La Corte Europea assegna ai siti la responsabilità sui commenti pubblicati dai lettori

Divisi giuristi ed esperti. Quanto stabilito a Strasburgo supera anche i principi della Corte di Cassazione italiana, secondo cui nemmeno il direttore responsabile di un periodico online può essere chiamato a rispondere dei commenti pubblicati da parte dei lettori.

Sta destando grande scalpore, in queste ore, il parere della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo in merito alla responsabilità
dell’editore, del webmaster o comunque del gestore di un sito web sul
contenuto dei commenti pubblicati dai lettori
. È un tema spinoso che anche in Italia è stato più volte oggetto di pericolose storpiature.
La Corte di Cassazione italiana ha infatti stabilito che nemmeno
il direttore responsabile di un periodico online può essere chiamato a
rispondere dei commenti pubblicati da parte dei lettori
.
Inoltre, il gestore di un sito web e la piattaforma per la
pubblicazione di contenuti che egli mette a disposizione possono essere
equiparati ad un “intermediario della comunicazione“, una figura definita e riconosciuta anche nelle normative europee.

La Corte Europea dei Diritti dell’Uomo ha invece ritenuto fondato quanto affermato da una Corte
Nazionale estone che aveva a sua volta sanzionato un sito
d’informazione per non aver censurato i commenti offensivi anonimi
postati dai lettori
(qui è possibile consultare la documentazione ufficiale).

Premesso
che non si tratta comunque di una sentenza definitiva (la parte
soccombente ha tutto il diritto di presentare appello ed il caso verrà
automaticamente ridiscusso da un collegio composto da cinque giudici), secondo Fulvio Sarzana – uno dei massimi esperti italiani di tematiche legate ai diritti fondamentali e rete Internet -, non sarebbe stato assolutamente stabilito un principio generale di responsabilità dei gestori dei siti web (o degli “intermediari della comunicazione”).

È insomma opportuno vigilare: “la
questione dell’anonimato, seppur declinata in un caso concreto, avrebbe
dovuto essere trattata molto meglio dalla Corte di Strasburgo per
evitare pericolose (e probabilmente involontarie) interpretazioni
“, scrive Sarzana. Purtuttavia, sempre secondo Sarzana non bisognerebbe cadere “nell’equivoco
di ritenere che sia stato deciso nell’Unione Europea che i commenti
anonimi comportino la responsabilità del titolare del sito e che questo
sia conforme ai principi della carta fondamentale dell’Unione
“.

La
Corte Europea dei Diritti dell’Uomo ha semplicemente ratificato una
decisione di una Corte nazionale (estone, in questo caso) osservando che
i diritti alla reputazione di un soggetto devono essere bilanciati con i diritti alla libera espressione senza però entrare nel merito della diffamatorietà o meno dei commenti.

Più preoccupata l’analisi di Guido Scorza,
uno dei più autorevoli esperti di diritto informatico e di tematiche
connesse alla libertà di espressione ed alle politiche di innovazione: “è
indubbiamente, una pagina buia nella storia dei diritti dell’uomo
perché, ancora una volta – e questa volta addirittura davanti ai Giudici
di Strasburgo – è passato il principio secondo il quale il fine
giustificherebbe i mezzi ovvero chiamare a rispondere l’editore sarebbe
giustificato, nella sostanza, dalla difficoltà di attribuire
qualsivoglia responsabilità agli utenti
“.

La Corte europea ha anche “bacchettato” l’editore del sito web per aver scelto di accettare commenti in forma anonima. Che la rete Internet sia sinonimo di anonimato è un falso mito:
la rete Internet, di per sé, non offre alcun livello di anonimato.
Contrariamente a ciò che in molti ancor’oggi pensano, le operazioni
effettuate online da parte di un utente possono essere facilmente
ricostruite. Tutte le azioni compiute in Rete lasciano tracce in molti
punti: i provider Internet sono obbligati a conservare i log degli
accessi per un periodo non inferiore a dodici mesi (almeno in Italia),
i server web che ospitano i siti visitati tengono anch’essi traccia dei
client via a via connessi, per non parlare di ciò che accade tra
l’origine e la destinazione dei pacchetti dati.
Chi pubblica un
commento su un sito web, seppur apparentemente “anonimo”, lascia delle
tracce nei file di log. Escluse alcune situazioni limite in cui
l’utente, estremamente smaliziato, può fare in modo di non lasciare
informazioni (o ridurle al minimo) circa la sua identità, è solitamente
semplice risalire al nome e cognome di chi, ad esempio, ha diffamato o
comunque ha gettato fango sull’altrui onorabilità.
La Polizia postale
e delle comunicazioni dispone di tutti gli strumenti per risalire a chi
ha commesso un reato online: c’è bisogno di una denuncia, è ovvio, ma
questo accade anche fuori dal “mondo virtuale”.
Se una persona diffama nel “mondo reale” forse non si cerca di stabilirne l’identità facendo intervenire le forze dell’ordine? È esattamente la stessa cosa che deve accadere in Rete.
Se
qualcuno offende pesantemente una persona in un bar, certo non si mette
ai ceppi il proprietario dell’esercizio ma si cerca di stabilire, con
l’intervento delle forze dell’ordine, l’identità di chi ha commesso il
reato.

Il gestore di un sito web può svolgere una normale
attività di monitoraggio dei contenuti ma può succedere che qualche
messaggio possa sfuggire. Il controllo effettuato dall’editore
dovrebbe essere considerato non come un obbligo ma come una “buona
norma” posto che nel caso in cui, nelle maglie del sito, dovessero
essere rinvenuti commenti diffamatori o comunque oltraggiosi per la
dignità altrui a risponderne sarà solo ed esclusivamente l’autore
.

Sarebbe importante lavorare anche su una sorta di “rivoluzione culturale“:
chi scrive messaggi online dev’essere consapevole che i suoi interventi
hanno lo stesso valore legale dei commenti rilasciati pubblicamente
nella vita reale. La Rete, insomma, non è una “realtà parallela”
e lo stesso codice di comportamento da seguire è quello che dovrebbe
essere sempre applicato nella vita reale
.

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