iPad’s Anatomy: Arm, non Power

Sembra ora certo che il cuore del pad di Apple non sia di PA Semi bensì un classico Arm, quello dell’iPhone con alcune parti in meno. C’è stato qualche intoppo? Se era previsto, la strategia complessiva cambia.

Elucubrare è solo un esercizio già quando si affrontano problemi semplici, figuriamoci se il panorama mostra strategie estremamente complesse. Apple fa parte del secondo tipo e parlarne a partire dall’hardware è sì futile, ma anche molto divertente. Proviamoci, almeno per qualche riga di testo.
Quando Apple acquistò PA Semi, sviluppatore di microprocessori, si era nell’aprile 2008 e l’acquisizione costò 278 milioni di dollari. Io immaginai che la mossa fosse dovuta alla necessità di acquisire un vantaggio competitivo (avendo hardware proprietario) finanziabile con i volumi di vendita ormai sostenuti, ma anche ideale per lanciare nuovi prodotti di fascia intermedia tra smartphone e notebook; mi spinsi ad immaginare che la produzione sarebbe stata in parte venduta ad altri produttori, fors’anche concorrenti, per aumentare la robustezza dei nuovi chip. Ricordai che chi fa chip per sé aumenta i profitti ma anche il rischio: un errato prodotto si paga per intero.
All’uscita dell’Ipad avevo immaginato che il chip A4 che gli dava potenza sarebbe stato un derivato PA Semi, un primo prodotto da realizzare in un numero ridotto di esemplari per verificare il risultato prima di imbarcarsi nella produzione di grossi lotti. In quest’ottica ipotizzavo che Apple desiderasse vendere il nuovo prodotto su nicchie ricche (ospedali, polizia) mantenendo gli alti margini necessari al debug del nuovo prodotto e all’assistenza a quelle fasce di mercato. L’unica fascia consumer allettante era l’e-book reader, un segmento nel quale c’è futuro ma che Apple preferirebbe non attaccare “ufficialmente”, almeno per un po’ di tempo, per questioni di alleanze commerciali.
Per questo mi aspettavo un prezzo per l’utente finale tra i mille e i duemila dollari. Ma il dispositivo è stato annunciato molto al di sotto dei mille dollari, com’è noto, e quindi il mio ragionamento era completamente invalidato.

Cuore d’iPad

Risalendo via via nella catena del pensiero ho determinato che l’errore (principale) è nel componente primigenio, il microprocessore. Secondo novità trapelate all’inizio di febbraio, ed ora verificate, il motore dell’iPad è un prodotto già industrializzato, un Cortex A8, lo stesso dell’iPhone, basato su architettura Arm e non su derivato PowerPC. Rispetto a quanto finora ipotizzato, due sono le conseguenze di questa notizia: Apple non ha affrontato nessun pericoloso porting di software da Arm a PowerPC; il chip non è alla sua prima uscita e quindi non necessita di rodaggio da poche decine/alcune centinaia di migliaia di pezzi.
L’Arm Cortex A8 sarebbe stato semplificato ed inserito in un dispositivo pensato per un certo successo commerciale anche a livello consumer.
L’impiego dei chip Intel in desktop e portatili della Casa di Cupertino aveva sempre lasciato sperare che anche i dispositivi di fascia bassa, prima o poi, sarebbero rientrati nel portafoglio ordini gestito a Santa Clara, ovviamente nella sezione Atom. Ma così non è stato e Apple ha dichiarato di voler fare da sola, teoricamente scontrandosi più che altro con lo SnapDragon di Qualcomm, in fortissima ascesa.
PA Semi era nata ai tempi dell’architettura Power, che avrebbe dovuto far tremare il mondo e che invece fu un bagno di sangue per tutti (Motorola ed Apple) ma tutto sommato non per IBM. La versione 6 della sua famiglia di chip PWRficient era stata ridisegnata da zero, per quanto compatibile con le specifiche Power a 64 bit. Si tratta di un ambiente sul quale Apple ha in casa enormi competenze, per cui si può ritenere che l’hardware in sé non fosse un problema, né sulla carta avrebbe dovuto esserlo il software. Ovviamente continuo a considerare che l’acquisizione di PA Semi presupponga l’impiego di chip custom nei prodotti Apple di fascia consumer, come comunque indica l’uso del chip dell’iPhone.

Pensa diversamente

In una puntata del cartone USA “I Simpson”, tal Steve Mobs, proprietario della Mapple, dichiara sulla che “sui manifesti (pubblicitari) c’è scritto ‘Pensa diversamente’, ma il vero credo aziendale è ‘Nessun rimborso’”. La versione italiana sarà abbastanza simile a quella scritta da Matt Groening ed autorizzata dai vertici del network televisivo editore, che evidentemente non amano molto l’azienda sulla quale ironizzano.
Non si può non amare il genio della Apple, ma ciò non frena la curiosità. A questo punto, le domande che restano in piedi sono almeno due. PA Semi doveva rientrare nel progetto iPad, nel qual caso deve essersi verificato qualche imprevisto di taglia media? Qual è l’effettiva posizione dell’iPad nella strategia Apple, anello mancante o nuova stirpe a danno delle vecchie?

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