La revisione del processo che ci piace

In tempi nei quali si cerca di ridefinire di ciò che è giusto e ciò che non lo è, può aver senso ricordare che il 2.0 funziona, a saperlo attivare. Un esempio reale: Mykea

Negli ultimi tre anni l’Italia ha ingerito l’amaro boccone del supporto all’imprenditoria giovane, sia negli individui, sia nei concetti. Si sono quindi moltiplicati eventi che chiamavano a raccolta aspiranti imprenditori o inventori, promettendo supporto, piccole cifre da business angels o direttamente milioni di euro per finanziare le iniziative. Molti hanno fatto un gran lavoro di scouting per doversi arrendere alla doppia evidenza. La qualità delle proposte è bassa nel 99% dei casi e comunque la società italiana non è pronta a questo approccio, anche se le eccezioni virtuose non mancano.
Di fatto, specie nell’agone informatico, molti si sono definiti “innovatori del due punto zero”, roboando i più vari concetti senza mai distaccarsi troppo dal 99% di impraticabilità.
Effettivamente a trovare dei veri esempi 2.0 si fa fatica, ma ogni tanto se ne trovano. Ovviamente bisogna prima concordare di cosa sia il 2.0, perché altrimenti Tim O’Reilly, potrebbe avere qualcosa da ridire, in quanto ideatore del termine 2.0
Il brillante editore di versioni ed etichette se ne intende, visto che il suo stesso nome, nella forma a noi nota, è in versione 2.0: egli infatti si chiama Tadhg Ó Raghallaigh, essendo un irlandese naturalizzato statunitense (e la “O” d’inizio cognome già ce lo ricordava).
Orbene in varie interviste Tadhg/Tim ha sempre tenuto a precisare che il 2.0 non va confuso con la tecnologia Ajax e derivati sulla quale si basa. Essa di fatto abilita l’innovazione di processo, mappando una nuova catena del valore ed aggiungendo sui alcuni nodi della catena dei link un valore che prima non c’era. In linea teorica, quindi, il 2.0 può anche uscire da Internet, usandola solo in alcuni aspetti non direttamente erogatori di revenues.
In quest’ottica uno dei migliori approcci al 2.0 è da sempre Ikea, l’azienda che ha rivoluzionato il mondo del mobile con moltissime innovazioni di processo. Ikea sfrutta pesantemente il Web, ma solo come supporto alla diffusione del marchio e per scopi logistici, mentre la parte più “social” è stata l’inclusione della destrezza individuale per l’assemblaggio.

Say no to naked furnitures
Uno dei vantaggi del Web, in questo ancora superiore alle Apps, è la personalizzazione dell’esperienza e del percorso di ricerca e partecipazione in Rete. Qualcuno ha associato queste caratteristiche ai mobili da assemblare in casa, acquisendo fotografie e sagomandole in modo da poterci decorare i mobili del colosso nordico. Si tratta di Mykea, un’azienda olandese che personalizza i mobili con adesivi ricavati dalle fotografie. Il suo slogan è appunto “Say no to naked furnitures”, dite no ai mobili nudi.
Si noti che in sé la questione non richiede nessuna tecnologia avanzata: un dispositivo di stampa industriale riceve file già preparati, li stampa su adesivo, li taglia, li imbusta e li spedisce. Certo la promozione, l’ordine, la verifica dell’adattabilità della foto, il pagamento, l’eventuale tracciabilità della spedizione e la postvendita sono fatti su Internet, ma senza soluzioni stravolgenti.
L’idea è ottima e permette anche la creazione di una community e di un vero mercato, nel quale chiunque può proporre e vendere le proprie foto per decorare i mobili di tutti. I costi sono accettabili, anche se per ora le royalty per i fotografi sono abbastanza basse.

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