IRES, consorzi, associazioni temporanee, GEIE e trust

Un elenco dettagliato delle entità riconosciute dalla normativa ma anche delle modalità da seguire per definire il reddito soggetto a imposta, i contributi da versare e le eventuali agevolazioni.

CONSORZI TRA IMPRESE

COMMERCIALITÀ
I consorzi sono costituiti da più società o imprenditori al fine di disciplinare o svolgere in comune talune fasi dell’attività produttiva delle imprese consorziate (artt. 2602-2620 c.c.). Inoltre sono denominati consorzi anche alcune forme di associazione tra enti pubblici o tra enti pubblici e soggetti privati per lo svolgimento di attività di interesse pubblico.
Commercialità – I consorzi possono essere enti commerciali o non commerciali, a seconda che esercitino o meno un’attività commerciale in via principale. In linea generale, non costituiscono enti commerciali i consorzi che si limitano a disciplinare l’attività delle imprese consorziate, mentre sono commerciali i consorzi che svolgono un’attività commerciale, indipendentemente dalla circostanza (rilevante ai soli fini civilistici) che tale attività sia solo interna (cioè nei soli confronti delle imprese consorziate) o anche esterna (cioè anche verso i terzi).
Casistica
Sono stati ritenuti commerciali:
• un consorzio fra imprese di costruzione per l’esecuzione di opere pubbliche (ris. 19.12.1976, n. 9/1450);
• i consorzi di sviluppo industriale nel Mezzogiorno (ris. 4.11.1978, n. 11/1440; ris. 24.3.1980, n. 9/463) e del turismo nel Mezzogiorno (ris. 21.11.1986, n. 11/552);
• i consorzi di difesa delle produzioni intensive (ris. 4.11.1978, n. 11/2098);
• i consorzi per la fornitura di acqua ai comuni (ris. 7.4.1975, n. 11/057; ris. 1.4.1980, n. 11/242);
• i consorzi di mutuo soccorso per i danni da sinistri subiti dai consorziati (ris. 4.8.1981, n. 11/935);
• i consorzi autonomi portuali (ris. 18.3.1986, n. 11/177);
• i consorzi di bonifica, di irrigazione e di miglioramento fondiario, anche di secondo grado (art. 1, c. 1-bis, D.L. n. 125/89; ris. 24.4.1976, n. 10/631).
Sono stati ritenuti non commerciali:
• un consorzio fra imprese di autotrasportatori di merci per conto terzi, posto che l’attività commerciale era marginale (ris. 21.10.1975, n. 9/50070);
• il consorzio del prosciutto di Parma (ris. 27.4.1976, n. 10/537)
• un consorzio per lo sviluppo ortofrutticolo (ris. 3.8.1984, n. 11/621)
Società consortili – Nel caso in cui il consorzio assume la forma di una società di persone o di capitali (art. 2615-ter c.c.), ai fini delle imposte sui redditi si applica il regime tributario proprio della forma societaria adottata.
Artt. 73 e 74 tuir

DETERMINAZIONE DEL REDDITO
Le regole generali di determinazione del reddito per i consorzi privati e pubblici diversi da quelli fra enti locali (posto che i consorzi tra enti locali non sono soggetti all’IRES) o misti sono quelle comuni previste, secondo i casi, per gli enti commerciali, per gli enti non commerciali e per gli enti non residenti, con le seguenti particolarità.
Attività per conto delle imprese consorziate – Le somme percepite e gli oneri sostenuti dal consorzio per l’attività svolta nei confronti dei terzi, ma per conto delle imprese consorziate non sono imputabili al consorzio, ma ai consorziati stessi; il consorzio, infatti, resta estraneo al risultato economico di tale attività che si produce direttamente in capo alle imprese consorziate (ris. 30.5.1986, n. 9/888). In caso di esercizio di attività per conto delle consorziate, pertanto,
i costi sostenuti dal consorzio sono unicamente quelli derivanti dall’attività di rappresentanza ed i ricavi derivano unicamente dai contributi.

Credito per imposte estere
Nel caso di esecuzione di lavori all’estero per conto delle imprese consorziate, il credito d’imposta per le imposte estere relative ai redditi derivanti dall’esecuzione delle opere spetta pro-quota direttamente alle imprese consorziate (ris. 3.10.2008, n. 368).

Nel caso in cui, invece, il consorzio assuma in proprio l’attività, i proventi e gli oneri sono quelli ordinariamente conseguenti all’esercizio di tale attività.
Contributi – I contributi per la costituzione del consorzio che affluiscono al fondo consortile non hanno rilevanza reddituale per il consorzio (ris. 14.3.1979, n. 9/492; per i consorziati tali contributi sono assimilati ai conferimenti e, quindi, alle partecipazioni).
I contributi periodici per il funzionamento del consorzio:
• se versati ad un consorzio non commerciale non concorrono a formarne il reddito imponibile (art. 148, c. 1, tuir);
• se versati ad un consorzio commerciale costituiscono ricavi (art. 85, c. 1, lett. g, tuir; per i consorziati tali contributi possono essere assimilati a costi d’esercizio); costituiscono ricavi anche i contributi spettanti esclusivamente in conto esercizio a norma di legge;
I contributi o somme versati dai consorziati a fronte di prestazioni di servizi specifici a loro favore danno luogo a ricavi; peraltro, se i consorzi sono enti non commerciali, non si considerano attività commerciali le prestazioni di servizi non rientranti nell’art. 2195 c.c. rese in conformità alle finalità istituzionali dell’ente senza specifica organizzazione e verso pagamento di corrispettivi che non eccedono i costi di diretta imputazione.
Agevolazioni – Sono previste le seguenti agevolazioni ai fini delle imposte sul reddito, distinte per settore di attività:
• la disciplina degli imprenditori agricoli si applica anche ai consorzi costituiti fra imprenditori agricoli quando svolgano attività agricole di cui all’art. 2135 c.c. e a condizione che utilizzino prevalentemente prodotti dei soci, ovvero forniscano beni e servizi prevalentemente ai soci (art. 1, c. 2, D.Lgs. n. 228/2001);
• i consorzi tra cooperative sono soggetti alla disciplina delle cooperative;
• i consorzi costituiti, anche in forma cooperativa, tra cinque o più piccole e medie imprese usufruiscono dell’esenzione dall’imposizione sul reddito degli utili, a condizione che tali utili non siano distribuiti e siano accantonati in un apposito fondo del passivo e siano reinvestiti, entro il secondo esercizio successivo a quello in cui sono stati conseguiti, per la realizzazione di investimenti fissi o iniziative rientranti nell’oggetto del consorzio (art. 7, L. n. 240/1981); la stessa disciplina si applica ai consorzi artigiani costituiti ai sensi della L. n. 860/1956 (art. 1, c. 2, L. n. 240/1981);
• i consorzi costituiti per l’esportazione dei prodotti e per l’attività promozionale al commercio con l’estero costituiti da piccole e medie imprese o da imprese artigiane, in numero non inferiore ad otto, che prevedono il divieto statutario di distribuire avanzi di esercizio di ogni genere e sotto qualsiasi forma alle imprese consorziate o socie, anche in caso di scioglimento, beneficiano dell’esenzione da imposizione sul reddito degli avanzi di esercizio destinati a fondi di riserva indivisibili (art. 3, c. 1, L. n. 83/1989);
• i consorzi che esercitano esclusivamente l’attività di garanzia collettiva dei fidi di primo e secondo grado (confidi) beneficiano di particolari disposizioni (art. 13, D.L. n. 269/2003 e circ. 21.6.2004, n. 28). Il reddito d’impresa per tali enti commerciali è determinato non apportando le ordinarie variazioni in aumento al risultato economico dell’esercizio; tra le variazioni in aumento irrilevanti ai fini della determinazione del reddito non si intendono comprese quelle derivanti dalla indeducibilità dell’IRAP e dell’ICI (ris. 15.12.2004, n. 151).
Gli avanzi di gestione accantonati in apposita riserva sono tassati solo se utilizzati per fini diversi dalla copertura delle perdite d’esercizio o dell’incremento del fondo consortile; le somme versate dai confidi ai fondi di garanzia sono deducibili dal reddito (e non concorrono alla formazione del reddito di tali fondi di garanzia). I contributi ai confidi (così come gli oneri per la sottoscrizione di quote di partecipazione) costituiscono per i partecipanti oneri contributivi deducibili in quanto dovuti in base a formale deliberazione di questi ultimi.

Cofidi: perdita del regime agevolativo e riserva in sospensione
Nel caso in cui un consorzio di garanzia collettiva fidi perda il regime agevolato (a seguito dell’estensione al pubblico dell’attività di garanzia), la riserva in sospensione d’imposta (formata con gli avanzi di gestione accantonati) concorre a formare il reddito (non già all’atto della perdita del regime agevolato, bensì) nell’esercizio di utilizzazione, che si verifica non solo in caso di distribuzione, ma anche in caso di copertura perdite, di aumento del fondo consortile o di incremento del capitale sociale (ris. 25.2.2008, n. 62).
Artt. 85 e 148 tuir; ris. 30.5.1986, n. 9/888

ASSOCIAZIONI TEMPORANEE DI IMPRESE
E JOINT-VENTURE

ASSOCIAZIONI TEMPORANEE DI IMPRESE
Le associazioni temporanee di imprese sono forme di collaborazione tra imprese per la conclusione di singoli affari in taluni ambiti previsti da leggi speciali (quali l’appalto di opere pubbliche – L. n. 584/1977 -, le forniture alle pubbliche amministrazioni – L. n. 113/1981 -, la ricerca di idrocarburi – L. n. 613/1967).
In particolare, le leggi speciali prevedono il conferimento ad una società capogruppo di un mandato speciale collettivo per la presentazione di un’offerta unitaria al fine dell’aggiudicazione dell’appalto pubblico e per la rappresentanza nei rapporti esterni. Per il trattamento ai fini delle imposte sul reddito occorre distinguere tra:
• associazioni che sono soggetti passivi ai fini delle imposte sul reddito, caso che si verifica quando oggetto dell’appalto è un’opera o una fornitura indivisibile, cioè non suscettibile di frazionamento in parti autonome, costruite o fornite da ciascuna delle imprese associate; in tal caso, ad avviso dell’Amministrazione finanziaria è configurabile una società di fatto (ris. 30.3.1979, n. 9/571; ris. 13.8.1982, n. 9/2147; ris. 17.11.1983, n. 9/782), con l’effetto che i costi ed i ricavi relativi all’esecuzione delle opere aggiudicate in appalto sono imputabili al soggetto passivo distinto;
• associazioni che non sono soggetti passivi ai fini delle imposte sul reddito, caso che si verifica quando l’opera o la fornitura è divisibile ed è eseguita autonomamente da ciascuna delle imprese associate; in tal caso, a ciascuna delle imprese è imputato il reddito (nonché i ricavi e i costi) per la frazione di pertinenza (ris. 17.11.1983, n. 9/782).
Ris. 30.3.979, n. 9/571; ris. 13.8.1982, n. 9/2147; ris. 17.11.1983, n. 9/782

JOINT-VENTURES
La joint-venture è una forma di associazione temporanea tra imprese (che generalmente opera in ambito internazionale) per lo svolgimento di una specifica attività o affare o per il perseguimento un interesse comune, generalmente limitati nel tempo.
Si distingue tra:
• corporate joint-venture, che si manifesta attraverso la costituzione di una nuova società, distinta rispetto alle società partecipanti; in tal caso, la disciplina fiscale applicabile è quella relativa alla forma societaria adottata. In particolare, se la società è costituita all’estero si applicano le disposizioni in merito alla tassazione degli utili di fonte estera in capo ai partecipanti tassati in Italia, nonché le altre disposizioni rilevanti per la partecipazione in società estere (transfer pricing, C.F.C. ecc.);
• contractual joint-venture, che si manifesta attraverso un accordo stipulato tra le imprese partecipanti, che non comporta la costituzione di una nuova società, ma l’assunzione di reciproci impegni contrattuali. Non esistendo una specifica regolamentazione del fenomeno della contractual joint-venture, si può ritenere, analogamente a quanto previsto per le associazioni tra imprese, che se le imprese riunite costituiscono un’organizzazione comune per l’esecuzione unitaria di una determinata attività o di un affare distinta dai soggetti partecipanti la joint-venture è considerata una società di fatto e quindi un soggetto passivo d’imposta distinto dai partecipanti; se, invece, il contratto prevede una forma di collaborazione tale da non dar vita ad un autonomo soggetto fiscale, l’imposizione del reddito deve avvenire in capo alle società partecipanti.
Se un’impresa italiana partecipa a una contractual joint-venture internazionale, il reddito prodotto da quest’ultima può essere configurato quale reddito di una stabile organizzazione estera del soggetto residente qualora ne ricorrano i presupposti. Ove la contractual joint-venture internazionale non assuma i caratteri della stabile organizzazione, ad avviso dell’Amministrazione finanziaria possono comunque rinvenirsi i caratteri di una società di fatto residente all’estero (ris. 6.9.1980, n. 9/2357), con l’effetto che: a) la joint-venture è soggetta a imposizione nello Stato “dove ha sede”; b) il reddito prodotto può essere tassato in capo ai partecipanti soltanto se distribuito e costituisce per essi reddito d’impresa con possibilità di beneficiare del credito per le imposte pagate all’estero.
Ris. 6.9.1980, n. 9/2357

GEIE

GRUPPO EUROPEO DI INTERESSE ECONOMICO (GEIE)
Il gruppo europeo d’interesse economico (GEIE) è riconosciuto dalla legislazione dell’Unione europea (Reg. CEE n. 2137/1985) e nazionale (D.Lgs. n. 240/1991) al fine di favorire la cooperazione tra operatori economici residenti nell’Unione (società, enti, imprenditori, liberi professionisti) per la realizzazione di attività di reciproco interesse (quali l’acquisto, la produzione e la vendita in collaborazione di beni; la prestazione di servizi specializzati; la verifica della
qualità dei materiali; il trattamento elettronico di dati; la partecipazione ad appalti pubblici o privati).
Il GEIE residente o non residente con stabile organizzazione in Italia non è soggetto ad alcuna imposta sul reddito (art. 11, c. 1, D.Lgs. n. 240/1991). Tuttavia, il GEIE deve presentare la dichiarazione dei redditi al fine della determinazione del reddito imponibile spettante a ciascun partecipante.
Indipendentemente dalla natura dell’attività svolta, il GEIE deve tenere i libri e le altre scritture contabili prescritte per gli imprenditori commerciali e depositare il bilancio entro quattro mesi dalla chiusura dell’esercizio (art. 7, D.Lgs. n. 240/1991).
Il reddito prodotto dal GEIE (o la perdita) è imputabile a ciascun partecipante nello stesso periodo in cui è prodotto e indipendentemente dalla effettiva percezione nella proporzione stabilita nel contratto ovvero, in assenza di previsione, in parti uguali. In particolare, il reddito imputato ai membri può essere reddito d’impresa o di lavoro autonomo, a seconda che l’attività esercitata dal gruppo sia d’impresa o professionale. Nella stessa misura di cui sopra è imputabile
il valore della produzione netta ai fini IRAP, determinato sulla base delle disposizioni previste per le imprese industriali e considerando tale produzione avvenuta nella regione in cui ha sede ai fini delle imposte sui redditi (anche con riferimento ai partecipanti non residenti).
Il GEIE è sostituto d’imposta, pertanto è obbligato ad effettuare le ritenute alla fonte, nonché a presentare la dichiarazione dei sostituti d’imposta.
Il GEIE è anche soggetto passivo dell’IVA e gli atti ad esso relativi beneficiano (tranne in particolari casi) dell’applicazione dell’imposta di registro in misura fissa.
I partecipanti residenti di un GEIE che ha sede all’estero ed è privo di stabile organizzazione nel territorio dello Stato italiano, sono soggetti all’IRPEF o all’IRES per la parte di reddito loro imputata (art. 11, c. 6, D.Lgs. n. 240/1991).
D.Lgs. n. 240/1991

TRUST

RESIDENZA
In linea generale per il trust valgono i criteri di residenza propri dei soggetti IRES, pertanto il trust si considera residente in Italia quando ha in Italia la sede dell’amministrazione o l’oggetto principale dell’attività.
La sede dell’amministrazione è quella dell’organizzazione (dipendenti, locali ecc.) per i trust che si avvalgono di un’apposita struttura amministrativa; altrimenti coincide con il domicilio fiscale del trustee.
L’oggetto principale deve essere localizzato in base alla natura dell’attività. Se oggetto del trust (beni vincolati nel trust) è un patrimonio immobiliare situato interamente in Italia, l’oggetto principale si considera in Italia; se i beni immobili sono situati in Stati diversi, occorre fare riferimento al criterio della prevalenza. Nel caso di patrimoni mobiliari o misti l’oggetto deve essere identificato con l’effettiva e concreta attività esercitata.
Trust esterovestiti – Oltre alle regole ordinarie per i trust valgono particolari presunzioni di residenza in Italia. Le presunzioni riguardano i trust istituiti in paesi diversi da quelli inclusi nella white list (di cui all’art. 168 bis, tuir) degli Stati o territori che consentono un adeguato scambio di informazioni.

Disciplina transitoria
Fino al periodo d’imposta in corso alla data di pubblicazione del decreto contenente la predetta white list, continua ad applicarsi la disciplina vigente al 31.12.2007 (art. 1, c. 88, L. n. 244/2007), che rinvia alla white list del D.M. 4.9.1996 relativa all’esenzione degli interessi delle obbligazioni.

I predetti trust si considerano residenti nel territorio dello Stato, salva prova contraria, quando ricorre anche solo uno dei seguenti presupposti:
• almeno uno dei disponenti e almeno uno dei beneficiari del trust sono fiscalmente residenti in Italia;

Momento in cui rileva la residenza
Per il disponente rileva la residenza nel periodo d’imposta in cui questi ha effettuato l’atto di disposizione a favore del trust; eventuali cambiamenti di residenza in periodi d’imposta diversi sono irrilevanti.Invece, la residenza fiscale del beneficiario attrae in Italia la residenza del trust anche se si verifica in un periodo d’imposta successivo a quello in cui il disponente ha posto in essere il suo atto di disposizione a favore del trust ed indipendentemente dal fatto che nel periodo d’imposta vi sia erogazione del reddito a favore del beneficiario.

• successivamente alla costituzione del trust un soggetto residente in Italia effettua in favore del trust un’attribuzione che importi il trasferimento di proprietà di beni immobili o la costituzione o il trasferimento di diritti reali immobiliari, anche per quote, nonché vincoli di destinazione sugli stessi.
La presunzione si applica anche agli istituti aventi analogo contenuto a quello di un trust, cioè ad enti disciplinati da ordinamenti stranieri con un nome diverso, ma con elementi essenziali simili a quelli propri del trust.
Disposizioni relative alle società esterovestite – Ove compatibili, le disposizioni in materia di società esterovestite, si applicano anche ai trust ed in particolare a quelli istituiti o comunque residenti in paesi c.d. white list, per i quali non trova applicazione la presunzione di residenza specifica.
Art. 73 tuir; circ. 6.8.2007, n. 48

TRASPARENZA
I trust possono essere enti commerciali o non commerciali a seconda dell’attività esercitata. In via generale la tassazione dei redditi segue le regole ordinarie per ciò che concerne l’applicazione delle ritenute, la determinazione dei redditi, la tenuta delle scritture contabili e gli altri adempimenti.

Adempimenti del trust
Quale soggetto passivo d’imposta, sia esso trasparente o opaco, il trust è tenuto ad adempiere gli specifici obblighi previsti per gli enti commerciali o non commerciali, a seconda della qualifica assunta, e a presentare annualmente la dichiarazione dei redditi. Tutti gli adempimenti tributari del trust sono assolti dal trustee.

Tuttavia i redditi, determinati in capo al trust, sono tassati direttamente in capo ai beneficiari ove questi ultimi risultino individuati. In particolare, ai fini della tassazione dei redditi prodotti, si distinguono due tipologie di trust:
• trust con beneficiari di reddito individuati, i cui redditi vengono imputati per trasparenza ai beneficiari (trust trasparenti);
• trust senza beneficiari di reddito individuati, i cui redditi vengono direttamente attribuiti al trust medesimo (trust opachi).
Beneficiario – Per beneficiario individuato è da intendersi il beneficiario di reddito individuato, vale a dire il soggetto che esprime, rispetto a quel reddito, una capacità contributiva attuale.
È necessario, quindi, che il beneficiario non solo sia puntualmente individuato, ma che risulti titolare del diritto di pretendere dal trustee l’assegnazione di quella parte di reddito che gli viene imputata per trasparenza.

Trasparenza parziale
È possibile che un trust sia al contempo opaco e trasparente. Ciò avviene, ad esempio, quando l’atto istitutivo preveda che parte del reddito di un trust sia accantonata a capitale e parte sia invece attribuita ai beneficiari. In questo caso, il reddito accantonato è tassato in capo al trust mentre il reddito attribuito ai beneficiari, qualora ne ricorrano i presupposti, vale a dire quando i beneficiari abbiano diritto di percepire il reddito, è imputato a questi ultimi (circ. 6.8.2007, n. 48; ris. 7.3.2008, n. 81).
Trust non trasparente
Non è trasparente il trust in cui, da un lato al trustee è conferita la facoltà di gestire a propria discrezione la ricchezza prodotta dal trust fund e, dall’altro, ai beneficiari individuati nell’atto istitutivo non è riconosciuto alcun diritto alla percezione delle somme (ris. 5.11.2008, n. 425).
Trust per l’assistenza a disabile
Il trust costituito a favore di un disabile incapace di intendere e di volere, per assicurarne l’assistenza vita natural durante, con la previsione che al raggiungimento dello scopo i beni residui siano attribuiti secondo le disposizioni del settlor (o ai suoi parenti) non ha beneficiari individuati e quindi non è trasparente, poiché il disabile non può qualificarsi come beneficiario
dei beni (ris. 4.10.2007, n. 278).

Imputazione – Nel caso di trust trasparente i redditi conseguiti dal trust sono imputati ai beneficiari, indipendentemente dall’effettiva percezione, in proporzione alla quota individuata nell’atto di costituzione del trust o in altri documenti successivi ovvero, in mancanza, in parti uguali.
Nel caso in cui il periodo d’imposta del trust non coincide con l’anno solare, il reddito è imputato ai beneficiari individuati alla data di chiusura del periodo di gestione del trust stesso.
In capo ai beneficiari i redditi imputati costituiscono redditi di capitale.

Redditi soggetti a ritenuta a titolo d’imposta o ad imposta sostitutiva
Ove abbia scontato una tassazione a titolo d’imposta o di imposta sostitutiva in capo al trust che lo ha realizzato, il reddito non concorre alla formazione della base imponibile, né in capo al trust opaco né, in caso di imputazione per trasparenza, in capo ai beneficiari.
Credito per imposte estere
Il credito d’imposta per le imposte pagate all’estero in via definitiva  spetta al trust nel caso di trust opaco e ai beneficiari nel caso di trust trasparente.
Art. 73, c. 2 tuir; circ. 6.8.2007, n. 48

TRASFERIMENTO DEI BENI
Il trasferimento di beni in un trust sconta un trattamento differenziato che varia in funzione del soggetto che l’effettua (imprenditore o non imprenditore) e della tipologia di bene trasferito.
Beni d’impresa – Qualora il trasferimento riguardi beni relativi all’impresa (beni merce, beni strumentali, beni patrimoniali), questi fuoriescono dalla disponibilità dell’imprenditore in quanto destinati a finalità estranee all’impresa. Ciò comporta per il disponente imprenditore il conseguimento di componenti positivi di reddito da assoggettare a tassazione. In particolare, il trasferimento di beni merce comporta il conseguimento di un ricavo d’esercizio da quantificare sulla base del valore normale. Il trasferimento di beni diversi da quelli che generano ricavi (beni strumentali, beni patrimoniali dell’impresa) genera plusvalenze o minusvalenze rilevanti ai fini della determinazione del reddito d’impresa sulla base del valore normale.
Azienda – Ove il trasferimento in trust abbia ad oggetto un’azienda, si applica l’art. 58, c. 1, tuir, che esclude il realizzo di plusvalenze in caso di trasferimento d’azienda per causa di morte o per atto gratuito; in tal caso l’azienda è assunta ai medesimi valori fiscalmente riconosciuti nei confronti del dante causa. La ratio della norma consente di ritenere che, nel caso di trasferimento dell’azienda in trust, si conservi la neutralità fiscale a condizione che il trustee assuma l’azienda agli stessi valori fiscalmente riconosciuti in capo al disponente. Per quest’ultimo, infatti, anche se imprenditore, non si avranno sopravvenienze attive, in quanto i beni trasferiti in trust non si confondono con il patrimonio dell’imprenditore (trustee) ma costituiscono un patrimonio separato.
Altri beni – Nel caso di beni diversi da quelli relativi all’impresa, il trasferimento al trust, in assenza di corrispettivo, non genera materia imponibile ai fini della imposizione sui redditi, né in capo al disponente non imprenditore né in capo al trust o al trustee.
Partecipazioni – Qualora il trasferimento dei beni in trust abbia ad oggetto titoli partecipativi il trustee acquisisce l’ultimo costo fiscalmente riconosciuto della partecipazione.

Partecipazioni in risparmio amministrato
Il predetto regime di neutralità non vale nel caso in cui i titoli oggetto del trasferimento siano detenuti nell’ambito di un rapporto di risparmio amministrato (art. 6, D.Lgs. n. 461/1997), poiché il trasferimento dei titoli dal conto del settlor a quello del trust è assimilato a una cessione a titolo oneroso (art. 6, c. 6, D.Lgs. n. 461/1997); in tal caso l’intermediario abilitato applica le relative imposte.

Cessione dei beni in trust – Il trattamento fiscale della cessione dei beni durante la vita del trust non presenta particolari problemi operativi, in quanto desumibile dalle ordinarie disposizioni che ai fini delle imposte sui redditi disciplinano detta operazione.
In particolare, quando le cessioni sono poste in essere nell’esercizio dell’impresa, la relativa disciplina fiscale varia in funzione della categoria di appartenenza del bene ceduto. Nel caso di cessioni non effettuate nell’esercizio dell’impresa possono realizzarsi, ricorrendone i presupposti, le varie ipotesi di redditi diversi (art. 67, tuir).
Per la determinazione delle plusvalenze si fa riferimento ai valori fiscalmente riconosciuti in capo al disponente, fermo restando che il trasferimento dei beni dal disponente al trustee non interrompe il decorso del quinquennio rilevante ai fini delle plusvalenze su immobili (art. 67, tuir), mentre nel caso di cessioni di beni acquistati dal trust si fa riferimento al prezzo pagato.
Circ. 6.8.2007, n. 48

(per maggiori approfondimenti vedi Manuale fiscale, Novecento Media)

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