Home Digitale La TV che verrà (Applilife n. 1, dicembre 2007)

La TV che verrà (Applilife n. 1, dicembre 2007)

Se il passaggio dalla televisione in bianco e nero a quella a colori è stato, tutto sommato, abbastanza indolore, quello verso l’alta defi nizione o High Defi nition che dir si voglia, si preannuncia piuttosto problematico, almeno nel nostro Paese. Chi voglia acquistare oggi un nuovo televisore, LCD o plasma, capace di visualizzare video in alta definizione ha soltanto l’imbarazzo della scelta.
Ma se si analizza un po’ più a fondo quel che offre il mercato e, soprattutto, la disponibilità di contenuti, ci si accorge che in realtà c’è ancora ben poco da vedere. In Italia, soltanto Sky trasmette regolarmente cinque canali con programmi in HD e, pur avendo cominciato più di un anno fa in occasione dei Campionati del Mondo di Calcio, è riuscita a convincere soltanto una percentuale piuttosto ridotta dei propri abbonati al servizio satellitare: 200 mila in tutto. Le altre emittenti nazionali, a cominciare da RAI e Mediaset, sono impegnate da anni a non farsi troppa concorrenza e non sembrano essere molto interessate all’argomento.
Una fonte alternativa di contenuti è rappresentata dall’evoluzione dei DVD, ma qui il problema è rappresentato dall’esistenza di due standard diversi, Blu-ray e HD DVD, strenuamente difesi dai rispettivi sostenitori, sia fabbricanti di apparecchiature elettroniche sia produttori di contenuti, major hollywoodiane in testa. Qualche timido tentativo di unifi cazione fra i due standard non ha portato ad alcun esito e proprio la disponibilità di contenuti è uno dei fattori che potrà decretare il successo di uno standard rispetto all’altro, proprio come accadde in passato con gli standard per le videocassette quando a vincere fu il VHS che poté contare su un maggior supporto da parte delle case cinematografiche.
L’incertezza su quale sarà lo standard vincente sta rallentando l’offerta di titoli in alta defi nizione che è ancora piuttosto limitata, qualche centinaio per ciascuno dei due standard e solo una frazione di questi è oggi disponibile anche in lingua italiana. A complicare la situazione c’è poi un evidente caso di confl itto d’interessi: uno dei più importanti sviluppatori del Blu-ray, e quindi detentore dei relativi diritti di utilizzo, è Sony che con Sony Pictures controlla una consistente fetta del mercato televisivo e cinematografi co. Una casa cinematografi ca che pubblica i propri titoli in formato Blu-ray si ritrova quindi a pagare indirettamente una sua diretta concorrente ed è questa la ragione che ha spinto nomi come Paramount Pictures e Dreamworks a schierarsi a favore del formato HD DVD. Lo scontro si è esteso anche al mercato delle console per videogiochi dove Sony è presente con la PlayStation 3, equipaggiata di serie con un riproduttore Blu-ray, mentre la Xbox 360 di Microsoft può essere corredata da un lettore HD DVD.
Gli ultimi dati di vendita segnano un leggero vantaggio a favore dei dischi Blu-ray e per contrastare questa tendenza Toshiba propone, al momento solo negli Stati Uniti, un riproduttore HD DVD a meno di 200 dollari, la metà del prezzo dei più economici riproduttori Bluray. Dal canto suo, Microsoft ha lanciato per il periodo natalizio una promozione sul lettore per Xbox 360 che viene fornita con ben cinque titoli in alta defi nizione, promozione valida anche per l’Italia. I due standard sembrano quindi destinati a coesistere per qualche anno ancora e, fortunatamente, sono già disponibili riproduttori capaci di gestire indifferentemente dischi Blu-ray e HD DVD, come il BH200 della LG o il Samsung BD-UP5000, che hanno però un prezzo equivalente a quello di due riproduttori separati.
La mancanza di certezze sembra essere il leit-motiv che sta accompagnando l’introduzione dell’alta defi nizione. Alla radice di tutto c’è il fatto che, mentre per i segnali televisivi in defi nizione standard (quelli oggi ricevuti con le antenne sul tetto oppure generati da un videoregistratore VHS o da un player DVD) ciascun Paese ha adottato un unico formato ben defi nito, per l’alta defi nizione sono correntemente utilizzati più formati che hanno come unico elemento comune il rapporto d’aspetto delle immagini (cioè il rapporto fra larghezza e altezza delle immagini di 16:9, più rettangolare del 4:3 della defi nizione televisiva standard). Per cominciare, i segnali HD si differenziano per il numero di linee orizzontali che compongono le immagini, 720 o 1.080, e per il numero di immagini contenuto in un secondo di video, da un minimo di 24 fi no a 60. Inoltre, ciascuna immagine può essere costituita da due cosiddetti semiquadri o campi, uno contenente le linee dispari e l’altro quelle pari, e si parla in questo caso di segnali video interlacciati per differenziarli da quelli progressivi, nei quali ogni immagine è trattata come una singola entità. Una sigla come 1080/50i indica quindi un segnale video con immagini composte da 1.080 linee orizzontali, trasmesso in modalità interlacciata con 50 semiquadri al secondo, ovvero 25 immagini complete, mentre la sigla 720/50p si riferisce a segnali da 720 linee in modalità progressiva contenenti 50 immagini al secondo. Il primo è oggi lo standard preferito dalla maggior parte delle emittenti televisive mentre per la registrazione di fi lm su Blu-ray o HD DVD si utilizzano segnali progressivi, identifi cati genericamente con la sigla 1080p.
Un primo tentativo di rendere il tutto un po’ meno ostico per i consumatori è stato fatto dall’EICTA, l’associazione che raccoglie i maggior fabbricanti europei di apparati elettronici, che ha proposto l’uso del logo HD ready. Per potersi fregiare di questo logo, il televisore o il videoproiettore deve disporre di un pannello in formato 16:9 composto da almeno 720 linee in verticale, ma deve accettare in ingresso anche segnali a 1080i ed essere dotato di un ingresso in component analogico oppure HDMI/DVI con supporto HDCP, acronimi che meritano una spiegazione.
HDMI (High Definition Multimedia Interface) identifica lo standard per la connessione in digitale delle apparecchiature mentre HDCP (High-bandwidth Digital Content Protection) è il protocollo standard del sistema di protezione dalla copia. Un’alternativa all’interfaccia HDMI è la DVI (Digital Visual Interface), diffusa in ambito informatico: con appositi adattatori è possibile connettere apparecchiature con uscita DVI a dispositivi con ingresso HDMI o viceversa. In sostanza, il marchio HD Ready certifi ca semplicemente la possibilità di visualizzare il video in alta defi nizione quando l’apparecchio è collegato a una sorgente video esterna, ma non dà alcuna garanzia sulla qualità delle immagini. Ad esempio, quando si visualizza un segnale a 1.080 linee su un qualsiasi apparecchio che abbia una risoluzione inferiore, è necessario effettuare un ridimensionamento, operazione che può essere effettuata in diversi modi e con risultati che possono essere sensibilmente differenti sul piano qualitativo. Quando è stato proposto il marchio HD Ready, circa due anni fa, gli apparecchi capaci di visualizzare segnali a 1.080 linee senza alcun ridimensionamento erano ben pochi. La situazione è però cambiata radicalmente tanto che alcuni fabbricanti hanno cominciato a utilizzare marchi come Full HD per distinguere televisori o videoproiettori dotati di pannelli da 1.920 x 1.080 pixel, capaci cioè di visualizzare segnali HD a 1.080 linee senza ridimensionamenti. L’EICTA, forse un po’ in ritardo, sta tentando di mettere fi ne a questa situazione proponendo il marchio HD Ready 1080p proprio per identifi care questo tipo di apparecchiature, affi ancato dal marchio HDTV 1080p riservato a quei televisori dotati di un decoder HD interno.
Questo decoder non deve essere confuso con il decoder per la televisione digitale terrestre, dotazione sempre più frequente degli schermi piatti oggi in commercio e adatto solo per il video in defi nizione standard. Se in futuro si vorranno utilizzare questi schermi per la ricezione di trasmissioni in alta defi nizione, sarà necessario munirsi di un decoder esterno. Come accennato in apertura l’offerta di schermi piatti è molto vasta e sono due le tecnologie c
he si contendono il mercato: plasma e LCD (Liquid Crystal Display). Anche se la qualità delle immagini prodotte può essere paragonabile, almeno se si mettono a confronto i migliori schermi appartenenti alle due categorie, i principi fi sici su cui si basano sono diversi.
Gli schermi al plasma sono composti da minuscole celle, raggruppate tre a tre per formare il singolo punto che compone l’immagine. Ogni cella contiene un gas che, se sollecitato elettricamente, provoca l’emissione di luce di uno dei tre colori base (rosso, verde e blu) da parte delle sostanze che rivestono le pareti, del tutto simili ai fosfori utilizzati nei tubi a raggi catodici dei televisori tradizionali.
Negli schermi LCD la luce è invece emessa da una serie di lampade fl uorescenti poste dietro al pannello e lo strato di cristalli liquidi si comporta come un otturatore variabile. La luce passa poi attraverso una matrice di fi ltri colorati, anche questi riuniti a gruppi di tre per formare il singolo punto dell’immagine. In alcuni modelli recenti, come il Samsung LE 40M91B, le lampade fl uorescenti sono state sostituite da gruppi di LED ad alta luminosità, che hanno il vantaggio di poter garantire una migliore uniformità del pannello e una resa cromatica più fedele.
Le prime generazioni di entrambe le tecnologie soffrivano di parecchie limitazioni, in tutto o in parte superate negli schermi piatti più recenti, tanto che può essere diffi cile distinguere a colpo d’occhio un plasma da un LCD. In particolare, il fenomeno del burn-in che causava la comparsa di immagini fantasma nei primi schermi al plasma è virtualmente assente nei modelli più recenti, o almeno in quelli più di pregio, mentre l’affi namento delle tecniche di fabbricazione permette oggi di realizzare celle di dimensioni più ridotte, ottenendo così una maggiore risoluzione. Per confronto, le prime TV al plasma da 42” avevano una risoluzione di 848 x 480 pixel mentre alcuni recenti modelli Panasonic e Philips arrivano anche a 1.920 x 1.080 pixel. Se la risoluzione non è mai stata un grosso problema per gli LCD, erano altre le limitazioni delle prime generazioni di questi schermi, in particolare determinate da contrasto ridotto, angolo di visione limitato e tempo di risposta elevato, tutte limitazioni che si possono considerare superate dai migliori schermi LCD oggi in commercio. Anche la resa dei colori, un tempo ben inferiore a quella degli schermi al plasma, è migliorata sensibilmente. Rispetto a questi, gli schermi LCD sono disponibili anche con dimensioni inferiori, fi no a 22 pollici per un Full HD come lo Sharp della serie Aquos P mentre per quel che riguarda le dimensioni massime, il limite è determinato soltanto da quanto si è disposti a spendere: per entrambe le tecnologie sono già in commercio schermi da poco più di 100 pollici che hanno un costo di diverse decine di migliaia di euro.

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