La mobile economy italiana deve preparare la virata

Dai dati di un’utenza digitale che si dimena fra Web tradizionale, social network e mobility, emerge un quadro fatto di frenesie creatrici, ma anche di lassismi. Probabile un buon decollo se più aziende entreranno convinte nell’agone.

Il terzo Forum della Comunicazione Digitale si è aperto con un’anticipazione di Fabrizio Cataldi, fondatore di Comunicazione italiana, sull’edizione del prossimo anno: si terrà sempre a Milano, ma diventerà un evento internazionale, cambiando nome: World Digital Forum.

E per creare una manifestazione in linea con queste attese Cataldi ha chiamato a raccolta gli oltre 40mila iscritti alla piattaforma Comunicazione Digitale in un contesto di crowdsourcing: dare idee, spunti, desiderata.

Apriamo i cancelletti” è stato il leit motiv dell’edizione 2012, a simboleggiare non tanto il legame indissolubile che oramai esiste fra comunicazione digitale e social network, quanto alla necessità di far sprigionare una forza vitale, come ha spiegato Carlo Infante di Urban Experience (“dobbiamo tutti diventare più in gamba”, ha detto) il cui staff ha gestito la tag cloud della manifestazione, filtrando i post su twitter.

I dati della digital experience italiana
Carolina Gerenzani, technology sector head di Tns Italia ha presentato i dati italiani (provenienti da 1.064 utenti) di una indagine mondiale sugli utenti internet (70mila intervistati).

Il 91% fruisce internet da pc, il 28% da smartphone (l’80% in piu rispetto al 2010) il 5% da tablet, il 7% da game console, il 5% da connected tv.

Con i dispositivi mobili l’utilizzo principe rimane l’e-mail, seguito dal social networking, dal banking online e dal gioco.
Il mobile commerce è più un social shopping, con l’aumentata consapevolezza dei gruppi di acquisto: il 72% dei mobile surfer fa un pagamento online una volta al mese.
Social: mediamente l’utente italiano ha 206 amici, 30 in più rispetto al 2010.
Dato più importante, il 63% nel mese interagisce con la metà degli amici.

Mobile e virale
La possibilità di fare marketing virale è quindi concreta. Tanto più che il 48% degli utenti italiani è connesso socialmente a un brand, con cui interagisce, esprime le proprie opinioni.
Ci supera nel dato solamente la Grecia (e non sappiamo dire se sia un bel segnale).

C’è voglia, quindi, di essere influencer, ma anche di ascoltare, di sapere, e vale per il 74% degli utenti.

Si è connessi con dispositivi mobili mentre si fanno altre cose: guardando la tv, facendo acquisti, ascoltando la radio, leggendo, giocando.

Le app hanno agevolato l’esperienza utente. Chi cerca informazioni guarda i consumer generated media.
Il cliente, insomma, è diventato un media.
La geolocalizzazione nei social network? È molto conosciuta, dai tre quarti degli utenti. Ma, solamente l’11% è connesso, il 13 pensa di farlo e, soprattutto, il 53% no.

In conclusione, volendo inquadrare il fenomeno, per Gerenzani, il mobile tiene in contatto, abilita l’always-on fuori casa, esistono nuovi touchpoint per la comunicazione del brand. Il consumatore del contenuto digitale passa da fruitore ad attore. È, insomma, diventato un media. E le aziende devono tenerlo in considerazione.

I commenti del panel sui trend della mobile economy

Per Antonio Turroni, partner e managing director di The Boston Consulting Group «non vale piu la regola della prima internet. Questo non è più il
il mondo con cui si devono rapportare le ebay o le Amazon, ma tutte le altre imprese… Una volta ragionavamo tutti per singolo mezzo. Specie con l’arrivo dell’internet delle cose è limitante. Le aziende dovranno imparare a gestire piu device
».

Enrico Gasperini di Audiweb ha affermato di lavorare da un anno per monitorare il comportamento mobile: «vogliamo avere una fotografia single suorce, per monitorare gli utenti in tutti i loro accessi al mezzo, indipendentemente dal device. Va capito cosa fa la singola testa, non come si comporta il mezzo che naviga».

Quali sono i dati preliminari? 10 milioni di utenti smartphone mese su mese sulla rete, a fronte di 27 milioni di utenti pc. Il mobile, però, non sta trascinando nuovi utenti: «non si supera il digital divide, sopra i 55 anni decade l’interesse nel digitale».
E la pubblicità mobile è meno del 5% rispetto a quella su pc.

Ma la app, si è chiesto Gasperini, è un prodotto o servizio, dato che oggi nessuno fa piu siti Web, ma tutti sviluppano app?
«Le app, intanto, sono un business per chi ha gli store – ha osservato ironicamente -. E non pensiamo solo al mobile, ma anche alle facebook apps, come Zynga.
Comunque, app o non app, la digital agenda dovrà favorire l’innovazione, la creazione di start up. Gli investimenti in venture capital da noi sono la metà di quelli della Grecia
».
In Italia viviamo di sovvenzioni, ma non va bene. «Altrove si defiscalizza chi crea azienda, favorendo la creazione».

Per Lorenzo Barbantini Scanni, presidente di The Name Group, «tutti gli anni è l’anno del mobile, ma poi spunta sempre un problema». Sono interessanti le evoluzioni nella geo localizzazione, così come le remote app. Ma sono tutti blocchetti di un quadro di cui va definita meglio e coralmente la strategia.

Ad Andrea Prandi, senior vp communication Edison, nessuna agenzia consiglia il mobile per ottimizzare le campagne di comunicazione. Cosa che lo spinge a osservare che «forse siamo indietro». Invece le aziende potrebbero dire ai propri utenti cose intelligenti con il mobile e con la gamification.

Per Alessandro Colafranceschi, Head of global Online banking di Unicredit, che ha 300mila utenti mobili internet, il social è una grande opportunità, ma affrontato non tanto per fare brand awareness, quanto per fare product development, quindi per imparare dalla rete e per consentire a marketing e sales di ascoltare quello che ha da dire. Fine dei focus group?

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