Il principe della e-Pirelli

Dalla scelta dei sistemi aperti e di software standard alla nascita del sito, fino al nuovo portale aziendale . Il racconto di un manager sulle difficoltà e le soddisfazioni di un progetto innovativo

Cavalcare l’onda delle tecnologie mentre arriva, senza esserne travolti. Tutti, nel mondo Ict, potrebbero mettere la firma su una frase del genere, ma sono veramente pochi quelli che sono riusciti a farlo concretamente.
Arrigo Andreoni, direttore dei sistemi informativi del Gruppo Pirelli è uno di questi, anche se il suo nome raramente è emerso nelle cronache di un Gruppo, italiano per eccellenza e da più di mezzo secolo presente con successo sui mercati internazionali.
Ingegnere chimico, 56 anni, fronte scoperta e una cascata di capelli bianchi con un volto che sembra appartenere a un attore di teatro ormai esperto. Siamo ben lontani dall’immagine stereotipata del giovane rampante pronto a tutto del settore high tech. Nel suo modo di parlare non c’è mai fretta, ma una straordinaria capacità di concentrazione sui temi, analizzati con una chiarezza espositiva, che molti manager “gasati”, non ancora quarantenni, neanche si sognano.
Andreoni appartiene alla generazione nata alla fine della guerra, una generazione che non si è posta il problema della modernità, ma che ha assistito alla ricostruzione, fin dalle fondamenta, di una realtà sociale ed economica completamente diversa dalla precedente.
Un uomo che basa la sua forza sull’esperienza concreta e sulla volontà, non su un astratto futuro o meno ancora sulle lusinghe del successo personale.
Laureato al politecnico di Milano ha iniziato a lavorare nel 1969 occupandosi del controllo dei processi e della creazione di modelli matematici per reattori. Ha cominciato a interessarsi d’informatica perché era un necessario supporto a queste esperienze.
“Non sono un tecnocrate – precisa subito Andreoni – e il fatto di non essere un informatico puro, intendo a livello di back ground universitario, mi ha molto aiutato. Ho potuto occuparmi in modo primario dei problemi di business, relegando la parte informatica a soluzione o leva per migliorare tutto quello che sta attorno al business”.
Andreoni è arrivato in Pirelli nel 1993, dopo aver lavorato per molti anni all’interno del Gruppo Montedison, ricoprendo il ruolo di Edp manager in Tecnimont (1981), società d’ingegneria del gruppo.
Una carriera non fulminante, ma in costante progresso con sempre maggiori responsabilità, culminate in un ruolo dirigente in Aimont, una joint venture realizzata con la statunitense Hercules, dove Andreoni matura la sua esperienza internazionale fino all’ingresso in Pirelli.
“Nel passare da Montedison a Pirelli – racconta – avevo trovato una situazione informatica molto simile. Le grandi aziende italiane avevano avuto più o meno lo stesso tipo d’evoluzione. Esistevano società collegate che, oltre a erogare servizi informatici all’interno, facevano anche da terza parte per società esterne. Ricordo, quando ero in Aimont, di aver ricevuto la visita di venditori di Pirelli Informatica per avere servizi”.
Pirelli Informatica è nata alla metà degli anni 80, in prima battuta per bisogni interni, ma poi la dirigenza aveva deciso di sfruttarne le competenze, allora rare, anche verso l’esterno. Era una sorta di software house proprietaria, che finì per lasciare in secondo piano l’attività interna. Il fenomeno aveva prodotto situazioni poco chiare e non sempre positive. Con gli anni 90 queste software house delle grandi industrie italiane vennero recuperate per lo sviluppo captive nei rispettivi gruppi di origine.
In Pirelli il passaggio avviene con Marco Tronchetti Provera alla presidenza del Gruppo (1990), che subito lo orienta verso le attività di core business, con conseguente dismissione delle altre società.
La rivoluzione cambiò Pirelli Informatica che si limitò a fornire assistenza informatica all’interno del Gruppo.
“Quando, un anno e mezzo dopo, sono arrivato io – spiega Andreoni – c’erano i sistemi informativi di Pirelli Informatica, ma anche quelli del settore pneumatici, del settore cavi e dei corporate. Una complessa frantumazione di reparti, aggravata dal fatto che i sistemi informativi in tutto il mondo erano fatti in casa e ognuno era diverso dall’altro, con svariate applicazioni che si erano stratificate a casaccio negli anni. Era un puzzle ingovernabile”.
Il momento cruciale in cui tutta la realtà tecnologica del Gruppo Pirelli passa sotto la direzione di Andreoni, coincide con la definizione legale di Pirelli Informatica, siamo nel febbraio del 1994, e viene sancita la trasformazione della società in contenitore tecnologico del Gruppo.
“Il primo sforzo fatto dalla mia direzione – continua Andreoni – era la verifica del bisogno informatico rispetto al business, per poi identificare i fattori chiavi della strategia di Pirelli e definire un percorso allineato alle necessità”.
Parliamo di un periodo in cui il software era proprietario e i mainframe avevano un ruolo accentratore e determinate nelle grandi imprese. L’intuizione di Andreoni si muoveva in direzione opposta rispetto agli standard esistenti, voleva creare una società focalizzata verso l’integrazione funzionale, capace colloquiare a livello mondiale con tutte le proprie filiali sparse negli altri continenti, con possibilità di standardizzazione di progetti e metodologie di lavoro.
Nel 1994 la strategia prende corpo con la decisione di creare all’interno del gruppo un’architettura client/server. La scelta di puntare sui sistemi aperti oggi appare come scontata, ma in quel periodo significava effettuare forti investimenti e “buttare” il patrimonio accumulato sia in ambito hardware che software.
“Siamo stati fra le prime aziende a implementare la nuova versione di Sap/R3 in modalità client/server – ricorda Andreoni – e non è stato affatto facile convincere l’azienda a non fare più applicazioni in casa. Ma era chiaro che cominciando a prendere pacchetti standard sarebbe stato più facile integrare funzionalmente l’attività di tutte le filiali. Fu, comunque, una rivoluzione, che ha cambiato gli indirizzi di tutto il personale informatico per portarli verso una logica di business. Un cambio di skill indispensabile per capire i processi aziendali e integrarli in una nuova dimensione. Abbandonare l’informatica pura significò anche ridurre le forti differenze che separavano tecnici e utilizzatori”.
L’avventura di Andreoni era cominciata e se anche non volessimo riconoscergli la bontà della scelta tecnologica certo non possiamo negargli di aver avuto coraggio e una determinazione inusuale.
“Le risorse economiche necessarie al progetto furono un grosso problema – spiega Andreoni corrugando la fronte -. In Pirelli le procedure d’investimento sono sempre state sottoposte al controllo del Roi. Non si potevano allocare risorse economiche, se non si faceva intravedere quando ci sarebbe stato il ritorno finanziario e il risultato che si voleva ottenere. Avevo richiesto 130 miliardi di lire in 4 anni, ma il gruppo allora era aveva i conti in rosso”.
A questo punto scopriamo il lato strategico di Andreoni che non solo deve tenere a bada le resistenze del personale informatico interno, ma deve anche partire con il piede giusto e nel posto giusto.
Da capitano coraggioso, una volta fissata la rotta, bisognava fare il viaggio e affrontare le possibili tempeste. Andreoni, forse contando sulle esperienze in barca fatte in Grecia e in Turchia, preferisce un percorso a tappe, evitando con cura le condizioni climatiche avverse.
“Per prima cosa abbiamo guardato tra le filiali sparse in tutto il mondo – dice, mostrando la cartina alle sue spalle – e cercato i posti dove c’erano problemi di gestione dei sistemi informativi e, quindi, meno difficoltà a proporre il cambiamento. Poi tra queste abbiamo cercato i country manager più disponibili a lanciare l’iniziativa. Volevo sottolineare i risultati e l’efficienza del progetto. Ma prima ho dovuto convincere e coinvolgere i miei interlocutori. Più che un manager mi sembrava di essere diventato un venditore di idee. Andavo, presentavo i piani, accettavo e confutavo le critiche che si abbattevano sul progetto. Ma sono stato tenace e ho trovato il modo di riformularle fino ad averla vinta. La testardaggine in certi casi serve, ma la forza del progetto era nella capacità di dare obiettivi consistenti e strettamente legati alla volontà di cambiamento che l’azienda aveva. Vinte le prime scommesse abbiamo cominciato a lavorare a cascata sulle varie country”.
Il progetto pilota per implementare Sap su architettura client/ server parte dalla Spagna e lentamente si estende di isola in isola, trovando sempre riscontri che giustificano gli investimenti fatti.
Dopo un anno e mezzo di questa strategia Tronchetti Provera, che aveva autorizzato il cambiamento e la procedura, fa proprio il progetto globale, pretendendo velocità d’installazione e integrazione dei sistemi a livello mondiale. A questo punto le resistenze crollano e dopo un’intensa fase di lavoro (1996-1997), viene completata la prima fase del progetto.
Tutto merito di Andreoni e collaboratori, direte, ma non è così. Da grande ammiratore del Macchiavelli e del suo Principe ecco, per lui, quale è stata la sua “fortuna”.
“Avevo alle spalle una persona che possedeva la vision di quello che stava succedendo a livello di economia mondiale. Anche nei momenti di crisi più nera, quando abbiamo sopportato le resistenze più forti, Marco Tronchetti Provera non ha mai avuto dubbi o incertezze sull’efficacia della nostra azione. In alcuni casi il suo aiuto è stato indispensabile per superare le resistenze più tenaci. Nel primo anno e mezzo di lavoro ha seguito la nostra azione, per verificarne il valore, le strategie e gli obiettivi, poi ha cavalcato alla grande il progetto di trasformazione, perché credeva nell’informatica e nell’era di cambiamento che comportava. Dal 1999 il rapporto si è intensificato e ora Tronchetti Provera utilizza Pirelli Informatica come catalizzatore, per portare avanti le fasi evolutive della società e del suo business. E’ stato lui a volere, nel gennaio del 2000, un e-team che si occupasse di ottimizzare e realizzare tutte le iniziative Internet, con 18 progetti portati avanti contemporaneamente”.
La scelta dell’architettura client server, infatti, aveva permesso anche un’ottica nuova e innovativa in cui la rete assumeva un ruolo centrale. Il processo avviato da Andreoni permise di realizzare una intranet mondiale, che oggi collega circa 170 località nel mondo. Ma va anche detto che la scelta dei protocolli per sistemi aperti, conportava la possibilità di far partire (siamo nella seconda metà del 1995)il primo sito Internet del Gruppo.
La fase due del progetto è già sulla rampa di lancio e all’ordine del giorno (1999-2000) c’è la sfida Internet, una maggiore focalizzazione sul cliente e una strategia di acquisizioni da integrare nel progetto informativo.
Con l’aiuto di Anderson consulting (oggi Accenture) e di altre grandi società di consulenza partono e si realizzano i progetti relativi al Data Warehousing, alla Supply Chain e ai primi stadi di e-business, che Andreoni completa entro il 2000 affacciandosi verso l’idea dell’impresa estesa e alla fondazione di quella che viene battezzata come e-Pirelli.
Pirelli oggi è un esempio concreto dell’uso dell’architettura Internet per le attività aziendali. Un fatto riconosciuto da Gartner Group, che gli ha assegnato, nel 1999, il premio di eccellenza tecnologica. È la prima volta in 14 anni che vince un’azienda non Nordamericana.
“Stiamo diventando una e-company con 15mila utenti Internet collegati – spiega Andreoni con una comprensibile punta di orgoglio – e tutti possono lavorare usando il browser. Ora stiamo gestendo l’estensione delle attività di e-business per creare le fondamenta del nostro B2B planetario, che abbiamo chiamato e-Foundation, con l’obiettivo entro il 2002 di allestire il portale aziendale, che avrà funzioni chiave nello scambio delle informazioni e del rapporto con la clientela. Un elemento centrale del progetto lo troviamo anche nell’opera di sburocratizazone interna tramite un business to employee funzionale, con home page personalizzate in base al ruolo di ogni addetto aziendale”.
La terza fase dell’evoluzione si basa su progetti che devono durare non più di 100 giorni, secondo i dettami di quell’onda tecnologica che va cavalcata nel momento, come indicavamo all’inizio. Ma a ben vedere c’è una piena continuità rispetto alle linee strategiche che Andreoni aveva dato fin dall’inizio del suo mandato. Prima di lasciarlo gli abbiamo chiesto quali sono state le sue valvole di sfogo e quali le qualità che hanno contato di più. Ci ha parlato di Beethoven e di musica classica, di arte e visite archeologiche, di buone letture e di vacanze in barca e poi alla fine ha concluso dicendo:
“Bisogna avere convinzione per superare gli ostacoli. Ma se è il caso bisogna anche saperli aggirare, evitando di fracassarsi la teste. Ci vuole entusiasmo personale e capacità per trasmetterlo alle persone che ti stanno attorno. Per me è stato molto importante leggere Macchiavelli, mi ha insegnato l’arte di arrangiarsi e di accettare qualche compromesso, in modo da non farsi mettere sotto e per trovare la via per andare avanti, magari a piccoli passi, oppure facendone due indietro per poi farne 4 avanti, permettendo anche qualche eccezione al metodo prescelto”.

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