Il gap dell’Italia nel commercio elettronico rischia di crescere

L’e-commerce nel nostro paese vale 6 miliardi di euro, segnala un rapporto del Politecnico di Milano

Lo storico gap dell’Italia nel commercio elettronico rispetto agli altri paesi occidentali rimane, ma la vera notizia è che questo divario potrebbe addirittura aumentare nei prossimi anni, perché la crescita del mercato italiano è in fase di rallentamento e appare allineata a quella degli stati più avanzati. È questa una delle osservazioni principali del convegno “L’e-commerce B2c in Italia: una crescita che sfida la crisi”, organizzato dalla School of Management del Politecnico di Milano. I dati sono chiari: nel 2008 la crescita sarà a due cifre (+21%), dato che porterà il valore dell’e-commerce in Italia, inteso come fatturato dei siti italiani, a oltre 6 miliardi di euro.
 

L’evoluzione dell’e-commerce in Italia
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L’importanza del turismo
Questo valore sale se si includono i prodotti e servizi acquistati dai consumatori italiani nei siti esteri: si tratta di ben 1810 milioni di euro, mentre molto meno consistente è “l’export” del nostro e-commerce (835 milioni di euro). Il turismo è la colonna portante del commercio elettronico italiano: questo comparto fattura da solo 3,4 miliardi di euro, il 56% del volume d’affari dell’e-commerce nazionale. In particolare i biglietti di trasporto (per la quasi totalità aerei) valgono 2,34 miliardi di euro. L’incremento del comparto, nel 2008, è stato del 28% e contribuirà per il 75% circa della crescita complessiva dell’e-commerce italiano.

Ancora indietro gli altri settori
Il turismo online rappresenta ormai circa il 10% delle vendite complessive di prodotti turistici, mentre l’acquisto online di altre categorie merceologiche, che incidono molto sul totale dei consumi reali degli italiani, come i prodotti alimentari o per la casa e l’abbigliamento, è ancora su valori trascurabili (largamente inferiori all’1%) se confrontati con le vendite offline. Eppure, nonostante questi numeri, il turismo online italiano è ben lontano dagli standard raggiunti in paesi come gli Stati Uniti, dove ormai rappresenta il 25% del fatturato dell’intero comparto turistico. Nel 2008 il settore con il tasso di crescita più elevato è stato l’abbigliamento con il 43%, musica ed audiovisivi con il 20%, mentre tutti gli altri comparti faranno registrare tassi di crescita inferiori alla media del mercato.

I tassi di crescita dei singoli settori
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Il peso dei servizi
Questo significa che nel commercio elettronico italiano è aumentato ulteriormente il peso dei servizi (prodotti turistici, biglietti, ricariche telefoniche, prodotti assicurativi, etc.), che rappresentano oltre il 70% del venduto, mentre i prodotti fisici generano appena il 30% del volume d’affari complessivo. Questo dato tra l’altro è in netta contrapposizione con la ripartizione dei consumi “reali” degli italiani, che vede una forte predominanza della componente prodotti (indicativamente pari all’80%) e con la composizione del paniere nei mercati online a livello internazionale. All’estero, almeno 15 imprese sulle prime 20 in termini di fatturato e-commerce vendono prodotti, in Italia solo 4 su 20.

I ritardi della distribuzione
Questa importante differenza con l’estero è perlopiù spiegabile con il fatto che, in Italia, la presenza on line della distribuzione moderna continua ad essere estremamente debole. Solo il 12% delle insegne della distribuzione alimentare ha un sito di commercio elettronico. Il ritardo può essere solo in parte essere spiegato con la mancanza nel nostro paese di grandi catene attive su tutto il territorio nazionale (a parte Coop).
Nell’ambito della distribuzione non alimentare il 27% delle insegne ha un sito di commercio elettronico, più del doppio rispetto al 2003, anche se in molti casi si tratta ancora di iniziative sperimentali (come ad esempio Coin, Ikea e MercatoneUno).

La presenza on line della distribuzione alimentare
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Il gap del mercato italiano
Il mercato inglese vale 10 volte il mercato italiano, il mercato francese 3 volte. Il “gap” con i principali mercati europei paragonabili all’Italia, per dimensioni del mercato potenziale e popolazione, è significativo e, mantenendo questi tassi di crescita, è destinato ad aumentare di anno in anno. Quest’anno per la prima volta il mercato italiano è infatti allineato agli altri mercati in termini di crescita percentuale. In Italia vi sono ancora pochi web shopper (poco più di un quarto rispetto al Regno Unito) che comprano ancora poco online (meno di un terzo rispetto al Regno Unito). I motivi di questo divario sono diversi: il numero degli utenti internet italiani non è drasticamente inferiore a quello degli omologhi paesi europei.

La passione per i negozi reali
Ma in Italia solo un quarto dei navigatori si dedica all’e-commerce, mentre in Gran Bretagna questa percentuale sale a due terzi del totale degli internauti. In Italia, inoltre, la spesa media per web shopper, che si aggira intorno ai 900 € all’anno, è inferiore a quella di francesi e tedeschi (15-20% in meno) ed è meno di un terzo rispetto a quella degli acquirenti online nel Regno Unito. Un’interessante spiegazione “sociologica” di questo gap è stata fornita da Edmondo Lucchi di Gfk Eurisko. Rispetto agli altri paesi europei, il tasso di occupazione italiano (ovvero la quota di persone tra i 14-65 anni impegnate in un’attività lavorativa), è decisamente inferiore rispetto a quello degli altri paesi europei. Secondo Lucchi questo comporta che una grossa fetta di popolazione ha più tempo da dedicare agli acquisti nei negozi, e può dunque fare a meno delle spese “istantanee” del commercio elettronico.

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