Il Premier e l’agenda a strappi

Enrico Letta e Francesco Caio spingono l’ammodernamento digitale dell’Italia, ma la loro forza è proporzionale al finanziamento e alla ipotetica durata del premier.

La velocità di realizzazione dell‘agenda digitale italiana è come lo sviluppo della banda larga: pur interessante, non basta per colmare il divario con quell’élite della quale l’Italia aveva fatto parte nel mondo industriale. E’ necessario accelerare, ma il Governo, nonostante il molto lavoro sull’argomento, non riesce ad imprimere un impulso sufficiente.


Armadi o edifici?

Una visione d’insieme dell’Europa richiede che entro il 2020 il 100% delle abitazioni sia raggiunto da (almeno) 30 Mbps e che almeno il 50% abbia a disposizione (almeno) 100 Mbps in Ftth, ovvero con la fibra a casa. Serve anche che nel frattempo venga sviluppata un’offerta di contenuti e servizi che diano senso a tali connessioni.
Il Rapporto Caio indica che entro il 2017 l’Italia sarà innervata da connessioni tra 30 e 70 Mbps che saranno disponibili in Fttc, ovvero con fibra che arriva al cabinet. L’obiettivo è raggiungibile se fino al 2017 le varie telecom accetteranno il coordinamento impostato da Caio e la matrice di scadenze promessa da Letta: un altro motivo per sperare che l’attuale Governo, o una sua metempsicosi, duri più a lungo possibile.
Ma torniamo alla situazione attuale. La differenza tra Fttc e Ftth non è banale: portare la fibra dall’armadio alle case costa molti soldi. E’ il problema normalmente definito “dell’ultimo miglio” di collegamento.


Regolamenti da approvare

Innanzitutto Confindustria Digitale lamenta il non completamento degli iter relativi ai regolamenti scavi/minitrincee e radioemissioni per l’Lte, senza i quali ben poco si potrà fare.
E’ ragionevole che questi regolamenti arrivino in breve, così come l’approvazione dello statuto per l’Agid, ancora bloccato al momento in cui scriviamo.
Secondo i censimenti le case italiane sono circa 24 milioni. Supponendo che il 50% sia calcolato sulle case e non sui cabinet, il Rapporto Caio dice che nel 2017 avremo connessioni sufficienti perché 12 milioni di case, se lo chiederanno, potranno connettersi a velocità tra 30 e 70 Mbps se qualcuno cablerà la distanza tra cabinet e casa. Probabilmente nel 2017 ben 12 milioni di case saranno connesse ancora a 2 Mbps.
Restiamo però sugli obiettivi al 2017, ovvero su quei 12 milioni di case che potrebbero avere almeno 30 Mbps. Costoro dovrebbero avere dentro casa una fibra che trasporti offerte di contenuto e servizi così interessanti da convincerli a sottoscrivere l’abbonamento: una telefonata e una carta di credito basterebbero affinché un operatore di call center abilitasse i servizi in questione.
Il Rapporto Caio lascia i 30+ Mbps a 300 metri da casa.
Di servizi (italiani) per usarli non se ne parla. Le telecom porteranno la banda al cabinet, ma non certo a casa, se non ci saranno motivi seri. Perché 12 milioni di connessioni costano molto.


Innovazioni che gli italiani non vogliono?

La situazione è simile a quella del digitale terrestre e prima ancora a quella dell’Isdn, la rete che i detrattori trasformarono da Integrated Services Data Network in Innovation Subscribers Don’t Need, innovazione che non serve agli utenti.
Dimenticando i 100 Mbps e parlando della banda larga a 30 Mbps restano alcune domande essenziali, con scadenza 2017.
Chi porterà la fibra a casa dei 12 milioni connessi a 30 Mbps fino al cabinet?
Chi fornirà contenuti e servizi? Come si raggiungeranno gli altri 12 milioni di italiani?
Perché se l’Italia non sarà competitiva sui servizi, la situazione sarà paradossale: avremo investito per favorire i nostri concorrenti più vicini. Non sarebbe la prima volta, ma stavolta potremmo evitarlo. Sempre ricordando che i contenuti dipendono anche dalle lingue e che in generale nel mondo l’italiano è meno diffuso del tedesco e molto meno diffuso di portoghese, francese, inglese e spagnolo.

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