La fusione dei processi di business esalta il ruolo dell’It

Fornendo strategie e concetti per il management, Gartner traccia le linee guida per l’azienda che vuole innovarsi. Le nuove opportunità offerte dall’evoluzione tecnologica verranno affrontate in un seminario, che si terrà il 27 maggio a Milano.

Le imprese sono costrette ad accelerare sempre più i processi decisionali per rispondere il più rapidamente possibile agli eventi e alle sollecitazioni del mercato e dell’economia. Questo significa, essenzialmente, essere in grado di percepire il contesto in cui si opera nel suo complesso per prevenire i problemi. La Business process fusion rappresenta la nuova frontiera dell’integrazione, in quanto porta un vantaggio alle imprese in termini di possibilità gestionali.


Al riguardo abbiamo intervistato Massimo Pezzini, vice president e distinguished analyst di Gartner, che il prossimo 27 maggio, in partnership con Linea Edp, terrà il seminario dal titolo “Il business e l’Information technology: la fusione possibile” con l’obiettivo di affrontare i temi che riguardano il management aziendale supportato dalle moderne tecnologie Ict.

La Business process fusion può rendere l’It un moltiplicatore del business?


“La Business process fusion è la trasformazione di attività business ottenuta attraverso l’integrazione di processi precedentemente autonomi. Ha in sé un enorme potenziale di trasformazione e i primi ad adottarlo correranno un rischio, tipico di situazioni nuove, ma i risultati potranno essere estremamente positivi. Di fatto, è un concetto che affonda le sue radici in tecnologie ben note. Ancora una volta, discipline e filoni tecnologici vanno a convergere, dando vita a qualcosa di nuovo. Grazie all’emergere di standard, sempre generati dalla vecchia e cara Internet, queste tecnologie diventano più fruibili e possono entrare nel mercato mainstream, cioè sono alla portata economica anche di quelle aziende che non hanno una vocazione pioneristica ma cercano soluzioni più consolidate”.

Quali sono queste tecnologie e come sono cambiate?


“In un processo d’integrazione le tecnologie coinvolte possono essere praticamente tutte, ma quelle che, per loro natura, rappresentano il fattore abilitante fondamentale della Business process fusion sono il middleware e le tecnologie per l’integrazione delle applicazioni. Non sono nuove, ma sono evolute notevolmente rispetto al periodo della loro introduzione. Solo sette anni fa, per esempio, per automatizzare un processo di provisioning nelle telecomunicazioni, o la gestione sinistri in un’assicurazione o ancora il Supply chain management, bisognava integrare prodotti di più fornitori e sviluppare molto codice in casa, spesso alquanto complesso. Tutto questo comporta costi elevati e la necessità di dotarsi di competenze adeguate a gestire la complessità della soluzione. Oggi i prezzi si sono abbassati notevolmente e poi esistono sul mercato piattaforme di integrazione complete e dotate di molti tool automatici, che dispongono di adapter e connettori per le applicazioni già preconfigurati e facilmente adattabili alle proprie esigenze. In altre parole, spesso in un unico prodotto si trova la maggior parte delle tecnologie che possono consentire la realizzazione della soluzione d’integrazione di cui si ha bisogno. Le piattaforme di programmazione sono evolute analogamente: in passato un’applicazione d’integrazione complessa richiedeva lo sviluppo di componenti di software di base diversi tra loro e molto vari. Non tutte le imprese potevano permetterselo. I tool disponibili oggi forniscono elevati automatismi e una gran quantità di pezzi di codice già pronti. Anche le possibilità di integrazione di tecnologie varie, per esempio, nell’ambito di un contact center, sono molto più accessibili e alla portata di tutte o quasi le imprese, grazie alla disponibilità di prodotti che non richiedono un grosso lavoro di system integration. Si riducono i costi e la necessità di esperienza e competenza, ma, soprattutto, si prospetta un utilizzo diverso delle tecnologie: se prima era un recupero di efficienza, oggi si può realizzare un recupero di efficacia”.

Può citare qualche esempio?


“Un recupero d’efficienza è tipicamente la riduzione dei tempi di attraversamento di un processo. Per esempio, nell’ambito delle Tlc si pensi al processo per l’assegnazione e attivazione di un numero telefonico. Con le tecnologie di integrazione è stato possibile diminuire i tempi, portandoli da due mesi a due giorni. Il recupero dell’efficacia è, per esempio, quello che in Gartner da un po’ di tempo chiamiamo Business activity monitoring, cioè la visualizzazione in tempo reale dello stato delle attività e dei processi, con capacità di correlazione. Questo significa poter anticipare i problemi e non semplicemente disporre, come nel classico data warehouse, di una serie di dati da analizzare a posteriori. Per esempio, attraverso un portale B2B posso accorgermi che la mia azienda sta vendendo quantitativi superiori al previsto di un certo prodotto; parallelamente, mi accorgo che i fornitori di materia prima non stanno rifornendo adeguatamente lo stabilimento. Sono eventi che normalmente sono gestiti in contesti diversi, ma se un sistema automatico li correla e li pone subito all’attenzione del manager, questi può risolvere il problema prima di perdere opportunità di vendita per una produzione rallentata. Il Business activity monitoring è possibile solo se si è in grado di correlare i processi”.

Una capacità che non dipende solo dalla tecnologia. Come sta reagendo l’impresa italiana di fronte a queste opportunità?


“Bisogna saper guardare attentamente al proprio contesto operativo. Vi sono settori in cui applicare l’integrazione dei processi è un fattore competitivo assodato. Per esempio, nelle Tlc mobili, gli operatori sono voraci consumatori di queste tecnologie. Si pensi solo alla ricarica di una carta prepagata: l’utente si aspetta una risposta pressoché istantanea, ma il processo che c’è dietro è enorme e coinvolge diversi processi aziendali interni ed esterni (per esempio, la ricarica attraverso il circuito Bancomat prevede anche un controllo sul conto corrente bancario – ndr). Lo stesso si può dire nel settore finance, dove sussiste una necessità di integrazione dei processi di business e un utilizzo cospicuo di queste tecnologie. Ritengo che in questi ambiti l’Italia sia sostanzialmente allineata al resto d’Europa. Poi, ovviamente, c’è chi è più avanti e chi più indietro, ma in massima parte si tratta di un’attività consolidata già da qualche anno. Nel settore dell’industria, invece, c’è un approccio più conservatore, anche perché, per esempio nel manufatturiero, si presenta anche un problema di tipo culturale presso la piccola impresa. Non mancano, peraltro, esperienze particolari e forse un po’ di nicchia molto interessanti, in cui si tenta un’integrazione verticale lungo la filiera. Ancora una volta, l’ostacolo può essere la piccola impresa”.

Quindi quali tempi si prospettano per una diffusione di massa?


“Se si guarda agli early adopter, che rappresentano il 15% del mercato, la Business process fusion è già una realtà. Nella fascia del mainstream, dove si investe quando si vede un Roi, che rappresenta il 65% del mercato, le tecnologie di integrazione di processi e applicazioni sono già entrate un paio d’anni fa. Ma la penetrazione è buona solo se si considerano le grandi imprese. La grande sfida è rappresentata dalla media impresa, dove siamo agli inizi. Credo ci vorranno da 3 a 5 anni prima di registrare una penetrazione importante. Il problema è, soprattutto, il canale per arrivare a questa fascia di aziende, che, inoltre, hanno carenza di competenze”.

Quali problematiche rimangono ancora aperte?


“Almeno tre. La prima riguarda la pura integrazione: per quanto gli standard ci siano, per esempio a Xml si deve moltissimo, questi facilitano lo scambio, ma i mondi di rappresentazione dei dati restano separati. In altre parole, i modelli semantici sono ancora proprietari e, in pratica, le regole del gioco non sono cambiate rispetto all’Edi: è ancora necessario sedersi attorno a un tavolo e mettersi d’accordo. In secondo luogo, tool e linguaggi comuni, come Xml o Java, semplificano sicuramente i processi di sviluppo, ma questi sono comunque complessi e richiedono competenze elevate. Infine, bisogna sapere cosa farci con la tecnologia. È fondamentale capire quali processi di business sono integrabili e come. Anche se, su questo fronte, c’è qualche nuovo sviluppo. Da parte di alcuni vendor, infatti, emerge un’offerta di processi di business già pacchettizzati. Per esempio, il cosiddetto “order to cash” tipico di ogni azienda manifatturiera oppure il provisioning nelle Tlc. Le problematiche sono molto simili per tutte le imprese e taluni vendor e system integrator hanno preconfigurato processi, evolvendo il concetto di workflow automatico. Di fatto, è un po’ quello che accadde con l’Erp, che è entrato in azienda a sostituire le applicazioni di contabilità fatte in casa. Alla fine, per molti processi le differenze da azienda ad azienda non sono notevoli e spesso possono essere soddisfatte con dei parametri personalizzabili”.

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