Il decreto Romani non va bene, ma nessuno dice come cambiarlo

Internet, televisione, programma: nuovi termini, vecchie leggi, solita confusione. Mentre attendiamo il regolamento di AgCom, si paventano molti contenziosi.

La sessione pomeridiana del Broadband Summit 2010 chiamava a gran voce nuove regole, più precise di quelle del decreto Romani, sulla versione internet di ciò che generalmente chiamiamo televisione. Purtroppo, questi chiarimenti sono mancati durante la giornata di approfondimento organizzata da Business International.
La mattinata s’era occupata di questioni tecniche sulla broadband mobile e anche fissa, che è ben lontana dal cedere il passo all’agguerrita rete radio, anzi si propone ad eliminare sprechi integrandosi grazie a wifi e femtocelle.
Il pomeriggio era invece previsto l’agguerrito question time sul decreto Romani, moderato da Alessandro Longo. La speranza era di acquisire informazioni utili, ma l’esperimento non è riuscito e sostanzialmente se ne sa quanto prima.
Tre i motivi principali: l’assenza di Antonio Palmieri (deputato PdL) invitato ma impossibilitato a partecipare, l’evidente deferenza dei relatori verso Paolo Gentiloni (deputato Pd) e la scarsa attenzione verso alcune argomentazioni.
Se la versione 1.0 del decreto era impresentabile quella 2.0 è meglio, ma non per questo sufficiente, ha ripetuto ancora una volta Paolo Gentiloni. Le sue parole sono senz’altro accettabili, ma ormai le ha ripetute più volte senza mai indicare se si può operare in qualche verso per migliorare o combattere il decreto. Interpellato direttamente dal moderatore, Gentiloni ha ammesso che “non cambierà nulla, ma si rischiano molti contenziosi”.
Analogamente Eugenio Prosperetti, avvocato dello studio omonimo, ha sì espresso in buon dettaglio i punti giuridici della legge attuale, spiegando che AgCom emanerà un regolamento che definisce il “programma”, che non sarà possibile usare la Rete come la tv del giorno dopo (ma la Rai ha un accordo con Youtube) e che Repubblica.tv e Corriere.tv sono ora definite televisioni e non estensioni di siti web. Poi, alla domanda se qualcosa cambierà, anche lui ha risposto che sostanzialmente non cambierà nulla.

La Tv è sempre Tv
“Ma quando si tratta di product placement“, ha domandato Bianca Papini di Telecom Italia Media (La7, per capirci), “ha ancora senso parlare del regolamento dell’83 sulle sponsorizzazioni in Tv?”.
Ovviamente non ha senso, come sembrano averlo perso anche termini quali la “televisione” e il “programma”. “E perché mai Repubblica.tv e Corriere.tv dovrebbero avere obblighi più lievi di quelli di La7”, come dice la versione 2.0 della legge, “mentre usano gli stessi strumenti per convincere gli stessi inserzionisti pubblicitari?”, chiede sempre l’ingegner Papini. Sul web, insomma, venire dalla tv sembrerebbe penalizzante rispetto ad un’origine cartacea.
La domanda di Longo, la stessa che tutti noi vogliamo fare, resta la stessa: “Cosa cambia?”.
L’unica risposta sensata l’ha data Bruno Pellegrini, uno di quelli che ha creato il video su internet in Italia: “in sé non cambia nulla ma potrebbe cambiare tutto”, ha detto, “in quanto il decreto Romani è un altro atto di una lunga lista che aumenta la confusione sulle funzioni”: ovvero -proviamo ad interpretare- su ciò che è legale fare, su quali modalità esecutive, con quali interlocutori pubblici. E nessuno ci ha detto se il decreto, nato come tardivo recepimento di una direttiva comunitaria che con Internet non ha nulla a che vedere, rischia di essere ricusato in qualche sede europea.

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