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Perché è in atto una data science revolution

Dall’osservazione ai sensori: secondo Stephen Brobst, Chief Technology Officer di Teradata, l’Internet of Things rende possibile la Data Science Revolution. Ma di cosa si tratta?

«Se penso all’Internet of Things – dice – il primo pensiero è che non stiamo pensando abbastanza in grande. E non lo dico solo in relazione alla grandezza dei dati dell’IoT, che ridicolizza i dati generati dai social media. Perchè, mentre l’analisi dei weblog e dei dati generati dai social media ha cambiato il nostro modo di fare affari, se guardiamo da una prospettiva di data science l’IoT può portarci a un ordine di grandezza ulteriore. Rappresenta una rivoluzione in sé e per sè e nel modo in cui possiamo ampliare la conoscenza del mondo. Coloro che intendono concepire nuove applicazioni IoT devono provare a prendere le distanze per riuscire a rendersi conto dello scenario globale».

Stephen Brobst, CTO di Teradata

Se guardiamo al modo in cui la conoscenza umana si è evoluta ed è progredita, prosegue Brobst, migliaia di anni fa gli Incas hanno appreso dall’osservazione: hanno guardato la posizione del sole e delle stelle e sono giunti a determinate conclusioni, anche se non tutte corrette. In seguito Copernico usò alcune scoperte basate sull’osservazione per definire il comportamento dei pianeti e del sole, e arrivò alla conclusione che la terra non è al centro del sistema solare: i pianeti ruotano intorno al sole. All’epoca, affermare che la terra non era il centro dell’universo era semplicemente impensabile. Ma in base alle sue osservazioni era vero. La fase successiva della scoperta scientifica, dopo l’osservazione o le scoperte empiriche, è quella dei modelli o equazioni che descrivono matematicamente il modo in cui funzionano le cose, come le leggi del moto di Newton o le equazioni della fluidodinamica di Bernoulli. O, nei servizi finanziari, l’equazione Black-Scholes, che descrive l’andamento nel tempo del prezzo di strumenti finanziari, in particolare delle opzioni.

Ma come si arriva alla data science revolution?

La nascita dei dati computazionali

Dalla costruzione di questi modelli matematici, basati sulla teoria e sull’osservazione, siamo passati alla scoperta di dati computazionali in cui abbiamo iniziato a ricavare dati da questi modelli utilizzando tecniche di simulazione. Questo approccio è stato reso possibile dall’avvento dei supercomputer nella seconda metà del XX secolo. Naturalmente, gli eventi nel mondo reale sono piuttosto irregolari, e quindi vengono utilizzate tecniche basate sul campionamento casuale per ottenere risultati numerici come le simulazioni Monte-Carlo e modellare così l’imprevedibilità dei fenomeni naturali. Le simulazioni non dimostrano nulla, ma ci aiutano a sapere cosa cercare. E come sappiamo dalle previsioni meteo che utilizzano ampiamente i modelli di simulazione, nonostante la loro crescente sofisticazione essi sono lungi dall’essere perfetti.

«Oggi – dice Brobst – siamo arrivati alle scoperte basate sui dati». Non dobbiamo più simulare i fenomeni. Possiamo documentare tutto utilizzando i sensori e analizzando il diluvio di dati prodotti da questi sensori. Non stiamo campionando o simulando: stiamo analizzando dei dati reali. Ad esempio, nello studio della dinamica dei flussi d’aria per la progettazione di un’ala di aeroplano, l’uso di modelli di simulazione per creare dati è stato largamente sostituito da dati reali acquisiti dalle misurazioni dei sensori.

«Trovo veramente interessante la tecnologia dei sensori che permette di scoprire tutti questi dati. Alcune stime indicano il valore globale dello IoT a più di 14 triliardi di dollari e che entro il 2020 ci saranno tra i 25 e i 50 miliardi di dispositivi collegati in rete, inclusi i cosidetti wearable, le auto connesse, le strade e le infrastrutture intelligenti, le linee di produzione in fabbrica e le utility».

Tutto è SPIME

Tutto e tutti stanno diventando uno SPIME (contrazione delle parole “space” e “time”, SPIME è un neologismo che indica un oggetto – al momento teorico – che può essere rintracciato attraverso lo spazio e il tempo per tutta la durata della sua esistenza, ndr) in virtù dei dispositivi sensoriali.

Lo scrittore Bruce Sterling, che ha coniato questo termine, originariamente lo utilizzò in un contesto di fantascienza. Oggi il concetto di SPIME è realtà scientifica, non fantascienza. Ed è la data science.

C’è un’intera disciplina dell’ingegneria, denominata nanotecnologia, dedicata alla costruzione di piccoli e potenti dispositivi sensoriali. Proviamo a immaginare un sensore più piccolo di un granello di sabbia, che costi meno di una caramella e che abbia autonomia di calcolo, di comunicazione wireless e di alimentazione elettrica. Un termine adeguato per questi sensori è “smart dust”, polvere intelligente.

Nella Napa Valley, in California, sensori come questi vengono sparsi sulle viti per misurare la quantità di luce solare e per controllare l’umidità e la temperatura, consentendo ai viticoltori di determinare esattamente il momento ottimale per scegliere l’uva migliore per produrre il miglior vino possibile. Il che è un ottimo uso della tecnologia.

Tutto sarà dotato di sensori in futuro, e quindi dobbiamo pensare a come riuscire ad analizzare i massicci volumi di dati che cattureremo.

Siamo diretti verso l’Analytics of Everything. Trarre vantaggio da questa nuova rivoluzione scientifica dipende dalla nostra capacità di analizzare il diluvio di questi “big” data. In parte, questo significa investire in funzionalità come analisi spaziale e temporale. Essere capaci di comprendere il regno del possibile, sulla base della sensorializzazione di ogni cosa, richiede la capacità di applicare ciò che sappiamo oggi sulla scoperta dei dati e proiettarlo in avanti. Richiede curiosità, creatività e visione scientifica e di business per progredire in questa nuova rivoluzione scientifica, dove l’Analytics of Everything ci aiuterà a scoprire nuovi modelli e opportunità basate sulla sensorializzazione di ogni cosa.

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