La crisi mette a rischio la tenuta della filiera moda

Le aziende più piccole, segnala uno studio della Fondazione Ambrosetti, patiscono sempre di più la concorrenza dei Paesi emergenti

Il sistema moda rappresenta uno dei comparti economici più importanti per il nostro Paese, ma necessita di un riposizionamento strategico per resistere alle sfide della competizione globale. È quanto evidenzia lo studio “M2 – Meridiano Moda”, elaborato dalla Fondazione European House Ambrosetti e da Unioncamere: la ricerca conferma come l’Italia mantenga una posizione di assoluta leadership in questo campo. Nel 2008 il valore aggiunto del Sistema Moda nazionale è stato infatti di 27,4 miliardi di euro, pari all’11% del totale dell’industria manifatturiera italiana. Nel complesso, l’incidenza del settore appare nettamente superiore a quella di realtà europee come Spagna (4,9%), Francia (3,6%), Regno Unito (2,9%) e Germania (1,7%). Il contributo del comparto abbigliamento è fondamentale anche per l’avanzo commerciale che garantisce al Paese: nell’ultimo anno, infatti, la bilancia commerciale ha fatto registrare 16,5 miliardi di euro di attivo.

Un sistema insidiato dai Paesi emergenti
Nonostante gli indubbi punti di forza del settore, la recente crisi economico-finanziaria globale sta mettendo a rischio la tenuta della filiera tessile-moda. Un problema non da poco, se si tiene conto che l’innovazione dell’intero sistema moda italiano è garantita non solo dalle grandi aziende di moda, ma soprattutto dalla sua filiera tessile, capace di fornire spunti, idee e di costruire soluzioni pratiche per soddisfare i desideri dei clienti e dei consumatori, invogliandoli a rinnovare il proprio guardaroba. Ma la continua pressione dei produttori a basso costo e la nascita e sviluppo di modelli di business innovativi mettono in discussione questo storico modello di successo. Anche il consumatore, d’altronde, sta cambiando pelle: il cliente finale è sempre meno disponibile a pagare le inefficienze di un sistema sotto certi aspetti “obsoleto” e che talvolta non riesce ad andare incontro alle sue esigenze (ovvero prodotti belli, piacevoli, funzionali ed economicamente accessibili). Lo studio della Fondazione Ambrosetti evidenzia infatti che almeno il 20% del prezzo finale di un prodotto di abbigliamento è attribuibile al costo delle inefficienze di filiera.

L’indagine sulla filiera
L’esperienza degli altri Paesi europei (Regno Unito, Francia e Spagna), insegna però che l’eventuale impoverimento (o, addirittura, la perdita) dei vari elementi della filiera può arrecare gravi danni all’intero sistema moda nazionale in termini di competitività e di risultati economici.
La ricerca Meridiano Moda ha perciò cercato di fare il punto sullo stato di salute della filiera moda, grazie a una dettagliata analisi su una serie di indicatori finanziari relativi a un campione di oltre 2.700 imprese del settore – tra cui redditività, patrimonializzazione, indebitamento, capacità di generazione del valore e livello degli investimenti. Dall’indagine, in primo luogo, emerge una situazione di maggiore criticità nelle fasi a monte delle filiere, in particolare nei comparti della concia e del tessile (al cui interno la filatura sembra essere il sotto-settore in maggiore difficoltà). Si tratta, in entrambi i casi, di un asset strategico del settore moda italiano che tuttavia sta scontando sempre più duramente un progressivo calo dei volumi dovuto (al di là della difficile congiuntura economica attuale) a un progressivo spostamento di produzione delle fasi a monte in altre aree del Mondo (come i Paesi asiatici).

Tessile e concia in difficoltà
Più in generale, i settori “a monte” della filiera italiani presentano infatti notevoli difficoltà competitive su scala globale, a causa dell’elevata zavorra di investimenti fissi necessari per alimentare l’attuale modello di business, dei differenti parametri di costo del lavoro, delle normative di sicurezza. A fronte della sofferenza dei comparti del tessile e della concia delle pelli, il settore dell’abbigliamento costituisce il perno portante dell’intero sistema, seppur anch’esso presenti diversi punti di debolezza, come il livello di indebitamento e un elevato fabbisogno di capitale circolante. I settori della pelletteria e delle calzature sono invece più sani e solidi all’interno delle industrie del sistema moda. Secondo lo studio, la differenza di performance tra le aziende appare ancor più evidente a seconda delle diverse classi dimensionali: se si considerano insieme redditività delle imprese, livello di indebitamento e patrimonializzazione e loro dimensione, i dati mostrano prestazioni molto più scarse per le imprese più piccole, che sono mediamente meno redditizie, più indebitate e meno patrimonializzate di quelle di maggiore dimensione.

La formula Fast fashion
I suggerimenti della Fondazione Ambrosetti per garantire la tenuta a lungo termine della filiera della moda italiana sono numerosi e articolati: tra questi la promozione di strumenti ad hoc per favorire processi di consolidamento dimensionale e di aggregazione tra imprese, nonché l’incentivazione della diffusione dei patti di filiera, dei contratti di rete o di altri strumenti simili che facilitino i rapporti tra i diversi attori del settore in chiave collaborativa. Dal punto di vista del modello di business, l’idea è quella di ispirarsi al fenomeno Zara, ovvero «Migliorare l’efficienza complessiva attraverso l’implementazione di modelli di gestione innovativi ispirati alle logiche e alle pratiche “Pull” di gestione della filiera creativa, produttiva e distributiva come nel caso della moda veloce o Fast Fashion». Secondo lo studio questa formula consentirebbe un miglioramento sensibile dell’efficienza e della velocità (maggiore vicinanza al mercato finale evitando di partire troppo presto con gli sviluppi) a tutti i livelli, con un conseguente impatto sui margini complessivi e sui prezzi finali di vendita dei prodotti.

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