La «i» di innovazione nell’alfabeto dei Cio

C’è un che di virtuoso se il Chief information officer influisce non solo sulla tecnologia, ma anche sull’organizzazione aziendale e sulle persone

Fare innovazione, partecipare alle strategie, gestire la comunicazione, procedere all’integrazione, semplificare i processi. Azioni, queste, che per un Cio rappresentano il pane quotidiano. O forse, più precisamente, dovrebbero rappresentarlo. Parlarne sta ormai diventando prassi condivisa, per fare il punto sullo stato dell’arte di una figura importante ma per molti versi ancora in bozzolo, che convive con il rischio, non remotissimo, di non trasformarsi in farfalla se non in grado di cogliere l’inizio della sua stagione. Tant’è che, nel giro di due giorni, sia la School of management del Politecnico di Milano (in collaborazione con Hp, nel terzo convegno di Top Circle), sia Il Sole-24 Ore hanno riunito diversi responsabili dei sistemi informativi per discutere di innovazione legata al ruolo dell’Ict.


Nel complesso, tenendo conto dei due differenti tavoli di discussione, sono emerse le testimonianze di dieci manager (decisori It e un amministratore delegato), tutti d’accordo sull’attribuire all’It un compito primario, di valore per l’organizzazione aziendale, mettendo in luce l’importanza della persona nel rapporto con la tecnologia.


Un Cio, quindi, chiamato a orchestrare un insieme di strumenti e strumentisti, componenti tecnologiche ed esperienze, conoscenze applicative e opportunità strategiche, in una galassia di operatori dove tutti competono e al contempo vogliono essere partner di tutti. Per l’esattezza, Mauro Viacava, Cio di Barilla Holding, parla di “processor orchestrator”, definizione che compredende le capacità tecnologiche, organizzative e di conoscenza dei processi aziendali. Capacità anche di parlare un linguaggio comprensibile alle persone che non si occupano di It. Anche Vincenzo Giannelli, Cio di Fiat Auto, mette l’accento sul lavoro di coordinamento e sulla necessità di ampliare la responsabilità delle persone, coinvolgendole maggiormente, anche superando il concetto che la frammentazione di processi complessi possa migliorare il governo dell’azienda. Il Cio di Poste Italiane, Agostino Ragosa, ha affrontato direttamente la questione e, di concerto col responsabile delle risorse umane, ha creato un’infrastruttura di e-learning, che ha permesso di erogare nell’ultimo anno circa 150.000 ore di formazione in rete, abbattendo i costi di oltre il 50% e ripagandosi in sei mesi. Un bell’esempio di collaborazione tra linee di business. Perché anche questo ha il suo peso. «Sono soddisfatto quando vengo coinvolto direttamente dalle varie business unit dell’azienda – riprende Viacava -, perché questo vuol dire che l’importanza dell’It è pienamente compresa e si possono affrontare sfide comuni, magari sviluppando nuovi scenari organizzativi, con l’It nel ruolo di abilitatore». Il valore della proprietà intellettuale dell’It, infatti, non dovrebbe essere colto solo in occasione di merger e acquisizioni, come sottolinea Arrigo Andreoni, It solution advisory di Telecom Italia.


Vede l’It come elemento fondamentale per lo sviluppo della catena del valore anche Giuseppe Biassoni, direttore sistemi Ict di Rai, che spinge sul concetto di innovazione e lancia una provocazione: «Noi informatici siamo capaci di parlare chiaramente all’impresa per far comprendere i reali benefici della tecnologia o cerchiamo solamente di “vendere” i nostri prodotti?».
Imprenditorialità, quindi, un concetto chiave nel mestiere del Cio, che, sulla scia delle varie “i” proposte ai tempi al Sistema Paese, in campo tecnologico si aggiunge a innovazione, industrializzazione, integrazione, informazione e infrastruttura, in un paniere di driver prioritari. E, proprio in infrastrutture ha investito Ragosa al suo arrivo in Poste Italiane: «Ho affrontato questo grosso tema decidendo di spendere in modo consistente, con la promessa di abbattere nel frattempo i costi e i tempi di transazione». Ma, logicamente, Poste non lesina nemmeno sulla i di “informazioni”, con il punto di forza del data center, che occupa circa 8.000 mila metri quadrati.


La vera i che accomuna tutti, almeno a parole, è, comunque quella di innovazione. «È fondamentale per progredire; stare fermi è impossibile – afferma Viacava -. E non va guardata solo dal punto di vista dell’It ma dell’intera impostazione lavorativa». Anche se ricopre un ruolo fondamentale, la tecnologia, di per sé, non può creare innovazione; può essere uno stimolo, una fonte di ispirazione, un’occasione di ripensamento in grande, un aiuto per mantenere il vantaggio competitivo nel tempo. L’innovazione, comunque, di cui non esiste una definizione unica e condivisa, comporta dei rischi e, di conseguenza, meriti e colpe, ma va affrontata per rispondere a un mercato che sempre più spesso la impone. Così ha fatto Roberto Zaccaro, direttore It & innovations di Kuwait Petroleum Italia. «Avere in organigramma una divisione di questo tipo può sembrare strano per un’azienda che, come la nostra, vende commodity – dice -, ma bisogna credere nell’innovazione di processo, così come nelle persone, per giungere a un cambio culturale che non deve riguardare solamente l’It ma che, al tempo stesso, ne permette l’accettazione. Ed è il Ceo stesso, molte volte, a dover rappresentare il punto di snodo dell’innovazione: promuoverla ed esserne complice per spingere le varie aree di business al change management». Ma oltre a ciò, sempre per Zaccaro, il Ceo deve anche correre meno velocemente per aiutare il Cio a usare al meglio gli strumenti di cui dispone.


Al contempo, per Giorgio Mosca, vice president group Ict di Finmeccanica, «l’It deve guadagnarsi sul campo la fiducia del business, aprirsi alle idee di tutti». Ma non è solo questo. Il manager, infatti, con due metafore ben riuscite paragona l’azienda prima a un film, di cui il Ceo deve ergersi a regista, e poi a una gara di slalom, in cui la direzione «deve pensare quattro porte avanti. È il Ceo che deve far vedere il tracciato al Cio». Per Mosca, comunque, l’innovazione rappresenta un driver strategico e il responsabile dei sistemi, per supportarla, deve essere pragmatico.


Più di idee, ma sempre di persone, parla Gianluigi Castelli, direttore Information & Communication Technology di Eni, per il quale capacità progettuali e tecnologie non mancano, la difficoltà sta nell’individuare quelli giusti per fare bene e in fretta. Ed è il Cio a dover sviluppare questa competenza per sostenere il cambiamento in modo strutturato. Qualità a cui si deve sommare quella di selezione e del lavoro in team. «La vera risorsa di un’azienda è data dal suo personale – spiega -. Per tradurre idee innovative in valore servono menti aperte, capacità di cogliere l’essenziale, un’ottima preparazione di base e disciplina di esecuzione». Una ricetta che va condita, sempre per Castelli, con la condivisione delle “worse practice”, troppo spesso nascoste all’ombra di quelle best practice verso le quali Castelli si dice critico: «Non sempre quello che funziona in un’azienda può funzionare in un’altra. Si impara molto di più dalle esperienze negative». Un ottimo punto di vista, sul quale i Cio per primi dovrebbero aprirsi di più.


Così come dovrebbero, secondo Enzo Bertolini, Chief information officer di Ferrero, saper collaborare con i propri colleghi delle diverse divisioni e con loro conciliare viste di breve e di lungo termine per poter realizzare quelle infrastrutture che, se al presente richiedono impegno, per il futuro potranno garantire supporto e fluidità di lavoro.

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