Il Retail è pronto per l’RFid?

Costi e limiti della tecnologia che rivoluzionerà la Gdo

Partnership tecnologiche e soluzioni più sicure per superare la freddezza dei retailer. Una freddezza che in Italia si somma a una bassa propensione all’utilizzo da parte della Gdo della tecnologia Rfid – anche se negli Usa sono molto avanti, si veda ad esempio il caso del colosso del settore distributivo Wal-Mart – adozione frenata soprattutto dal costo elevato delle etichette. Lo conferma uno studio dell’Uw ebusiness Consortium che sottolinea come, il prezzo elevato dei tag – attualmente intorno a 0,40 dollari – freni l’espandersi di questa nuova tecnologia. Solo quando il prezzo sarà inferiore a 0,05 dollari, l’utilizzo della tecnologia Rfid sarà praticabile. A oggi, molti dei progetti pilota in ambito Rfid sono applicati alle movimentazioni dei pallet e alla gestione dei magazzini, ma solo in casi rari ai singoli prodotti. L’uso dell’Rfid su vasta scala appare ancora destinato a un ipotetico futuro, anche se una ricerca di In-Stat prevede una crescita della spesa mondiale in Rfid fino a 2,8 miliardi di dollari entro il 2009 (300 milioni di dollari nel 2004).
I retailer italiani hanno un atteggiamento conservativo e prudente e attendono segnali chiari prima di avventurarsi nell’adozione di questa nuova tecnologia. È il momento in cui i produttori di soluzioni Rfid devono unire gli sforzi per dare maggiore credibilità e infondere più sicurezza.

C’è bisogno di sicurezza.
«In questo settore le partnership tecnologiche sono molto importanti» afferma Maurizio Taglioretti, enterprise account executive di McAfee. Ma c’è un altro motivo che frena gli investimenti in soluzioni Rfid ed è connesso alle minacce per la sicurezza che questa tecnologia può comportare: trasmettendo dati in radio frequenza, questo sistema può diventare un ulteriore veicolo di attacco di cui i responsabili It dovrebbero seriamente preoccuparsi. «Dal momento che si tratta di dispositivi per l’archiviazione dei dati – continua Taglioretti -, questi possono essere un ricettacolo per i virus che da qui possono potenzialmente diffondersi ai rivenditori al dettaglio o ad altre strutture che utilizzano le tag Rfid sulle merci o per l’inventario, potrebbero venire infettati e l’infezione potrebbe poi diffondersi ai sistemi che li gestiscono». Una paura più che fondata, visto che un team di ricercatori della Vrije University in Olanda è riuscito a creare un virus “proof-of-concept” di piccole dimensioni (127 byte) dimostrando alle catene di vendita al dettaglio e a chi potrebbe essere interessato a utilizzare questa tecnologia che, prima di adottarla, sia necessario porsi una serie di domande relativamente ai produttori di tag, lettori e middleware. Bisogna capire se, chi vende soluzioni Rfid, sia in grado di assicurare che ciò che fornisce può essere reso sicuro, se è stato preso in considerazione il potenziale rischio di attacco e che garanzie possono essere offerte ai clienti, se i dati semplici che risiedono nelle tag Rfid vengono estratti dai lettori e inviati sulle reti aziendali. «Prima di decidere l’acquisto di una soluzione Rfid, va valutato anche come i dati potenzialmente infetti o corrotti verranno trattati quando arrivano sui database di rete» conclude Taglioretti.

La nuova tecnologia Rfid è comunque destinata a rivoluzionare la filiera della distribuzione. Una spinta in questo senso arriva anche dalla normativa comunitaria sulla sicurezza alimentare – regolamento Ce 178/2002 entrato in vigore nel 2005 – che impone la rintracciabilità degli alimenti e dei suoi componenti in fase di produzione, trasformazione e distribuzione. La Commissione europea non ha emanato norme specifiche per l’applicazione del regolamento e il Governo italiano si è limitato a stabilire delle semplici linee guida. L’adeguamento alla normativa per ora si limita all’utilizzazione degli strumenti It esistenti e dello scambio con i fornitori di informazioni sui prodotti e sulla loro provenienza. Siamo lontani dalla rintracciabilità su tutta la filiera che comporterà un profondo coordinamento degli attori coinvolti e una standardizzazione delle procedure di scambio delle informazioni.

Identificazione senza errore
Un’etichetta Rfid (o “tag”) è costituita da un piccolo microchip collegato a un’antenna incorporata che trasmette in radiofrequenza le informazioni immagazzinate nella memoria interna (si tratta in genere di un numero seriale di identificazione univoca del prodotto). I vantaggi di questa nuova tecnologia sono chiari: a differenza dei codici a barre che possono essere letti solo da molto vicino e solo con un certo orientamento del lettore, utilizzando la radiofrequenza è possibile leggere un’etichetta anche a diversi metri di distanza. La tecnologia Rfid consente, inoltre, di identificare ogni pallet/scatolone in modo univoco, mentre i codici a barre identificano solo la categoria di appartenenza; il che si traduce, se applicato per esempio in un supermercato, in un migliore controllo della movimentazione dei prodotti da parte dell’azienda e in un’eliminazione delle code alle casse per i clienti che potrebbero usare barriere casse automatizzate.

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