


L’effettiva penetrazione delle nuove tecnologie presso le imprese italiane non sta, quindi, avvenendo attraverso la via diretta del B2C, bensì tramite l’intermediazione di tutto il parco applicativo esistente e l’adozione di nuove applicazioni Internet based. In altri termini, le aziende italiane stanno predisponendosi e preparandosi a diventare dotcorp tramite una trasformazione radicale della loro infrastruttura tecnologica e applicativa che passa attraverso l’integrazione di back office e front office. La domanda di soluzioni rivolta ai fornitori diventa di conseguenza sempre più complessa e selettiva: oltre a quelle tecnologiche, vengono, infatti, richieste anche competenze di e-business e la capacità di realizzare progetti complessi in tempi inferiori ai 5 mesi.


Secondo Capitani la difficoltà di integrazione tra front e back office rilevata dalle aziende non è legata a un problema tecnologico, ma è piuttosto un fatto culturale perché le società italiane, con poche eccezioni, hanno implementato funzionalità di e-business in modo sperimentale. Un aspetto fondamentale è che per introdurre queste nuove soluzioni occorre cambiare l’azienda e creare un contenitore che sia in grado di utilizzare al meglio le nuove tecnologie.

L’attenzione al Roi


Le imprese italiane stanno sempre più prestando attenzione al Roi e stanno rafforzando questa attenzione attraverso la ricerca di strumenti di misura. Ma solo nel 4% dei casi si tratta di strumenti dettagliati mentre sono assenti nel 40% delle imprese. Nel 21% dei casi ci sono strumenti parziali e nel 35% questo aspetto è in fase di valutazione. "La verità – ha affermato Capitani – °è che, non essendo disponibili strumenti standard, ciascuna azienda oggi cerca un proprio modo per misurare il Roi.


Le imprese che hanno iniziato a quantificare il Roi hanno dichiarato che i benefici derivanti dalla riduzione dei costi di marketing si aggirano attorno al 15%, mentre quelli relativi alla diminuzione del personale di vendita vanno dal 10 al 25%, ma hanno anche riscontrato aumenti di fatturato dal 10 al 25% e della base dei clienti dal 20 al 25%.


L’uso delle nuove tecnologie è ancora poco strategico e non strutturato al sistema, tuttavia all’interno di questo quadro apparentemente confuso cominciano a intravedersi segnali forti di cambiamento pianificato e strutturato: lo si evince guardando la riconfigurazione dell’ambiente. "Tutte le aziende tendono ad autorappresentarsi – ha concluso Capitani – adottando modelli organizzativi che assomigliano sempre di più all’approccio di azienda estesa o, nel caso della Pmi, al modello dell’impresa in rete. L’e-business non è un’opzione, ma un passaggio obbligato e l’investirci in modo consistente è una condizione di sopravvivenza per le imprese ma, nel complesso, anche della competitività dell’intero sistema Paese.

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