La cattiva stampa del Roi 2.0

La scarsa cultura del cambiamento e i budget in gioco nel sociale creano resistenze enormi alla corretta valutazione dei vantaggi. Ma avete mai provato a determinare il Roi dell’e-mail?

Si è chiusa poco tempo fa la Enterprise 2.0 Conference di Boston, Massachusetts. L’evento si occupava delle principali strategie di adozione del nuovo paradigma, ed andava anche oltre, presentando le nuove idee degli Elevators Pitches , disponibili online.
In questo terzo (e per ora ultimo) articolo sul Roi dell’Enterprise 2.0, mi sono di aiuto due dei punti visti alla conference, le metriche e… la rivoluzione. In qualche modo mi sembrano lo yin e lo yang del momento: l’approccio sociale è una rivoluzione, e quindi non ha senso parlare di Roi, oppure è un’evoluzione, quindi anche le vecchie metriche possono evolvere?

L’inganno degli Anti-pattern
Gartner ricorda che il 75% del budget IT riguarda la licenza e manutenzione di software preso in licenza. La teoria del drastico cambiamento si scontra quindi con la realtà del controllo economico.
Questo problema è sempre stato noto, come esplicitamente sottolineato nel lungo articolo Enterprise 2.0 promise is years off… if it materializes postato qualche mese fa su Irregular Enterprise. Tra l’altro il suo autore, Dennis Howlett, sostiene che non esiste rimedio “sociale” per una cattiva gestione: “se un’attività è mal posizionata, non esiste quantità di blogging che possa migliorarne la situazione”.
E’ questa un’affermazione valida in generale per qualsiasi tipo di attività di rete sociale, che propone soluzioni sulla carta efficaci ed economiche ma che in una implementazione reale fallirebbero miseramente. Si tratta del concetto di “antipattern” come sviluppatosi nell’ingegneria del software, spesso usato proprio in ambito di metriche 2.0. La stessa IBM manda di tanto in tanto suoi rappresentanti a descrivere questo punto di vista con una relazione dal titolo accattivante: “Enterprise Web 2.0 Anti-Patterns, ROI and Metrics” , che nella citata conferenza sull’Atlantico è stata tenuta da Jennifer Okimoto, e da altri prima di lei.

E’ presto per un TCO 2.0
La discussione sul Roi è forte e frequente, e spesso stigmatizzata da chi ritiene che non ci siano abbastanza casi di successo per affrontare questo cambiamento con una certa robustezza nei conti. Ma attenzione! Da qualche parte, nelle varie conferenze, inizia salire d’importanza un altro pensiero: il TCO del paradigma sociale. E sotto sotto si fa il confronto con la lezione data dall’open source, che mantiene le sue promesse soprattutto a chi si organizza per meritarsele e paga per esercitare i suoi diritti. In attesa che la teoria del Tco 2.0 si compatti, torniamo al nostro Roi 2.0.

L’alternativa dinamica
Dopo aver introdotto dubbi citando antipattern e Tco, torniamo ad una valutazione esplicita dei rischi di una formulazione di Roi 2.0. Il senso del discorso di Irregular è che l’intero E2 non si basa su una qualsiasi definizione di Roi, bensì sulla “disruption”, che potremmo tradurre come discontinuità con quel passato che pone il controllo nella strutturazione di organigrammi e dati. Personalmente concordo con questa descrizione e ritengo il vero senso del paradigma sociale assolutamente rivoluzionario. Personalmente temo che gli effetti della rivoluzione non siano stati ancora attentamente ponderati.
Per restare agli effetti aziendali penso che il paradigma sociale comprima gli organigrammi su due livelli, capi e collaboratori. Le aziende risultanti saranno valutate in maniera multidimensionale, probabilistica e soprattutto dinamica, più che con lo statico e multidimensionale Roi.
Va tutto bene se si fondano aziende nuove e direttamente 2.0, ma se si cerca di trasformare un’attività preesistente (e priva della cultura del cambiamento) ci si trova impelagati tra due fazioni, nella guerra di budget tra chi sta al di qua e al di là dell’indirizzo IP di Internet.

E’ possibile la coesistenza?
Le aziende che necessitano d’un cambiamento hanno però diritto a trovare una via che annulli o riduca la conflittualità tra mondi diversi. Un’accattivante maniera di far convivere vecchio e nuovo, gerarchico e sociale, è descritta da Socialtext, azienda che ha definito la case history di TransUnion alla quale ho dedicato un precedente articolo. L’azienda ha messo online Five Best Practices for Enterprise collaboration Success , un white paper che consiglio vivamente per collegare con parole semplici le conversazioni, la collaborazione, i dati non strutturati e l’adozione di nuove soluzioni con il pregresso che non si può trascurare, ovvero la posta elettronica, il mobile e l’accesso off-line. A proposito, qualcuno è in grado di definire il Roi dell’e-mail? Probabilmente no, anche se è evidente che il guadagno c’è ed è enorme. Ma la posta elettronica, anche se con alcune ritrosie, fu assorbita molto più morbidamente del paradigma sociale.

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