Il nanismo delle imprese non è solo un problema italiano

Il 99,8% delle aziende europee ha meno di 249 addetti, ma quelle del nostro paese sono più piccole della media Ue

Che l’Italia abbia un tessuto economico costituito in larghissima maggioranza da piccole e medie imprese è cosa nota. Molto meno il fatto che anche gli altri paesi europei siano caratterizzati da un contesto produttivo per molti versi comparabile con quello del Belpaese, che tutto sommato presenta una situazione non troppo dissimile da quella degli altri paesi dell’area mediterranea. Il “piccolo” trionfa infatti in tutto il Vecchio Continente: il 99,8% delle imprese europee ha meno di 249 occupati, che assorbono il 67,4% dell’occupazione. E ben il 91,8% di esse ha meno di 9 addetti, con una elevata potenzialità di crescita sostenibile nel lungo periodo e di creazione di occupazione.

La scommessa della Ue sulle Pmi
I dati arrivano da un rapporto sullo Small business act (Sba) dal ministero dello Sviluppo economico. L’Sba è il documento rilasciato nel giugno 2008 (e che sarà rivisto entro il 2011) con cui l’Unione Europea e gli stati membri hanno riconosciuto l’importanza economica e sociale delle piccole e medie imprese (MPMI) nell’Europa a 27. La ricerca del Ministero conferma come le imprese italiane si collochino prevalentemente nella fascia dimensionale fino a 9 addetti: le micro imprese costituiscono, infatti, il 94,7% del complesso del tessuto imprenditoriale nazionale, raggiungendo il peso massimo del 96,6% tra le attività dei servizi a fronte dell’81,1% per l’industria in senso stretto. La grande dimensione incide (oltre i 249 impiegati) invece solo per lo 0,1%.

La forte incidenza delle microimprese
La particolarità del caso italiano trova ulteriore conferma nel contributo fornito dalle Pmi alla formazione del valore aggiunto complessivo nazionale: a fronte di una media di poco inferiore al 60% nell’Ue a 27, nel nostro Paese oltre il 71% del valore aggiunto è attribuibile alle piccole e medie imprese. In particolare, il contributo della microimpresa (meno di 10 occupati) raggiunge in Italia il secondo valore più elevato tra i 27 Paesi dell’Unione dopo la Grecia: 31,5%, a fronte del 15,4% della Germania, del 22% della Francia e del 18,4% del Regno Unito. Al contrario, la grande dimensione incide per meno del 30%, con una distanza ampia (circa 15 punti percentuali) rispetto ai principali Paesi europei. Le medesime considerazioni possono essere replicate per la distribuzione degli addetti: in Italia oltre l’80% dell’occupazione si concentra nelle Pmi, a fronte di una media del 67% della Ue a 27. Decisamente elevato il peso delle microimprese: nella Penisola occupano il 46,6% della popolazione attiva, una quota secondo solo a quella della Grecia nella graduatoria dei Paesi europei.

Il Gruppo II
La distribuzione delle imprese nazionali, così fortemente sbilanciata verso la dimensione minore, è una delle cause della minore produttività media del nostro tessuto produttivo: 43,2 mila euro di valore aggiunto per addetto che ci pongono sotto la media di paesi come Germania, Francia e Regno Unito. Ma in realtà, secondo la Commissione europea, le Pmi italiane vanno paragonate soprattutto con le omologhe dei paesi del cosiddetto Gruppo II (Cipro, Finlandia, Francia, Grecia, Malta, Portogallo, Spagna e Svezia). In queste nazioni le piccole e medie imprese hanno a che fare con una serie di criticità: ad esempio, l’Amministrazione pubblica è scarsamente ricettiva in Spagna e in Italia, mentre si registra in Grecia, Italia e Portogallo una difficoltà significativa nell’accesso alla finanza.  In Grecia e Spagna vi è infine uno scarso utilizzo delle opportunità offerte dal Mercato unico. Al contrario, le Pmi finlandesi e svedesi si distinguono per le forti competenze e capacità innovative e per l’accesso alla finanza.
 
Pa più ricettiva
Rispetto alla propensione all’internazionalizzazione, una parte del Gruppo registra valori superiori alla media Ue a 27 (Finlandia, Francia, Portogallo e Svezia); inferiori alle media Ue a 27, sono invece i valori rilevati per Grecia, Italia e Spagna. Negli ultimi anni risultano in sensibile peggioramento gli indicatori di tutto il Gruppo II relativi alla propensione all’imprenditorialità. Al contrario, sono in forte crescita i parametri relativi all’Amministrazione recettiva (Grecia, Italia, Portogallo e Svezia) e all’utilizzo delle opportunità offerte dal Mercato unico, in particolare in Cipro, Francia, Portogallo e Svezia. Con particolare riferimento all’economia italiana, lo studio segnala l’elevata difficoltà nell’accesso alla finanza sia in termini statici (a confronto con la media Ue a 27) che dinamici (2009 rispetto al 2008).

L’impatto dello Sba
Nel 2009 si registra un sensibile miglioramento, invece, relativamente alla ricettività della Pubblica amministrazione italiana che, almeno parzialmente, può essere attribuibile alle varie misure adottate soprattutto negli ultimi anni in materia di semplificazione amministrativa e burocratica. Una volta a regime, i vantaggi dell’attuazione di tutte le misure previste dal Sba, potrebbero cambiare notevolmente la condizione delle Pmi tricolori. L’Sba potrebbe favorire una crescita dell’1% del Pil nazionale e, grazie all’ effetto “moltiplicatore”, si potrebbe ridurre il gap di sviluppo con gli altri Paesi europei, contribuendo anche alla creazione di circa 50mila nuovi posti di lavoro.

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