Il sistema fieristico italiano perde visitatori nel 2010

Per scongiurare l’eccessiva frammentazione dell’offerta le associazioni di categoria hanno dato vita a un tavolo di coordinamento nazionale

Per il sistema fieristico italiano si profila un 2010 fatto più di ombre che di luci: le difficoltà del comparto emergono chiaramente dai dati del Comitato fiere industria, l’agenzia per le fiere associata a Confindustria, che rappresenta 26 enti organizzatori e 5 coorganizzatori a promozione di 78 eventi fieristici di livello internazionale. Da gennaio a settembre di quest’anno le fiere patrocinate dal Cfi hanno ricevuto 1.526.823 visitatori, di cui il 30% proveniente dall’estero, ospitando 23.968 espositori, il 24,6% dei quali stranieri. Sembra quindi lontano il risultato del 2009, quando le stesse fiere avevano attratto 2.998.893 visitatori, di cui il 21,2% proveniente dall’estero, mentre gli espositori erano stati 39.333 (31,1% stranieri).

Record di manifestazioni
Nel 2010 il ruolo portabandiera delle fiere industriali va al Salone internazionale del mobile, svoltosi in aprile a Rho, vicino a Milano: oltre 130mila espositori hanno esibito i propri prodotti attirando circa 300mila visitatori. Nonostante questi numeri in ribasso, il mercato fieristico italiano, a livello europeo, si conferma il secondo dopo la Germania. Inoltre la flessione dei visitatori non sembra scoraggiare il lancio di nuove formule: nel 2010, tra fiere già passate o da svolgersi nei prossimi due mesi, in Italia si conteranno 210 manifestazioni internazionali segnalate dall’Isf, l’Istituto certificazione dati statistici fieristici, per un aumento del 5% rispetto al 2009. Un’altra indagine, realizzata dall’Aefi, l’Associazione esposizioni e fiere italiane, evidenzia il rafforzamento di tre tendenze: l’internazionalizzazione degli organizzatori (80% degli intervistati), la riduzione del valore degli spazi fieristici (69%) e la diffusione di nuovi mezzi di comunicazione (67%).

Troppo divario tra Nord e Sud
Il sistema fieristico italiano, insomma, si trova ad affrontare un mercato completamente trasformato rispetto all’epoca precrisi ma continua comunque a svolgere un ruolo centrale nel processo di internazionalizzazione delle imprese e delle principali filiere produttive del Paese: rappresenta infatti uno dei principali strumenti di promozione per il 75% delle imprese industriali e per l’88,5% delle piccole e medie imprese, in grado di generare affari per 60 miliardi di euro, da cui ha origine il 10% dell’export nazionale. Anche nel comparto fieristico si riscontra però un’Italia a due velocità. Come ha sottolineato all’Adn Kronos il presidente dell’Aefi, Raffaele Cercola, «al Centro-Nord si ampliano i quartieri e si costruiscono nuovi padiglioni, innovando e valorizzando manifestazioni nazionali e internazionali, mentre al Sud si registrano preoccupanti situazioni economico-finanziarie di alcuni enti fieristici e, a livello istituzionale, mancano piani per programmare, indirizzare e sostenere le fiere nel loro insieme, con stanziamenti invece di risorse per eventi spesso non utili o marginali».

Il tavolo di coordinamento nazionale
Anche per questo motivo Aefi, Cfi, Comitato fiere industria (Confindustria) e Cft, Comitato fiere terziario (Confcommercio), hanno dato vita al tavolo di coordinamento nazionale del sistema fieristico. Il tavolo ha l’obiettivo di risolvere o, quantomeno, aiutare a gestire, i due principali problemi del sistema fieristico nazionale: la ancora troppo scarsa internazionalizzazione e la frammentazione dell’offerta interna. Si tratta di due questioni ormai aperte da quasi dieci anni, per la discesa in campo di colossi asiatici e americani e per il trasferimento totale delle competenze in materia alle regioni di eventi fieristici, che ha causato una palese mancanza di uniformità. «Ogni regione – ha spiegato Franco Bianchi, segretario Cfi – in virtù della competenza esclusiva, ha ritenuto di gestire le fiere in una logica di interesse localistico e non di sistema. Se ci confrontiamo con i sistemi stranieri ci accorgiamo solo ora di quanto eravamo ripiegati su noi stessi a competere tra Regione Emilia Romagna e Regione Lombardia, Veneto o Toscana».

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