La legge sui dati personali? Un’opportunità per le aziende

I cambiamenti normativi, introdotti recependo raccomandazioni comunitarie, sono utili alla competitività del nostro Paese. Questa la tesi di Alessandro Chiappini, responsabile di Tc Sistema Servizi, che esprime la sua opinione sulla modernità della 196/03.

La legge 196/03, relativa al trattamento dei dati personali e sensibili, rappresenta una grande opportunità per le imprese italiane. E non mi riferisco solo a quelle che operano nell’It, ma a tutte le imprese di qualsiasi tipologia o dimensione. Proverò a farlo partendo da due ipotesi.


La prima è che i cinesi, e le tigri d’oriente più in generale, producono in modo imitativo e non innovativo e hanno costi di produzione estremamente ridotti rispetto a noi occidentali. Di contro, hanno organizzazioni industriali che sono paragonabili alle aziende tessili dell’Inghilterra del tardo Ottocento, sia per condizioni sociali, sia per flussi aziendali.


La seconda è che i prodotti che raggiungono più in fretta e con maggiore capillarità gli acquirenti sono quelli che vincono. Infatti, il rapporto qualità/prezzo che vede svantaggiati gli occidentali, può essere valutato solo se entrambi i prodotti raggiungono il cliente in tempi comparabili. Un complesso normativo ben definito e documentato (l’Iso, la 626, la 196/03 e altre leggi tese a standardizzare e omogeneizzare comportamenti di enti ed aziende), crea un apparentamento virtuale dei sistemi che regolano i flussi comunicativi di tutte le aziende.

Garanzie di comportamenti


Questo comune sentire fa da facilitatore di rapporti e fornisce garanzie implicite di comportamenti adeguati ai reciproci standard, a due o più aziende che devono intrattenere rapporti commerciali. Strutture industriali, come quelle orientali, poste in un ambito sociale arcaico e organizzate a braccio possono essere utilizzate immediatamente per la cessione di alcuni beni non soggetti ai rigori normativi, ma quando la fornitura prevede parternariato e integrazione di processo, sicuramente gli scogli da superare sono tali e tanti che una pronta offerta, sostenibile economicamente, ha la meglio su una qualsiasi altra offerta che non offra tali possibilità.


Ergo, i cambiamenti normativi introdotti recependo raccomandazioni comunitarie, sono utili alla competitività del nostro Paese.


Ora che ho esorcizzato il demone della "legge inutile e fastidiosa da rispettare per obbligo", mi spingo oltre e dico che la 196/03 è quanto di più moderno emanato da un legislatore occidentale in tema di tutela della privacy. Il principio fondamentale cita: "Chiunque ha diritto alla protezione dei dati personali che lo riguardano". Quindi, ogni interpretazione giurisprudenziale, deve vedere, come soggetto favorito in caso di contenzioso, l’interessato. Un ulteriore principio, non di rango costituzionale come il precedente, ma sicuramente fondante, è quello di necessità del trattamento dei dati. Infatti, ove il dato possa essere usato in forma aggregata o anonima, non deve essere trattato in forma singolare e personale. Infine, vi è un terzo principio espresso nella legge, che cita esplicitamente i casi nei quali il trattamento può essere effettuato senza consenso, con "esclusione della diffusione […] e […] qualora non prevalgano i diritti, le libertà fondamentali, la dignità o un legittimo interesse dell’interessato".

Il consenso all’uso


Gli adempimenti alla normativa si articolano partendo da una "informativa" che intercorre tra chi raccoglie i dati e chi li conferisce: l’espressione di un "consenso" o la creazione di circostanze e presupposti alternativi al consenso esplicito, la "notifica" alla autorità della raccolta e, infine, il "trattamento". Una corretta informativa deve contenere: finalità e modalità di trattamento, modalità prevista di conferimento dei dati, conseguenze del rifiuto al conferimento, limiti della diffusione in termini di ambiti e soggetti, diritti dell’interessato in termini di accesso, aggiornamento, rettifica, integrazione e cancellazione e infine estremi del titolare del trattamento. Per quanto riguarda il consenso, la lettera della legge lo vorrebbe sempre conferito in forma espressa ma, visto che viviamo in un mondo in cui le consuetudini ragionevoli sono spesso deroga implicita alla regola, in questo caso il legislatore è stato lungimirante e ha elencato in forma esplicita tutte le ipotesi di esclusione dal consenso. Ne cito una per far capire come la ragionevolezza, per una volta, l’ha avuta vinta. Il consenso non è dovuto qualora il dato provenga da pubblici registri, elenchi, atti o documenti conoscibili da chiunque.


Passiamo a commentare la notifica. La nuova disciplina specifica che la notifica all’autorità non deve essere effettuata sempre, ma solo se si tratta di particolari dati personali, ripeto, personali non sensibili, ma solo di alcuni tipi. In effetti, per estensione, anche in questo caso si va ad attribuire obbligo di notifica anche per raccolte di dati generici. Infatti, una raccolta cartacea, che di fatto non consentirebbe di utilizzare i dati per ricerche campionarie o ricerche di mercato, fatta tramite strumenti elettronici, potrebbe assumere, invece, tutt’altra valenza e, quindi, necessitare di notifica dell’inizio della raccolta all’autorità. In sintesi, direi che il legislatore si preoccupa di far dichiarare all’autorità l’inizio di attività di raccolta, che fornisca un profilo dell’interessato. Il problema che intravedo è che, se i dati sono raccolti da sistemi informatici, per quanto innocenti, quasi sempre possono essere utilizzati per realizzare un profilo dell’interessato.


Per quanto riguarda la raccolta di dati sensibili, come in genere sono classificati quelli sanitari e giudiziari, la raccolta deve essere espressamente autorizzata dall’autorità che entro 45 giorni dovrebbe rispondere. Qualora non rispondesse, l’autorizzazione va intesa come negata. Ovviamente per evitare il bailamme delle richieste, l’autorità può emettere autorizzazioni generali alla raccolta per pluralità di soggetti. Ritengo, quindi, che la legge sia di eccezionale modernità e civiltà, per cui mi auguro che sarà appoggiata dai cittadini e dalle organizzazioni che li rappresentano, anche in fase di esecuzione. Infatti, il cambiamento culturale che introdurrà, recepito nei microcosmi delle imprese, creerà facilità di dialogo solo tra quelle che a tali principi di civiltà danno credito.

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