In Italia, il telelavoro stenta a decollare

In compagnia di Francia e Spagna, il nostro paese è ancora distante dal condividere le opportunità fornite dal lavoro a distanza

Il telelavoro in Italia ha ancora vita difficile. In base a un’analisi condotta da Gartner (e rielaborata da Accenture) emerge, infatti, che, tra i paesi europei, il nostro si trova collocato tra quelli “immaturi”. In buona compagnia, se vogliamo, visto che ci sono anche Francia e Spagna, ma la sostanza non cambia. Il Vecchio Continente, diviso in tre fasce, vede tra i paesi “maturi” Finlandia, Olanda e Svezia, con un tasso di penetrazione nel 2007 del 27,6%, che dovrebbe salire al 29,3% nel 2011, seguiti da quelli “in fase di sviluppo” come Uk, Germania e Danimarca (con il 17,8% nel 2007 e il 19,9% nel 2011), mentre Italia, Francia e Spagna sono i più arretrati. In particolare, da noi si è registrato un tasso di penetrazione del 3,2% nel 2007, (pari a una popolazione di lavoratori di 700.000 unità, che dovrebbe essere arrivata a 800.000 nel 2008) mentre si prevede salirà al 4,7% nel 2011.

Il telelavoro (remote working), può essere domiciliare e mobile. Nel primo caso il lavoratore può svolgere l’attività a casa sua e comunicare con l’azienda attraverso pc (che può essere connesso stabilmente alla rete aziendale o solo quando serve), telefono, fax o altri strumenti. Nel secondo caso può utilizzare un pc portatile e altri strumenti mobili, in base a dove lo porta la sua professione.

Lo sviluppo di questo approccio lavorativo dipende da una serie di fattori abilitanti e inibitori. La tecnologia, innanzitutto, rientra tra i primi se si considera che è grazie alla diffusione di nuovi strumenti Ict che si può essere costantemente connessi con l’azienda, ma il digital divide e l’analfabetismo informatico possono ostacolare la diffusione del remote working. L’Italia, peraltro è penalizzata dalla scarsa diffusione, sul territorio, della banda larga, (utilizzata dal 14% della popolazione) che, invece, aiuta notevolmente questo processo ed è in costante crescita in tutti i paesi più industrializzati.

Anche la legislazione gioca un doppio ruolo. È un aspetto essenziale perché il fenomeno diventi maturo, e la Comuntà europea ha spesso spinto presso i paesi membri (accordo-quadro europeo sul telelavoro del 16-7-2002) affinché si definiscano regole chiare tra aziende e dipendenti. Si trasforma in fattore inibitore perché in molti casi questi inviti non sono stati raccolti, per cui secondo avvocati e professionisti, è un fenomeno difficilmente controllabile e inquadrabile.

In un momento in cui aumenta la sensibilità verso la sostenibilità ambientale e sociale, il telelavoro sicuramente viene considerato come la possibilità di diminuire gli spostamenti dei lavoratori, a tutto beneficio della riduzione di Co2 dovuta all’utilizzo di mezzi privati. Un altro fattore abilitante è dato dall’efficienza economica, in quanto molte imprese che hanno sperimentato questo tipo di rapporto lavorativo, hanno riscontrato sensibili risparmi relativi alla riduzione degli spazi negli uffici, grazie alla presenza alternata dei lavoratori e a una riduzione delle trasferte.

Per contro le aziende possono avere delle difficoltà ad accettare questo approccio lavorativo a causa di dotazioni tecnologiche inadeguate o di timori circa la sicurezza dei dati. Inoltre, alcune società temono cali di produttività dovuti a una maggior autonomia dei dipendenti, slegati dall’obbligatorietà di rispettare gli orari standard di lavoro. Questo fatto, secondo molti, potrebbe minacciare il lavoro di gruppo e quindi la condivisione di informazioni.

Comunque, dal momento che gli individui, sia a livello professionale che privato, utilizzano device mobili sempre più sofisticati, non solo si svilupperanno nuove opportunità di lavoro ma si creeranno anche nuovi modelli di organizzazione che obbligheranno le imprese ad affrontare importanti sfide. Le tecnologie dell’informazione e della comunicazione renderanno, dunque, sempre più possibile una maggior “nomadicità” lavorativa, difficilmente arrestabile.

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