Il futuro dei Web service tra molti standard e concrete opportunità

Le metodiche richiamabili online attirano consensi, soprattutto da parte dei grossi vendor che stanno investendo in un mercato ancora tutto da creare. C’è chi è partito dallo sviluppo e chi, invece, ha aggiunto funzionalità di condivisione via Internet agli strumenti di integrazione.

 

L’idea non è del tutto nuova. Creare applicazioni dotate di un substrato comune (che permetta di superare tutti i problemi di interoperabilità tra le diverse architetture) e metterle a disposizione di partner, clienti e di tutti quelli che ne abbiano bisogno è un sogno che le aziende accarezzano da tempo. Il principio che muove i servizi Web è piuttosto semplice: permettere il riutilizzo del codice sorgente di un’applicazione riducendo, in questo modo, il lavoro degli sviluppatori.


I Web service nascono dall’evoluzione della Service oriented architecture (Soa). Questa è, in pratica, un insieme di metodologie per la progettazione e l’implementazione di grandi sistemi informativi aziendali. Al cuore dell’approccio vi è la capacità di poter isolare una macro funzione (tipicamente una funzionalità di business) all’interno di un servizio software che, per sua natura, risulta indipendente dal client. In questo modo, sarà possibile accedervi in modo programmato da altre applicazioni e periferiche, sia internamente all’azienda che dall’esterno. Il servizio è, di fatto, rivestito di un’interfaccia formale che lo standardizza e che, nel caso dei Web service, è data dal protocollo Xml (eXtensible markup language).


La peculiarità di questo linguaggio di programmazione Web risiede nell’essere in grado di “comprendere” il contenuto di una pagina o di un documento e di poterne, quindi, classificare le informazioni, come avverrebbe all’interno di un database, in relazione al contesto di riferimento. Questo permette di recuperare facilmente applicazioni e dati che, ormai pronti per essere accessibili e richiamabili online, possono essere inseriti in elenchi pubblici, i registri Uddi (Universal description, discovery and integration) e messi a disposizione di chi ne abbia bisogno. Il problema di come arrivare a definire un accesso standardizzato alle metodiche di business di altre aziende è ancora aperto. E, soprattutto, è aperta la questione di quali siano le specifiche più idonee a garantire la massima sicurezza di richiamo e condivisione. Tutti concordano sul fatto che l’Xml, sostenuto dal W3C (World Wide Web Consortium) sia, ad oggi, l’unica specifica de facto nell’universo dei servizi condivisi online. Nato come un linguaggio utilizzato per facilitare la definizione, la validazione e la condivisione di diversi formati di documenti sul Web, oggi rappresenta il “vestito” utilizzato per garantire che qualsiasi applicazione o dato possa essere scambiato online. Tuttavia, come succede per ogni novità, la confusione in questo settore regna sovrana. Il W3C, organismo incaricato di regolamentare la materia, dirimendo le questioni relative a specifiche e modelli di comportamento degli attori del mercato, non è, a tutt’oggi, riuscito a dare una definizione formale di cosa sia un servizio Web. Se all’inizio l’idea era di considerare un Web service qualsiasi applicazione definita da un Url, che utilizza oggetti Xml, in grado di interagire direttamente con applicazioni simili ora, invece, il lavoro del gruppo sembra puntare più sulla definizione delle specifiche che dovrebbero garantire l’ossatura dei servizi condivisibili online. Al di là delle varie declinazioni di Xml, come EbXml (Electronic business Xml), CXml (Commercial Xml) o Xml Schema, ogni vendor tende a imporre le proprie condizioni di standardizzazione. Microsoft, ad esempio, sta tentando di creare un bacino di consenso intorno a tre “standard in fieri”, derivati da Wsdl, come Ws-Security, Ws-Attachments e Ws-Routing e, insieme a Ibm e Verisign, spinge anche Saml (Security assertion markup language), ma le proposte, anche da parte degli specialisti dell’universo Java, si sprecano.

Le due facce della medaglia


Al di là delle guerre in materia di specifiche, tuttavia, le aziende che si trovano a sperimentare questo tipo di applicazioni hanno, ancora oggi, l’opportunità di scegliere tra due differenti infrastrutture di riferimento. La dicotomia tra l’universo Java e il mondo .Net sembra destinata a perdurare. I due approcci sembrano essere egualmente validi e parimenti integrabili. Se, tuttavia, .Net inizia solo adesso a spiccare il volo, J2Ee, a tre anni dalla sua introduzione, è già il cuore tecnologico di alcuni progetti “in produzione”. Occorre, però, operare una netta distinzione tra le applicazioni sviluppate per il mondo mainframe, che di recente sono state “ritoccate”, aggiungendovi un’interfaccia Web (con quell’operazione di maquillage che, brutalmente, viene definita “webificazione”), che in molti chiamano servizi Web ma che in realtà non lo sono affatto e quelle che, per contro, nascono come infrastrutture di business già pronte per la condivisione online. Si tratta di una tematica piuttosto calda che attira l’attenzione di molti. I pionieri sono stati gli specialisti del mondo dell’integrazione (Eai, Enterprise application integration) che, partendo dalla fornitura di soluzioni di brokering e gestione delle transazioni (i server logici) hanno trovato naturale ampliare la propria offerta in direzione della condivisione online di dati e applicazioni.


Le modalità scelte per garantire questa interoperabilità sono differenti e diversi sono gli approcci prescelti. C’è che si è avvicinato ai servizi Web offrendo piattaforme di gestione in grado di generare nuove opportunità di collaborazione coi partner commerciali, come nel caso di CommerceOne o Siebel e chi, per contro, ha puntato alla creazione di applicazioni condivisibili online o alla loro erogazione. È questo il caso di player come Borland da un lato, Bea e Ibm dall’altro, che offrono sviluppo rapido e piattaforme transazionali complete per la gestione delle interazioni di business e il loro collegamento col back end. Altri, infine, Sun in testa, puntano a garantire con la propria offerta il più ampio accesso possibile ai servizi Web e si impegnano a supportare il maggior numero di device e client. Anche se al momento la sperimentazione di Web service rimane relegata a progetti di porting online del back end aziendale, tutti gli analisti concordano sul fatto che la loro diffusione su ampia scala avverrà già entro il 2005. Di fatto, al momento, i nomi che più spesso si sentono legati al concetto di servizi Web sono quelli dei grossi player del segmento dell’integrazione applicativa. Tuttavia, secondo le proiezioni degli esperti, le fette più “sostanziose” di questo business saranno appannaggio di chi saprà offrire soluzioni realmente a tutto tondo, nell’ambito delle quali consulenza, hardware e software saranno un unicum inscindibile.

Chi ci crede…


Il panorama vede la piattaforma Java già ben posizionata e supportata, oltre che da Sun Microsystems anche da player del calibro di Ibm, Bea Systems e Oracle. Sul fronte .Net, invece, Microsoft dovrebbe, già nel corso dei prossimi mesi, sferrare un forte attacco a J2Ee raccogliendo progressivamente consensi. Sun sembra destinata a capitalizzare la leadership nel segmento dell’integrazione in ambiente Java. Già nei mesi scorsi ha provveduto a rifare il look all’application server iPlanet, trasformandolo in una piattaforma (SunOne) che, con il componente Jini, affronta la sfida dei Web service in un’ottica piuttosto inconsueta e di carattere prevalentemente consumer. Jini agisce da agente incapsulando i protocolli di comunicazione dei servizi Web e rendendoli accessibili dalle più svariate periferiche, dai Pda ai frigoriferi. Come tutte le altre architetture di servizio, poi, Jini include anche una specifica che standardizza la promozione e la ricerca dei servizi, analogamente a quanto avviene sulle directory Uddi. Microsoft, dal canto suo, sembra voler forzare le potenzialità dei Web service per metterle al servizio della sua piattaforma .Net. L’attacco a Sun e Java è stato già sferrato da tempo e ora non rimane che capire come le due piattaforme potranno coesistere. BizTalk server, nelle intenzioni della casa di Redmond, dovrebbe essere votato all’implementazione dei servizi Web, con il supporto di Soap, Xml e degli altri protocolli più diffusi. La società intende giocare un ruolo attivo nella battaglia della standardizzazione e partecipa a diversi organismi, come Ws-I e Oasis, che si ripromettono di fare chiarezza nella ridda di specifiche che dovrebbero garantire l’effettiva interoperabilità delle applicazioni online. Ibm sembra destinata a giocare un ruolo fondamentale in questo contesto, forte del buon posizionamento nel mercato dei server transazionali (con WebSphere), dell’impegno a sviluppare e supportare nuovi standard e dell’impareggiabile destrezza nel saper “incartare” qualsiasi offerta con una buona dose di consulenza e servizi. Big Blue sta, infatti, lavorando con Microsoft e altri partner su diverse iniziative, come Soap e Uddi, ed è uno dei fondatori della Web Services Interoperability Organization (Ws-I), organismo che si propone di promuovere tra le aziende sviluppatrici le metodiche di realizzazione dei servizi Internet e la reciproca interoperabilità delle varie applicazioni. L’ultima release di WebSpere supporta tutti i più comuni standard del settore e include anche un repository Uddi, oltre a un framework per il richiamo dei Web service basato su Soap. Oracle è tra le tante che, facendo leva sul buon posizionamento nel middleware, ha trovato naturale estendere l’ambito d’offerta anche alla creazione di applicazioni già pronte per essere riutilizzabili via Internet. Oracle9iAs è proposto come un server logico (As sta, infatti, per Application server) ma è, di fatto, una piattaforma Business-to-business ad ampio spettro che poggia sull’architettura J2Ee.


Le capacità di integrazione con le diverse infrastrutture sono garantite dalla presenza di adattatori Jca (Java connector architecture) e questa soluzione, che supporta le più diffuse specifiche per Web service, potrebbe trovare consensi soprattutto nell’ottica dell’estensione dei grandi progetti Oracle. Anche Bea Systems, da anni nome di riferimento nel panorama delle infrastrutture transazionali, sta cercando di ritagliarsi un suo spazio in questo mercato. Con la sua piattaforma WebLogic la società non offre una soluzione che si possa propriamente associare alla produzione di servizi Web. Piuttosto, partendo da un middleware collaborativo per le transazioni B2B, e fornendo alcune utility per la trasformazione dei documenti sulla base della semantica Xml, Bea ha creato una serie di strumenti che offre l’opportunità di agganciarsi direttamente ai sistemi di back end e di estrarne informazioni e logiche di processo, per renderle disponibili attraverso i portali aziendali.

… e chi ci credeva


Hewlett-Packard è stata tra le prime a credere nelle potenzialità di questo mercato, con l’acquisizione (nel 2000) del portafoglio di Bluestone e la creazione dell’offerta Netaction, la presentazione di uno dei primi registri Uddi pubblici e il supporto istantaneo ai più diffusi standard Web quali Soap e Wsdl (Web service description language). Tuttavia, i suoi piani, soprattutto dopo la fusione con Compaq, sembrano essere cambiati. Lo scorso luglio è stata decisa la dismissione di Netaction, un’offerta che comprendeva middleware, server logico e connettori e che, sul mercato, non aveva ottenuto i consensi sperati. L’idea, oggi, è di proporre un bundling del proprio software con gli application server e i connettori di Bea Systems per il mondo Java e di Microsoft per l’area .Net.


Ma il mercato conta anche su attori un po’ più di nicchia come Attunity che, partendo dalla gestione di dati e workflow, di recente si è avvicinata all’universo dei servizi Web. Business Process Integrator permette di importare le definizioni dei servizi Web direttamente dai registri Uddi e di convertire il flusso dei comandi in un documento di metadati basato su Xml. Borland, come Macromedia, è invece partita dallo sviluppo software e ha progressivamente ampliato la sua offerta nell’ottica dell’erogazione di servizi online. Anche Iona sta tentando di aprirsi un varco nella ridda di offerte, posizionandosi come fornitore “ponte” tra l’universo Corba, che le è tanto caro, e le nuove piattaforme di condivisione delle applicazioni aziendali che orbitano nella galassia di Java, e lo stesso sta facendo anche Sybase col suo EaServer. Iona ci prova facendo leva sulle partnership siglate con Software Ag e Sun Microsystems ma anche offrendo una versione J2Ee della sua piattaforma Orbix E2A Asp che, su un nucleo di funzionalità di “riconversione” delle applicazioni, ha innestato anche il supporto a Soap e Wsdl. Anche SilverStream fa parte della schiera di quelli che si sono mossi sul terreno dei Web service partendo dall’esperienza delle soluzioni infrastrutturali.


Con eXtend, la società è stata tra i pionieri nell’adozione delle specifiche Soap, Wsdl e Uddi. SoftwareAg, più di recente, si è accodata agli altri vendor pronti a saltare sul carro dei servizi Internet. L’application server Tamino è stato affiancato dal middleware EntireX che, nelle ultime versioni supporta Soap e Wsdl e, in futuro, dovrebbe garantire anche l’accesso ai servizi di directory Uddi. Tibco, invece, partendo da un retaggio Eai, con BusinessWorks e ActiveEnterprise supporta Soap, Wsdl, Wsfl (Web service flaw language) e le altre più diffuse specifiche Web, anche se la sua attenzione è rivolta soprattutto alle infrastrutture di comunicazione e messaggistica. WebMethods, partendo dalle soluzioni di e-commerce interaziendale, si è mossa in direzione dei processi di gestione del workflow per arrivare a garantire anche il “consumo” di servizi Web, tramite richieste Soap, il porting su Web delle applicazioni che risiedono sul back end e l’implementazione di servizi di comunicazione Web, grazie al supporto di Wsdl. Infine, Sap, con la sua enorme base installata (circa 12 milioni di utenti nel mondo), non poteva chiamarsi fuori. Il framework di applicazioni per l’e-business mySap è evoluto e ha incapsulato anche le specifiche utilizzate per garantire la condivisione online delle metodiche aziendali, anche se con un’offerta che non può ancora definirsi completa.

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