La legislazione italiana all’avanguardia in Europa

Enrico Granata, responsabile dell’area normativa di Abi, analizza le mosse che il nostro Paese sta facendo per legiferare regole relative al commercio elettronico, che hanno l’obiettivo di supportare e tutelare le aziende negli scambi internazionali

Siamo di fronte a uno sforzo legislativo molto
intenso realizzato, sia a livello nazionale che comunitario, attraverso
provvedimenti che riguardano anche problematiche complesse come
l’e-government. Enrico Granata, responsabile dell’area normativa di Abi, cerca
di fare il punto sullo stato dell’inquadramento normativo, nazionale e
comunitario, che riguarda il commercio elettronico. «È necessario
afferma Granata – dare una risposta a chi si chiede se il sistema
nazionale sia sufficientemente coerente con le esigenze di sviluppo del
business, se le regole che provengono dalla Comunità europea e che dovremmo
introdurre nel nostro Paese siano coerenti con quelle già adottate a livello
nazionale e se dalla legislazione europea proverranno interventi di modifica
più o meno ampi dell’attuale quadro normativo. Infine, visto che la
legislazione comunitaria si pone l’obiettivo non solo di regolamentare
alcuni aspetti dell’e-government, ma anche di favorire e rendere possibile
lo svolgimento del commercio elettronico in ogni settore, quindi anche
in quello bancario, è bene chiedersi se le regole comunitarie facilitino
il commercio elettronico cross government o se dalle indicazioni di
Bruxelles si può desumere un qualche aspetto negativo.
Per le norme
dell’ordinamento nazionale sull’e-government Granata ritiene che questa sia
«una di quelle situazioni in cui il nostro Paese si è mosso prima del
legislatore comunitario
» occupandosi del documento informatico in
quanto tale, piuttosto che del commercio elettronico, arrivando persino a
dare una definizione di questa tipologia di documento («la
rappresentazione informatica di atti, fatti o dati giuridicamente
rilevanti
») e dettando le regole tecniche. Granata riconosce che lo
sforzo fatto è encomiabile, perché non solo si è assicurata piena validità
giuridica al documento informatico ma, ai fini dell’applicabilità di queste
regole a documenti di vario tipo, non sembra nemmeno che ci si sia posti dei
limiti, escludendo o limitandone la portata. Limiti che, invece, in
qualche misura possiamo trovare in ambito comunitario.
Il legislatore
nazionale ha anche dettato regole riguardanti la firma digitale, definendola
come il risultato della procedura informatica basata sul sistema di chiavi
asimmetriche a coppie, una pubblica e una privata, che consente al
sottoscrittore (tramite la chiave privata) e al destinatario (tramite la
chiave pubblica) di rendere manifesta la provenienza e di verificare
l’integrità di un documento informatico.
«È chiaro – sottolinea
Granata – che il legislatore si è posto nell’ottica di individuare una
forma di sottoscrizione elettronica che fa capo a livelli avanzati di
acquisizione della firma e quindi di garanzia totale e di certezza della
riferibilità all’autore della sottoscrizione in forma elettronica
»
anche se questa scelta non è del tutto coerente con quella fatta dal
legislatore comunitario.
Però, in questo modo, chi opera nel nostro Paese,
anche nella prestazione dei servizi bancari e finanziari, attraverso
strumenti informatici ha, sotto il profilo della certezza legale e della
tenuta degli strumenti, un terreno di riferibilità giuridica e certezza di
esercizio dell’attività, perché l’attenzione del legislatore si è
incentrata, almeno nel caso dei servizi finanziari e bancari,
sull’individuazione dei termini per cui il documento informatico assurge
a documento con validità legale e alle modalità con cui a questo documento,
purché munito di sottoscrizione apposta in una certa forma, viene
riconosciuta dignità di scrittura privata. Con l’adozione del Testo Unico
delle disposizioni legislative regolamentari in materia di documentazione
amministrativa, che regola non solo i rapporti del cittadino e delle imprese con
le Pubbliche amministrazioni, ma anche i rapporti fra privati, la nostra
legislazione si conferma come molto avanzata poiché in buona parte
precede l’intendenza del legislatore comunitario. Per la firma
elettronica, il legislatore comunitario prevede che se ne possano usare
due modelli: uno, di tipo avanzato, con caratteristiche analoghe a quelle
della firma digitale nazionale mentre l’altro, concernente la firma “non
avanzata” possiede caratteristiche di sicurezza, di tenuta tecnica, meno
“spesse” e si basa su accordi tra le parti. Un’altra divergenza riguarda il
sistema autorizzativo.

La firma elettronica
La
direttiva comunitaria sulla firma elettronica precisa che gli stati membri
non subordinano a autorizzazione preventiva la prestazione che esige
certificazione e, per il mercato interno, stabilisce che ciascuno stato
membro applichi le legislazioni nazionali adottate ma, aggiunge, queste non
possono limitare la prestazione di servizi di certificazione originati in un
altro stato membro nella materia disciplinata dalla direttiva. La direttiva
comunitaria sul commercio elettronico (emanata a giugno 2000 deve essere
recepita dagli ordinamenti degli stati membri entro il 17 gennaio del 2002)
secondo Granata ha diverse anime. Innanzitutto, si limita a dire che gli
stati membri provvedono affinché il loro ordinamento giuridico renda
possibili i contratti per via elettronica e che, in particolare, gli
ordinamenti nazionali devono assicurare che la normativa relativa alla
formazione del contratto non osti l’uso effettivo dei contratti elettronici
e non ne limiti la validità in quanto stipulati per via informatica o
elettronica (ed è quanto fatto nel nostro ordinamento) ma prevede anche che
gli stati membri, nell’uniformarsi a questi principi, possano introdurre
delle deroghe e che in alcuni particolari casi non siano riconosciuti validi
se fatti in forma elettronica. Cita, ad esempio, contratti che
istituiscono o trasferiscono diritti relativi a beni mobili (di
compra-vendita o di garanzia) o contratti che per legge richiedono la
presenza di un notaio o di un pubblico ufficiale. Per la normativa
italiana, non essendo ancora noto il provvedimento con cui il
legislatore intenda recepire la direttiva, Granata sviluppa un
ragionamento probabilistico: «Visto che non abbiamo introdotto alcuna
deroga e che anzi riconosciamo piena validità a tutti i contratti
elettronici, anche se questi riguardano la compra-vendita, e visto che
abbiamo previsto che il marchio unico può essere in forma elettronica e la
scrittura può essere autenticata presso il notaio sulla base di modalità
elettroniche della produzione della firma, l’ordinamento italiano è nella
condizione di non accogliere alcuna di queste deroghe
».
«Sotto
il profilo contrattualistico
– continua Granata – è interessante
notare come il legislatore comunitario non ha fatto alcuna scelta per quanto
riguarda il momento di conclusione del contratto che potrebbe essere resa in
via elettronica, mentre ha dettato regole sull’inoltro dell’ordine, per cui
si deve applicare il principio che il prestatore del servizio deve accusare
ricevuta dell’ordine del destinatario, senza ingiustificato ritardo, per via
elettronica
».
Vi sono, poi, norme che prevedono che chi propone
servizi per via elettronica deve fornire informative al proprio cliente,
mentre altre ancora riguardano le responsabilità di chi interviene nella
filiera della prestazione dei servizi per via elettronica, con attività di
trading o servizi di hosting o di cashing nell’ambito del commercio
elettronico.
La normativa, di carattere generale, riguarda non solo le
banche, ma anche i servizi finanziari e chiunque presti servizi per via
informatica (commerciante, venditore di prodotti informatici o altro) e
si preoccupa soprattutto di consentire, senza intralci, l’effettuazione e la
protezione di acquisti per via elettronica nel territorio dell’Ue. La
direttiva comunitaria afferma il principio, già presente nel mondo bancario,
“del passaporto unico” ovvero del paese di appartenenza: se il prestatore di
servizi ha, nel paese d’origine, regole che normano la propria attività
nella prestazione dei servizi informatici, queste lo seguono anche quando
effettua servizi in altri paesi dell’Unione. Ma aggiunge che il principio
non si applica laddove entrino in gioco norme che riguardano contratti
stipulati con i consumatori.


Regole diverse nella
Ue
«Questa è un’affermazione importante – sottolinea
Granata – perché se il consumatore ha nell’ordinamento del proprio paese
regole diverse, queste prevarranno rispetto a quelle in vigore nel paese del
prestatore dei servizi, che non potrà esportare le proprie regole nel
paese in cui dirige l’offerta
». Messa così la regola è limitativa
della possibilità indiscriminata di prestare servizi nell’ambito della
Comunità europea.
Quindi, il legislatore nazionale è più in sintonia con le
esigenze di quanto sia stato il legislatore comunitario, che deve sempre
fare i conti fra l’esigenza di assicurare lo svolgimento dei commerci a
livello europeo e la resistenza degli stati nazionali, che tendono a
riaffermare, almeno in parte, la sovranità legislativa o in qualche
misura a creare delle barriere d’ingresso. Un altro regolamento, che
entrerà in vigore a marzo del 2002, stabilisce che, in caso di patologia
di rapporto, il prestatore di servizi dovrà affrontare il rischio di essere
citato nelle corti del paese di domicilio del consumatore. Si profila,
perciò, l’esigenza di sviluppare forme di risoluzione delle controversie,
per evitare che insorgano, in maniera significativa, questo genere di
situazioni. Infine, un’altra direttiva (tuttora in discussione) concede la
vendita a distanza di servizi e prodotti finanziari. Una situazione in cui
non si avrà la presenza del prestatore dei servizi e del destinatario. La
direttiva, che ha un raggio d’azione più ampio di quella per il commercio
elettronico, ma che necessariamente lo include, si rivolge
specificatamente ai consumatori. Di nuovo emerge un set di regole, come
i termini in cui fornire l’informativa e la conferma del diritto di recesso
del consumatore entro un tempo definito. Granata conclude l’excursus
esprimendo soddisfazione per l’opera del legislatore nazionale, ma invita
tutti gli operatori di servizi a fare attenzione alle indicazioni
comunitarie.

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